Pagina principale Pagina precedente



L’INEVITABILE CORPO

Carissimi,

Siamo umani cioè siamo corpo.

Inevitabilmente corpo. Corpo per nascere. Corpo per vivere. Corpo per morire. Corpo, anche, per ogni possibile sopravvivenza di umani che non diventino altre realtà dagli umani. La "resurrezione della carne" – anche se non è resurrezione di questa carne – è essenziale alla sopravvivenza umana e non un semplice supplemento alla sopravvivenza autonoma dell’anima, autonomia impensabile sia pure a tempo determinato, il tempo che ci separa dal "giudizio universale".

Siamo corpo. L’ellenismo ha stregato l’anima illudendola di innaturali (impossibili!) autosufficienze e di presuntuose (illusorie!) superiorità. Le filosofie dualiste ci hanno fatto a pezzi. Aiutate dalle teologie. Anche, o soprattutto, da teologie che dovevano ostacolarle. Come la teologia cristiana la quale avrebbe dovuto rimanere fedele, oltre che alla sua antropologia biblica, all’ "incarnazione" e alla "resurrezione della carne" che è, comunque, ben altra cosa dall’immortalità dell’anima.

È in atto una ricomposizione. La svolta antropologica sta risanando anche la teologia. Ma soffiano ancora venti separatisti e i nostri fragili equilibri sono in costante pericolo. La distinzione-separazione-contrapposizione tra anima e corpo (una delle tante, troppe, dicotomie che ci lacerano!) ha ancora cattive incidenze sulle nostre concezioni e sui nostri comportamenti.

Non vorrei teorizzare più di tanto.

Mi capita di osservare i corpi che incontro e li trovo migliorati rispetto a qualche decennio fa: forse anche i corpi giovani, sicuramente i corpi più attempati. È evidente che si tratta di corpi maggiormente curati e i risultati sono buoni, gradevoli. Gli occhi ringraziano. Ma non solo gli occhi: si ha la sensazione che corpi più belli associno proposte umane più serene (mente bella in corpo bello?). Specialmente, appunto, dove il corpo esige qualche attenzione in più e anche qualche intelligente restauro: gli anziani/e hanno smesso di lasciarsi andare e mi sembra ne abbiano guadagnato nell’aspetto ma anche nel rispetto di se stessi/e e degli altri.

Soltanto il troppo stroppia. Nuocciono gli eccessi. E l’eccesso degli eccessi è coltivarsi esclusivamente come corpo. I belli/e senz’anima sono dei dimezzati ed è difficile pensarli in buoni rapporti con se stessi e con gli altri. E palestre, chirurgie, estetisti e simili possono far pagare caro ciò che offrono. Non solo e non tanto in denari, quanto in perdita di se stessi, in smarrimento – come si usa dire – di valori. Si può diventare dei gusci vuoti e quel vuoto fa star male. Non è un caso che nell’epoca del trionfo del corpo si parli sempre più, e anche in ambienti ed ambiti inattesi, di spiritualità sia pure di spiritualità proposta in mille e non sempre chiare accezioni. E non sorprende che in troppi siano in viaggio verso un qualche santuario anche se, spesso, non importa di quale santuario si tratti e nemmeno che siano precisati i motivi perché si vuole raggiungerlo.

È sempre in gioco il "possedersi" o il "perdersi" e ci si possiede o ci si perde se si sa essere "totali" o se si crede all’essere "divisi".

Sembra non ci sia scampo: la concezione dualista (anima e corpo) produce il "corpo servile" – mutuo il linguaggio dagli specialisti – anche quando il corpo sembra centrale ed esclusivo. Corpo "servile" perché comunque subalterno ad una qualche razionalità assolutizzata (può tradursi in un modello o in una moda o in altre persuasioni) che detta modalità di comportamento, controlla emozioni, affettività e fantasie, riduce i rapporti interpersonali. Una specie di gerarchia interna alla persona che è simmetrica alle società – civili e religiose – che privilegiano ruoli definiti in un organigramma preciso con relazioni da superiore a subalterno. Corpo "servile" – credo di capire – perché mente asservita. E il tutto di noi assorbe e propaga asservimenti.

Il corpo è "corpo vissuto" soltanto nel modello della "integrazione", cioè dell’uomo/donna "intero", anima incarnata e corpo animato. Corpo vissuto perché ricondotto alla sua inseparabilità dall’anima e ad anima che non si sovrappone al corpo ma che anzi gli chiede di essere pienamente corpo proprio per essere pienamente anima. Una unità nella tessitura interna (razionalità ed emotività…) e nella tessitura esterna dei rapporti interpersonali. Una "democrazia" interna che ama e produce "democrazia" esterna di relazioni tra uguali.

Siamo corpo. Sarà bene che anche le statistiche – comprese quelle parrocchiali – la smettano di contare le anime che non sono senza essere corpi. Metz ricorda che l’anima è reale soltanto quando si presenta come corpo reale così come una puntura di spillo su un foglio esiste soltanto come carta forata. E specifica: "L’uomo in ogni suo attuarsi è già entrato nel corporeo-mondano, anche quando formula il più sublime pensiero, che, per essere veramente pensiero umano, porta sempre in sé una rappresentazione corporea".

La fede ha la stessa dinamica. "Anche la fede nasce realmente quando giunge all’espressione" (G. Lukken). Da sottoscrivere l’osservazione di C. Houselander: "Se pregate bene, pregate con tutto il corpo, con le mani, i piedi, la testa e il cuore; le vostre costole pregano, le orecchie pregano, gli occhi pregano". Soltanto l’uomo/donna "diviso" può coerentemente sostenere una fede muta e inespressa, tutta fasciata e nascosta nella nobiltà dell’anima e ben protetta dalle miserie del corpo. J. Dubuc ha fatto le debite proiezioni nella liturgia sia del "corpo servile" sia del "corpo vissuto". Al primo corrisponde la "liturgia celeste": liturgia già oltre la storia, già approdata in Dio e, quindi, attenta alla contemplazione e alla interiorizzazione e disinteressata alla relazione interpersonale e alle modalità della comunicazione. Al secondo, al "corpo vissuto", risponde la "liturgia di relazione" cioè un incontro con Dio che si adatta alle variabili umane e al variare dei contesti personali e comunitari.

Ovvio che il corpo debba uscire da eventuale letargo e diventare centro di attenzioni, ascolto, utilizzazione. Corpo vissuto, appunto. In tutte le sue potenzialità, in tutti e cinque i sensi: ascoltare e vedere ma anche toccare, odorare, gustare. Corpo restituito alla capacità di esprimersi, comunicare, dire anche senza pronunciare parole: è dimostrato che la mimica corporea manifesta i sentimenti al 55 per cento mentre il tono della voce lo fa al 38 e le parole soltanto al 7 per cento!

Merita prendere in considerazione l’invito di P. Salomon: "Se volete trasformarvi cominciate dal vostro corpo". Magari si approda alla stessa constatazione di K. Gibran: "Sono nato una seconda volta quando la mia anima e il mio corpo si amarono e si unirono in matrimonio".

Martino Morganti


Pagina precedente Inizio documento