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Difendere i crocifissi della terra



Data: 05 Gennaio 2010
Autore: Anreina cafasso



Confesso che ho sempre provato un senso di fastidio visitando cattedrali sontuose e soprattutto i “tesori” delle cattedrali, dove facevano bella mostra di sé crocifissi in oro, argento e avorio tempestati di costosissime gemme.
Avevano a che fare con Gesù Cristo o non piuttosto erano una blasfema esibizione di potere e di ricchezza da parte di una Chiesa che dice di riconoscersi nel sacrificio supremo di Cristo, nudo e impotente?
L’attuale polemica sulla presenza del Crocifisso nei locali pubblici può essere salutare per far riflettere su quel che è o che non è il Crocifisso per l’uomo d’oggi a partire dal Vangelo:

• Non è un ornamento da usare come decorazione su abiti di moda, per far bella mostra di sé su petti villosi o seni generosi;

• Non è un elemento di costume, un feticcio, un portafortuna (non si a mai, magari la mia squadra vince la partita);

• Non è un arredo come lo definisce la circolare ministeriale che prescrive la sua presenza nelle aule scolastiche tra gli arredi;

• Non è un’arma da brandire in nuove crociate contro chi pratica religioni diverse o non ne pratica alcuna. Non si tratta tanto di accondiscendere alle richieste di non credenti o di diversamente credenti, ma di porci la domanda: chi sono i crocifissi da difendere?

• Non è una connotazione di identità anche nazionale che il Vangelo non si è mai sognato di proporre. C’è invece in esso la proclamazione dell’universalità del Cristianesimo, riattualizzato nella Costituzione Gaudium et Spes (n. 42/1452 cap VII): “Siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può contenere un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni”.

Forse che siamo diventati un po’ idolatri?

C’è un comandamento che dice: “Non nominare (né farti immagine) il nome di Dio invano”. E lo applicano alla lettera sia gli islamici che gli ebrei: nella loro religione, che deriva come la nostra da Abramo, è vietato farsi immagine di Dio, rappresentarlo con quadri o statue.
Noi cattolici invece abbiamo forse un po’ dimenticato quella parte, del non farsi immagine di Dio, tant’è vero che nelle nostre chiese abbiamo statue di santi, madonne che piangono (ma perché non ridono?) e padri pii in abundantiam. In barba a questo precetto che ci vorrebbe meno idolatri di come siamo. Per non dire di reliquie e reliquiette, sindoni ecc... Tutti segni evidenti di come sempre più spesso certo tipo di cattolicesimo sconfina con superstizioni, magie e idolatrie che nulla hanno a che vedere con una fede autentica e matura.

La risposta di don Luigi Ciotti

“I crocifissi da difendere, quelli veri, non sono quelli affissi ai muri delle scuole, sono altri: sono uomini e donne che fanno fatica, che non ce la fanno e muoiono di stenti. È verso di loro che non possiamo e non dobbiamo restare indiffe-renti... È con questa realtà che dobbiamo, misurarci... I crocifissi non si difendono soltanto con le parole” (fonte: La Stampa). Così si esprime chi cerca di vivere il Cristianesimo. Il Crocifisso è il tesoro più prezioso della Chiesa, non perché sia d’oro e d’argento, ma perché parla al cuore dell’uomo e della donna: le sue braccia sono aperte al mondo, alle persone di qualsiasi colore e cultura, in quanto figli dell’unico Dio.
Dove trovare oggigiorno i poveri Cristi se non in quelle carceri dove giacciono i diseredati della terra, torturati e uccisi come capita anche nelle nostre galere; i poveri Cristi attualmente non sono in croci d’oro o di legno pregiatissime, ma li troviamo in quegli esseri umani deportati nei gommoni dall’Africa verso le nostre coste, li troviamo abbandonati e clandestini vagare nelle nostre città alla ricerca di futuro (quale?), troviamo delle povere Criste tra le prostitute schiaviz-zate e soggiogate da papponi senza scrupoli e li troviamo in tante altre situazioni drammatiche vicino a noi.
Come si permette di difenderlo chi ha sempre respinto il forestiero e l’immigrato (ed oggi lo fa con leggi disumane), il povero, quello a cui Cristo spalanca le porte del regno dei Cieli?
Si inneggia al simbolo quando si ignora o si nega quel che il simbolo significa. E se la popolazione è in maggioranza favorevole all’esposizione del Crocifisso ciò avviene anche perché la Chiesa ha ristretto il significato di questo simbolo universale, se ne è appropriata, sterilizzandolo della sua portata rivoluzionaria e utilizzandolo nelle occasioni più disparate, “fino a farne oggetto di onori militari da parte di soldati che impugnano armi sofisticate e pensate in funzione della morte di altri uomini, donne e bambini” (dal libro, altamente consigliato, di don Paolo Farinella “Crocifisso, tra potere e grazia” ed. Il Segno dei Gabrielli).

Onorevoli e potenti, per favore
un po’ di coerenza!

Certo, ci vuole una bella faccia tosta arrabbiarsi contro la risoluzione della Corte europea ed iniziare una crociata nel Ventunesimo secolo pro-crocefisso! Se tutti gli onorevoli e i potenti, prima di indignarsi, cercassero di essere coerenti con l’insegnamento di quel pover’uomo messo in Croce a causa della sua predicazione! Non hanno forse anche loro qualche responsabilità sulle disuguaglianze sempre più accentuate, sul prosperare di un’economia che emargina i più deboli, sul crescere dell’insicurezza legata alle condizioni materiali di vita che fa sì che si finisca di vedere l’altro solo come potenziale nemico? E se anziché fomentare l’intolleranza e la xenofobia o blaterare di “radici cristiane”, inseguendo le pulsioni peggiori o cercando di racimolare senza troppo sforzo qualche voto, vedessero con compassione l’umanità sofferente, un’umanità alla quale potrebbero dare conforto e speranza?

Ma cosa può fare ciascuno di noi?

Quando vediamo intorno a noi l’uso strumentale, voluto o inconscio, di parole e di simboli che fanno parte della nostra storia personale e comunitaria, ci prende la rabbia e lo sconforto.
Ma nella nostra piccola esperienza continueremo a dare voce a chi non ha voce, a quelli che sono considerati inutili e disturbano e che sono invisibili alla società e alle chiese. Perché tutti possano esprimersi e trovare un proprio spazio.
C’è bisogno di comunicare, di confrontarci tra persone che credono ancora che un mondo diverso e più giusto sia possibile.
Può servire a non perdere speranza, a sentirci meno soli, a gettare basi perché questo mondo in futuro si possa realizzare. E ad essere meno distratti mentre cerchiamo di percorrere la strada dolce e faticosa della fraternità.

Per concludere

L’amico Aldo Antonelli ci ha scritto:
«Sul giornale La Repubblica è apparsa, nella pagina delle lettere, questa bella testimonianza di Salvatore Resca, viceparroco di San Pietro e Paolo a Catania. Per fortuna siamo né pochi né soli.
C’è poi chi tace per paura di ritorsioni e chi ha il coraggio di esprimere le proprie convinzioni.
C’è chi ama inquinare e volgarizzare il discorso, purché sia “popolare”, e chi vuole ricondurlo alla sua originaria schiettezza.
Chi ne vuol fare arma di difesa e di offesa allo stesso tempo per accattonaggio politico e chi ne fa un tesoro da custodire nella propria vita per alta fedeltà. Noi siamo tra i secondi.
Scrive don Salvatore Resca:
Sono viceparroco a Catania (chiesa dei santi Pietro e Paolo) e al sovrintendente del Teatro Bellini (che vuole esporre il crocifisso sulla facciata) dico: ti prego, togli la croce! Non so cosa ne pensano preti e vescovi ma credo che anche Cristo, dall’alto dei cieli, vedendosi appeso fra Violetta e Norma stia sussurrando: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. La croce non si appende; i cristiani sanno che si carica sulle proprie spalle per incamminarsi con essa dietro Gesù Cristo. Il Vangelo è una cosa seria. Un luogo come un teatro, a prescindere da ciò che accade all’interno delle sue mura, non è il più adatto per metterne in evidenza le esigenze.
Il crocifisso è il simbolo della Fede. Non è un simbolo culturale o un collante di identità etniche e nazionali: abbiamo aule scolastiche piene di crocifissi appesi e vuote di cristiani veri».
Come non dargli ragione?