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VIAGGI A CONFRONTO

Carissimi,

se tra voi ci sono degli psicanalisti facciano il loro mestiere : mi dichiaro indisponibile al nomadismo eppure sono affascinato ed attratto dal pensiero nomade. Si tratta di sdoppiamento della personalità, di pigro sedentarismo in cerca di alibi o di qualche altro disagio mentale ?

Forse debbo precisare che l’allergia al nomadismo non include il viaggiare. Cioè, se non me la sento di "andare" inteso come stato di vita, accetto volentieri l’ "andare" nel senso di periodici partire e tornare. Che faccio ogni volta che mi è possibile farlo.

Ecco : quando mi è possibile. Il viaggiare dipende più dal nostro "avere" che da noi stessi. Una vastissima fetta di umanità non è mai uscita dal "paesello" e non è affatto detto che ciò sia dovuto ad attrazione per spazi limitati. Chi viaggia lo fa o perché ha la possibilità di farlo (possibilità fondamentalmente economiche) o perché è costretto a farlo (costrizione fondamentalmente economica).

Il viaggio scelto ha mille motivazioni e mille percorsi.

Viaggiare, se non è proprio un viaggiare sprecato, è sempre un salutare sconfinare anche, o soprattutto, da se stessi, nella scoperta e nel confronto con l’altro e con altro : aiuta uomini e donne ad essere uomini e donne meno "confinati". Merita allargare ed adattare la convinzione del regista W. Wenders : "Attraversare una frontiera dà la sensazione di perdere dei preconcetti".

Metto in conto anche il pellegrinaggio. Concilium gli ha dedicato uno dei suoi ricchi numeri (il 4 del 1996). In lettura positiva. Forse troppo positiva. Incontestabili i dati di rilievo : "I luoghi di pellegrinaggio sembrano avere la forza di un magnete geografico, biologico-spirituale" ; "La riforma protestante e l’illuminismo li considerava (i pellegrinaggi) inutili e puerili, mentre il cattolicesimo cerebrale del dopo Vaticano II ha cercato di ridurne l’importanza ; eppure gente proveniente da tutti i percorsi di vita e da tutte le religioni va in pellegrinaggio in numero crescente" (l.c. pp. 14 e 15). Rispettabile, ma sottoporre ad esame, al spiegazione : "Le persona vanno in pellegrinaggio cercando e sperando di trovare ciò che il mondo attuale - moderno o antico - non è stato in grado di offrire loro. Il rituale ed il mistero del pellegrinaggio sono così consistenti in tutta la storia dell’umanità, indipendentemente dai cambiamenti e dai progressi fatti dalle civiltà, che esso sembra quasi radicato negli stessi geni biologici che costituiscono al nostra umanità !" (ib. p.12).

Ho il sospetto che il pellegrinaggio non rappresenti il massimo del "viaggiare" umano. Se è il più indiziato per realizzare percorsi dello spirito è anche il più esposto a camminare per sentieri propri, dove non si incontra l’altro e l’altruità ma si rafforza il proprio : la propria religione con frequenti abbinamenti alla propria etnia, cultura, nazionalità, lingua… Un proprio tendente ad assolutizzarsi cioè ad escludere ogni "fuori di sé". Cioè a negare il viaggio o contraddire il viaggio viaggiando.

Altra cosa il viaggio costretto ; il viaggio per o da bisogno.

Sempre faticoso. Anche nel pendolarismo.

Spesso amaro come confermano gli emigranti che incontrano l’altro facilmente armato di diffidenze e di esclusioni.

Sempre più frequentemente tragico per i disperati che attraversano continenti e mari nella ricerca, illusoria ma anche ineluttabile, de Lamerica.

Viaggi obbligati. Eppure viaggi che cambiano il volto dell’umanità. U. Eco - riferisce S. Malatesta in La Repubblica del 24 gennaio 1997 - distingue tra immigrazione migrazione : "Le immigrazioni costituiscono un trasferimento da un paese ad un altro in misura statisticamente modesta o irrilevante rispetto al ceppo di origine, trasferimento che può essere politicamente controllato (come in effetti lo è), limitato, incoraggiato, accettato. La migrazione porta in sé qualcosa di di ineluttabile, è un trasferimento di popolo che cambia radicalmente la struttura del territorio invaso e la sua composizione etnica. Come è avvenuto per gli indoeuropei, per i popoli germanici, che hanno creato nuovi regni e nuove lingue. E per la migrazione europea verso il continente americano. Oggi, in clima di grande mobilità, è spesso difficile dire se certi fenomeni siano di immigrazione o di migrazione. Ma il Terzo Mondo sta bussando alla porta dell’Europa e porta quelle caratteristiche di ineluttabilità, per cui è abbastanza futile discutere se le studentesse iraniane devono indossare il chador nelle scuole di Parigi o su quante moschee bisogna costruire a Roma. L’Europa sarà un continente multirazziale, o se preferite, colorato ; se vi piace sarà così, e se non vi piace sarà lo stesso".

Il viaggiare cambia il mondo. Anche il mondo di chi non viaggia perché non può viaggiare e perfino di chi non viaggia perché non vuole viaggiare. Ma chi non viaggia perché non può farlo conserva intatta la possibilità di essere un viaggiatore. Il pensiero nomade non è soltanto il titolo di un libro stimolante anche se scritto da filosofi e troppo filosoficamente (a cura di E. Baccarini, Cittadella, 1994).

Il sottotitolo merita attenzione : "per un’antropologia planetaria". Spero di aver capito : per uomini e donne che sono a misura del mondo anche se, del mondo, ne usufruiscono appena un frammento ; per uomini e donne che sanno andare dove la loro mente può condurli a dispetto dei loro piedi legati ad un mattone.

Mi è sembrato di ritrovaci, pur nel restare, l’andare delle tre fasi del pellegrinaggio : separazione dallo status quo ; passaggio attraverso una soglia ; rigenerazione e ritorno alla responsabilità sociale. O di riconoscervi i groba, l’ "uno che va", secondo la parola tibetana che vuole cogliere ciò che è in ogni essere vivente (Concilium cit. p. 31). E anche Abramo potrebbe essere stato invitato ad un pellegrinaggio interiore prima che ad un viaggio geografico : M. Balmary lo sottolinea traducendo "Va’ verso di te" il famoso appello di Dio in Gn. 12, 1 (Il sacrificio interdetto, Queriniana 1191, p. 132 ss.).

Viaggiare in se stessi per avere la capacità di viaggiare oltre se stessi. "Il senso dell’uomo nomade si presenta come una categoria centrale per la comprensione dell’uomo di oggi. Ogni uomo è per essenza ‘uno che cammina’ nella corrente del mondo, nella misura in cui è disponibile ad un continuo rinnovarsi nel trasformarsi di tutto ciò che sta intorno a lui : il cielo e la terra, le cose e gli affetti, le istituzioni e i suoi stessi compagni di viaggio, le gratificazioni e le frustrazioni del suo lavoro quotidiano, i rischi e gli inganni della sua libertà" (P. Prini, Il pensiero nomade, p. 12). "Ciò che caratterizza l’uomo di fronte all’esistenza non è la pura enérgheia, ma una dynamis, una tensione dinamica. Il suo essere è poter-essere, è la capacità ad inventare la sua esistenza in una costante progettualità ad essere altro, altrimenti, altrove. Nella sua situazionalità non è un hic et nunc definito e definitivo, ma un’apertura che si definisce appunto in un atteggiamento nomade di continuo superamento dell’hic stans, alla ricerca del proprio volto" (E. Baccarini, o.c., pp. 31-32).

Vi sarete accorti che cito molto. Lo faccio perché ho bisogno di appoggiarmi a chi pensa meglio di me e mi aiuta a pensare meno peggio di quanto sia capace. Ma lo faccio anche perché mi piacerebbe che le mie paginette avessero almeno il merito di invogliare a leggere pagine più alte e più complete.

In questa circostanza, comunque, il mio intento era piuttosto elementare : invitarmi (ed invitarvi) a non stare ma andare ; a non stabilirmi ma a muovermi ; a non fissarmi (le "fissazioni" !) ma a rendermi aperto e recettivo.

In definitiva : invogliarmi ad essere uno che viaggia anche se rimane molto - e non per scelta - tra quattro pareti. A realizzare quel viaggio mentale che è indispensabile anche a chi viaggia fisicamente e non vuole andare oltre i propri confini geografici trascinandovi il proprio stato di "confinato", di chiuso e immobile in se stesso.

Martino Morganti


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