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LA DOMENICA NEL PALLONE - MA IL PALLONE È INNOCENTE

Carissimi, come va la vostra domenica? È una giornata desiderabile e godibile oppure è una giornata da sopportare riflettendo con Polyanna - quella del film di D. Swift - che passa rapidamente e dopo di essa ci sono ben sei lunghi giorni prima che torni?

La mia domenica è piuttosto problematica.

Per sopraggiunte situazioni personali che hanno tolto alle Domeniche alcune delle sue attrattive: da pensionato non ho più bisogno di un giorno liberato da orari e da fatiche comandate; da credente un po' stano mi trovo a vivere la "cena del Signore" il Sabato, da singolo finisco per avere proprio nella Domenica (nella festa) la giornata meno propizia ad aggregazioni che non siano di contorno a raggruppamenti secondo la carne e il sangue (familiari, parenti...). Ma ho vissuto anche in altri contesti. Anche quello del lavoro dipendente che ha sapore squisito ad ogni "staccare", ad ogni spazio di riposo. Anche quello di Domeniche ricolme di liturgie oltre che con affollamenti comunitari ben lontani da isolamenti e solitudini.

Eppure con la Domenica (con la festa) ho sempre avuto qualche disagio. Credo si tratti, fondamentalmente, di difficoltà a normalizzarla, a viverla, in tutto o in parte, come una giornata qualsiasi. Forse la diversificazione cromatica sui calendari - rosso per i festivi e nero per i feriali - mi si è interiorizzata in irriducibile diversità. Sta di fatto che in Domenica non riesco a fare ciò che, in qualche modo, faccio negli altri giorni. E senza - ecco il guaio - saper trovare apprezzabili alternative tipiche cioè domenicali: festive.

Scontata la conseguenza: la Domenica (la festa) rischia di diventare un guscio vuoto. E il vuoto è un vuoto personale. Che in me produce sottili fastidi. Sembra che in molti ingeneri noia. In alcuni inetta addirittura definitivi sconforti: le ultime feste natalizie hanno prodotto, e non è una novità, sconcertanti suicidi e gli esperti hanno sentenziato: l’obbligo alla gioia diventa un moltiplicatore di angosce.

"Obbligo alla gioia": non somiglia a "feste comandate"? E tutte le feste sono "comandate" almeno nel senso che sono prefissate, stabilite, istituzionalizzate prima di noi e indipendentemente da noi. Cioè non necessariamente coincidenti con i coinvolgimenti, le freschezze di motivazioni, il bisogno di esprimere e comunicare ciò che nasce prepotentemente dal nostro vissuto individuale e collettivo. Peggio ancora: con possibilità di compromettere ciò che offrono proprio perché, in qualche modo, lo impongono: non c’è niente di meno festivo dell’obbligo (della "festa comandata"); non c’è festività senza libertà di far festa. In altre parole: le feste possono sciupare la festa. Appunto perché è sempre difficile far convivere l’imposto e lo spontaneo, lo scontato e l’imprevisto. Soltanto ristabilendo il primato dell’uomo sul Sabato (Mc 2, 27) può cominciare la festa. I discepoli di Gesù spigolano di Sabato e lo fanno senza motivi precisi (sto con la versione di Mc 2, 23-24), ma giocando, compiendo gesti gratuiti, festivi e proprio trasgredendo alle imposizioni del Sabato. E proseguiranno - i discepoli di Gesù - affermando di non aver bisogno di feste (Origene, Contra Celsum, VII, 22), perché è festa quando c’è il festivo, quando la "buona notizia" è buon vivere ed è "dominica" (il giorno del Signore) se e quando si realizza il "dominicum" (il festoso essere commensali del Signore). Insomma: il contenuto più del contenente. Tendenza cronicamente invertita: non è domenica perché si va a messa ma, e da secoli, si va a messa perché è domenica.

E torno alla mia Domenica. Che , lo ribadisco, è piuttosto... nel pallone. Ma non per colpa del pallone. Anzi: spesso salvata proprio dal pallone. Una confessione che non posso tacere anche se darà il colpo di grazia alla mia già traballante reputazione; anche se mi farà incorrere in una squalifica a tutto campo.

Non potrò contare nemmeno sulla solita generosa benevolenza degli amici più amici. Tutti così costantemente e austeramente impegnati da storcere immediatamente il naso ad ogni intruppamento (ai miei intruppamenti) nel vociare degli stadi, drammaticamente identificato (don Milani nel caso vale quanto, in altre zone, vale Raztinger) con sordità alienante.

Stranamente potrei trovare maggiore considerazione da parte dei vertici ecclesiastici. Però se il mio pallone fosse, anche in Domenica, quello preso a calci nei campetti parrocchiali, possono incoraggiare qualche presenza in più - non importa quanto convinta - alla messa domenicale.

Ma il mio pallone è quello degli stadi. E, per i vertici ecclesiastici, è proprio un altro pallone. Perché gli stadi non sono necessariamente vicini alle chiese. Perché, soprattutto, gli stadi hanno la pretesa di rivaleggiare con le chiese nel raccogliere gente e nel contenitore-tempo - la Domenica - che è della chiesa. I vertici ecclesiastici insistono per il trasferimento del pallone degli stadi ad altro giorno. Indicano il Sabato. Gli ebrei rilancerebbero: perché non il Venerdì? E la palla passerebbe ai musulmani...

Tutti pronti a difendere i contenitori, le feste. Scarsissima l’attenzione al contenuto, alla festa. Alla coltivazione dell’ "homo festivus". Che può trovare "humus" fertile dovunque. Anche allo stadio. Mi piacerebbe dirlo tanto agli amici "impegnati" quanto ai vertici ecclesiastici.

Ai primi vorrei suggerire la "terapia dell’imperfezione". Non è una mia invenzione. Ma una proposta di chi fruga nell’uomo e sa che gli ammaliati da perfezione possono cadere in "nevrosi di fondo", quella che fa dimenticare di vivere, di fruire di ciò che esiste di piacevole nella vita. La "terapia dell’imperfezione" guida "l’uomo verso il suo limite, cioè verso la sua umanità" (R. Peter).

Per i vertici ecclesiastici avrei qualcosa di più articolato. Fondamentalmente vorrei proporre questa ipotesi: del tutto assurdo sospettare che il calcio (ma non solo il calcio) abbia assorbito e conservato qualcosa che le liturgie hanno invece imbalsamato? Metterei in fila una bella lista: corporeità; coinvolgimento; motivazioni vive; imprevedibilità; attesa della vittoria ma anche accettazione della sconfitta; l’accadere ora e qui...

Dico la mia da testimone "imperfetto": allo stadio magari tradisco le feste ma mi sento in festa. Proprio come senza lo stadio sto nelle feste spesso con tendenza a sonnolenti sbadigli.

Ma è la mia Domenica. La vostra Domenica come va?

Martino Morganti


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