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METTERSI A NUDO

Carissimi, il dizionario conferma: "mettere a nudo" significa "svelare, rivelare qualcosa nella sua effettiva natura". Il dizionario (questo dizionario) non contempla "mettersi a nudo". Variante, forse, scontata. O fondamentale? "Scoprirsi" (trasparenze trascurate del linguaggio!) non è la scoperta delle scoperte, il "mettere a nudo" primo e decisivo? I greci non avevano dubbi: "conosci te stesso" E sembrerebbe d’accordo anche il ragazzino all’attenzione di A. de Mello: "Chi di voi - chiese l’insegnante - mi saprebbe citare qualche cosa di importante che non esisteva cinquant’anni fa?". Un ragazzino dall’aria intelligente della prima fila alzò la mano tutto eccitato ed esclamò: "Io!".

Ovvio che "mettersi a nudo" non è affatto uguale a spogliarsi che può essere a sua volta una "copertura": "abito", non a caso, indica indumenti ma anche disposizioni interiori, mentalità o "abitudini", "abiti mentali". Anche il nudo è un vestito. Si può ipotizzare che Israele, e anche il tribunale di Hong Kong, abbiano rifiutato il David di Michelangelo non proprio per la sua nudità ma piuttosto per la sua particolare nudità, cioè per la sua nudità "vestita" secondo canoni estetici ed antropologici ma anche etici e religiosi (David non circonciso!) che ci ostinavamo (e ci ostiniamo?) a ritenere unici, eterni e universali mentre sono soltanto euro-occidentali. E mi sembra che anche gli stilisti nelle loro sfilate, hanno aggiunto a modelle paludate modelli nudi siano rimasti fedeli, a dispetto dell’apparente incongruenza, al loro mestiere di confezionare ed imporre vestiti cioè moda che riguarda ciò che si indossa ma ance ciò che si sceglie o accetta di essere: "comportarsi, pensare, scrivere, dipingere alla moda, attesta il solito dizionario.

"Mettersi a nudo" è raggiungersi, trovarsi, riconoscersi oltre le vesti e a dispetto di quanto le vesti nascondono, mascherano, alterano, comprimono, mortificano ciò che siamo nella nostra verità vera, nuda. È opporsi a "l’abito fa il monaco" e, più decisamente, al "sotto il vestito niente": dall’apparenza e dall’accessorio all’uomo, alla donna, a noi. "Nudo sono uscito da mia madre e nudo vi ritornerò". (Giobbe 1, 21) potrebbe dar voce a chiunque intenda spogliarsi di ciò di cui si è rivestito o è stato rivestito (conformismi, appiattimenti, gregarismi, svendite al gruppo, alle appartenenze) a scapito della propria nativa identità. Nel mito di Gorgia (Platone, Opere, Laterza, p. 523 ss) si dice che i giudizi non sono validi su coloro che sono ancora "vestiti" (vivi) e Zeus decide che gli uomini saranno giudicati soltanto dopo la morte e "senza tutto quell’apparato", cioè quando potranno essere giudicati "direttamente" e "senza (si insiste) quell’apparato". Proprio come nei "giudizi universali" dei pittori medioevali e rinascimentali dove uomini e donne perdono abiti e divise (ciò che rappresentavano e sembravano) e rimangono affidati alla loro pura nudità (ciò che hanno saputo essere).

Qualche volta lo spogliarsi o il cambiar veste può aiutare o manifestare il "mettersi a nudo". Pietro da Morrone smette di essere Celestino V anche lasciando i paramenti papali e riprendendo la tonaca da monaco. Nessun pacifista è molto credibile finché indossa divise militari. L’abbandono di una montura segnala il distacco da un’appartenenza, e non è necessariamente marcabile come fuga e tradimento ma è aperto anche a possibili fedeltà con se stessi: "la tonaca alle ortiche" è tanto sbrigativo e maligno quanto di comodo per chi (istituzioni, religioni...) si ritiene più dell’uomo (e della donna!). Francesco d’Assisi che si denuda e restituisce le vesti al padre Bernardone non tradisce i l padre ma anzi lo rende veramente padre staccandosi da lui e conquistando autonomia nel cammino che gli è proprio: "d’ora in poi potrò dire con tutta sicurezza: ‘Padre nostro...’" (Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda Maggiore, 4). E Francesco comincia a vivere "nudo". Fino alla morte: "si fece deporre nudo sulla terra nuda" (Tommaso da Celano, Vita seconda, 214).

Non vorrei insistere in una specie di condensato sullo strip-tease anche se proprio lo strip-tease, secondo qualcuno (L. Kalakowski, D. Chevalier...), assurge alla metafisica o alle metafisiche: scoprire il centro di un concetto e della stessa verità - sostengono - assomiglia molto ad una tecnica di spogliarello.

In verità ho visto nel "mettersi a nudo" una possibile tra-duzione di "coscienza". Un tentativo di togliere da "coscienza" i paludamenti - ci risiamo! - delle difficili e opinabili concettualizzazioni e farne cosa mia, anzi il me stesso più me stesso, il mio io più solido ed esigente, l’unico a cui si può giurare fedeltà, costi quello che costi (evidente la proiezione verso il XII Seminario Nazionale delle CdB - Tirrenia - Livorno 8-10 dicembre - :In principio era la coscienza).

L’idea di nudità mi sembra aiutare questo viaggiare verso la coscienza al concreto. Impedisce distrazioni: io e soltanto io al di là di ogni sovrapposizione, sostituzione, copertura. Probabilmente togliendo qualche illusione: la nudità spesso è impietosa. Forse facendoci sentire più poveri: nudità qui è ciò che rimane dell’io singolo estratto dai vari io collettivi dai quali si può attingere aggiunte, abbellimenti, consolidamenti, sicurezze e anche qualche sprazzo di esaltazione, di grandezza, di vanto mutuati: ci sono sempre ... santi, eroi e navigatori che sono "nostri", che sono "noi"! Ma la nudità dà anche le mie esatte misure. Che segnano dei limiti ma che sono uniche ed esclusive (proprio "su misura") e che raccolgono potenzialità seminate in quel perimetro e in nessun altro per cui o si realizzano lì o si perdono, abortiscono. E non mancare a niente altro di tutto il mio possibile non è poca cosa. È, comunque, esse re se stessi e mai ... alla moda. Cioè mai in vendita a niente e a nessuno. Cosicché se la nudità può spaventarci (Maurizio Maggiani consiglierebbe Il coraggio del pettirosso: piccolo ma vigile contro ogni sopraffazione), la nudità spaventa soprattutto chi sa che è impossibile comandare su qualcuno che, perché fedele a se stesso (alla propria coscienza), diserta dalla truppa dei sudditi comunque consenzienti, comunque ossequienti, comunque obbedienti.

Conclusione-sintesi affidata al filosofo J. Brun. Il suo La nudità umana, (SEI, 1995) è lettura non facile ma stimolante. Gli debbo qualcosa anche se mi è apparso a lavori quasi compiuti.

"Mettere a nudo l’uomo non significa volerlo lasciare sguarnito, ma consiste nel demistificare tutti gli orpelli con cui si è rivestito, orpelli che sono diventati vesti forse lussuose, ma inutili, armature o camicie di forza, o forse arrotolate soltanto attorno al corpo di una mummia" (p. XXII).

Martino Morganti


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