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NONNO NON È MALE. NEMMENO PER I NIPOTI

Carissimi nipoti, scrivo a voi, cioè a tutti coloro che vorranno leggermi.

Il nonno, non avendo "autorità", può essere "autorevole".

Non oso rivolgermi ai figli e nemmeno ai fratelli, già prenotati per i messaggi dei notabili ecclesiastici ("Diletti figli", "Fratelli miei"...). Non è proprio il caso di azzardare simili concorrenze.

I nipoti sembrano essere destinatari liberi. Anche perché i nonni tendono a nascondersi. Non è vero che siano soltanto le donne ad essere reticenti sulla propria età (quando è una bella età!). Dirsi nonno è confessare di non essere giovane che è poi un giochetto per non dire crudamente di essere vecchio. Meglio glissare. E dei nonni si perdono le tracce.

Io, anagraficamente, sono un nonno. Ammetto che, potendolo, avrei scelto di rimanere figlio a tempo indeterminato. Ma essere nonno non è male. Proprio per il pregio del suo difetto: poter esserci senza esserci; potersi proporre senza doversi imporre per ruolo o incarico sia lavorativo che sociale che familiare. Il nonno acquista in quanto perde. Svestendo funzioni, impieghi, posizioni inscritti nei quadri del personale in attività, rimane soltanto se stesso. E non è detto che ci scapiti. Chi non conosce nipoti che ascoltano il proprio nonno con maggiore disponibilità di quanto riescano a fare con il padre, proprio perchè il nonno (e vale anche in versione femminile: nonna - madre) è "meno" del padre? E - allargando un po' l'idea - chi non ha incontrato giovani (e meno giovani) che hanno stabilito splendidi rapporti con l'ex-preside o l'ex-professore che da preside o da professore era apparso semplicemente da evitare?

Il nonno non avendo "autorità" può essere "autorevole".

Ci sto. Fare il nonno non è male. Il fatto di poter essere tranquillamente snobbato esalta l'unica volta che trovi attenzione. Molti anni fa, nei Grigioni, parlavo ogni mattina alle scolaresche della cittadina. Tutti rigorosamente composti. Ma una mattina tutti improvvisamente agitatati. "Colpa del vento", mi informarono. Quindi niente che dipendesse, nel bene o nel male, da me. Tornai ai ragazzi toscani con qualche sollievo: loro non hanno bisogno del vento per essere movimentati ma non è nemmeno per merito del vento se qualche volta dimostrano voglia di ascoltare.

Nonno cioè "avanti" negli anni, cioè con tanto di se stesso nel "passato". Ma non necessariamente attratto dal passato e voglioso di sospingere all'indietro. Io il mio passato lo utilizzo e non mi dispiacerebbe se risultasse utilizzabile da altri. Esemplifico. Il mio passato è più corto dei miei anni. Perché buona parte di esso è stato un tempo fermo: l'immobilismo non è un'etichetta su cose fuori di noi (cultura, teologia, etica, ecclesiologia...) ma qualcosa che ti entra dentro impedendoti qualsiasi variazione che non sia puramente biologica. Ebbene: quel tempo non mi calamita ma mi aiuta a non demonizzare il tempo delle frettolose e impietose accelerazioni perché vivere è comunque meglio che non vivere. Ancora: la povertà del mio passato non trova nostalgie eccessive nello spreco del presente ma mi guida alla moderazione e al gusto di quanto posso avere: indossare una camicia nuova non è un fatto da niente ricordando la solita camicia vestita fino a quando la sua consunzione non era più copribile rovesciando polsini e colletto.

Nonno cioè presente. Non va sottovalutato che nonni e nipoti convergono e convivono nello stesso tempo. Sono contemporanei.Ed essere insieme nel presente è essere insieme nell'unico tempo nel quale si può essere ed operare senza perdere tempo, senza perdere il tempo. Anni fa circolava un "santino": non ricordo il protagonista (S. Elpidio?); ricordo vagamente il suo paludamento (di guerriero romano?); ricordo bene che sotto il piede schiacciava una bestia con sopra scritto "cras" (= domani) e in una mano aveva uno stendardo con la scritta "hodie" (= oggi). Credo che non intendesse annullare il domani ma uccidere il domani (e l'ieri) che distrae dall'oggi.

Nonni e nipoti contemporanei. Cioè conviventi. Non dovrebbe far da barriera la loro "diversità" che pure non deve essere camuffata. Ho sempre fatto tesoro di quanto i giovani francesi dissero a Sartre: "Va bene, nonno, ma ora vai a letto!". E sono terrorizzato ogni volta incontro giovani vecchi o anche soltanto adultizzati. L'incontro attende nonni e nipoti a faccia scoperta, la loro.

 

Nonno cioè senza avvenire? Dissento. Mi piacciono quei medici che suggeriscono di "dare vita ai giorni più che giorni alla vita". Influenzato da stato di necessità? Non lo escludo ma - me lo diceva un giovane morente - "lassù non si rispetta la fila" (prima i più vecchi...). Chi sa di avere poco tempo ha il privilegio di non poter sprecare o rimandare e ha anche il diritto a sperare che nel poco possa realizzarsi ciò che non si è avverato nel molto. Non c'è età che metta lo stop all'attesa e alla ricerca del proprio non ancora.

Anche rasentando la pazzia. Come Maynùm (appunto il "pazzo") alla ricerca dell'amata Laylì del racconto arabo. Un giorno fu visto, tutto in lacrime, stacciare polvere. Alcuni gli dissero: "Che fai?". Egli rispose: "Io cerco Laylì". Essi esclamarono: "Ahimè, povero te! Laylì è uno spirito puro e tu cerchi nella polvere". Egli disse: "Io cerco ovunque, a che, forse, in qualche luogo possa trovarla" (In Bahà U'llàh, Le sette valli, Insieme, Recco 1993, p. 23).

Basta così. Se qualche nipote volesse scrivere al nonno il nonno ne sarebbe contento.

Martino Morganti


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