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Come sta la democrazia?



Data: 19 Aprile 2024
Autore: a cura della redazione



Al fine di giungere ad una ragionevole
diagnosi e poter rispondere
alla domanda, siamo ricorsi
alle riflessioni che fece, profeticamente,
Alexis de Tocqueville,
pensatore francese vissuto nella prima
metà dell’ottocento. Le sue riflessioni furono
influenzate in particolare da un lungo soggiorno
negli Stati Uniti e rappresentano il tema
centrale del suo pensiero politico.

Con la parola
“democrazia” si riferisce alla democrazia
rappresentativa, abbandonando così la tradizione.
La preoccupazione di Tocqueville era che
un conformismo di massa potesse far sorgere
un governo dispotico e un progressivo svuotamento
della pratica della libertà politica.

Così diceva Tocqueville: “Credo dunque che
la forma d’oppressione da cui sono minacciati
i popoli non sia adeguata, non assomiglierà
infatti a quelle che l’hanno preceduta nel mondo.
Invano ricerco un’espressione che riproduca
e contenga esattamente l’idea che me ne
sono fatto, poiché le antiche parole dispotismo
e tirannide non risultano più adeguate.

La cosa infatti è nuova, bisogna tentare di definirla,
poiché non è possibile indicarla con
un nome. Se cerco di immaginarmi il nuovo
aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo,
vedo una folla innumerevole di uomini
uguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli
e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri.
Ognuno di essi è vicino agli altri ma
non li vede, li tocca ma non li sente, vive in se
stesso e per se stesso, non ha più patria”. (…)
“Ho sempre creduto, aggiunge Tocqueville,
che questa specie di servitù regolata e tranquilla
che ho descritto, possa combinarsi meglio
di quanto si fa con qualcuna delle forme
esteriori della libertà e che non sia impossibile
che essa si stabilisca all’ombra della sovranità
del popolo”.

Da più parti si sostiene che la democrazia
sia in crisi anche se si continua a dichiarare
questo istituto il migliore, o il meno peggio,
tra quelli esistenti sul pianeta. I detentori del
potere per interessi diretti, il popolo perché
deluso dall’esperienza vissuta sulla propria
pelle, nutrono forti dubbi che il sistema democratico
sia ancora idoneo ad affrontare i complessi
problemi che l’attualità richiede.

Il discredito in cui sono cadute le democrazie
nei confronti dei cittadini sta minando il
principio democratico stesso per cui la democrazia,
se non è partecipata, cessa di essere tale
perché la delega, su cui si basa, assume facilmente
aspetti dispotici e contrari agli interessi
dei cittadini comuni. Senza partecipazione la
libertà ti viene concessa fin che conviene a chi
te la dà. E poi, quando non dovesse più servire,
te la si può togliere perché nel frattempo ti
sei assuefatto a non contare nulla, nemmeno
con il voto. Ecco perché il neoliberismo, come
il comunismo cinese, come il sovranismo, sono
concordi nel limitare la libertà, con la differenza
che le dittature la limitano a prescindere,
gli altri sistemi quando questa dà fastidio
al loro potere. Ora viviamo un periodo di transizione
verso forme di zero democrazia partecipata
e poca libertà individuale. In molti paesi
occidentali, il passo verso governi vessatori
della popolazione loro sottoposta sembra alle
porte.

Emergono infatti diversi sintomi, come se in
occidente ci sia una gran voglia di imitare le
autocrazie e le tirannidi presenti e spesso vincenti
nel mondo. D’altra parte non si tratta
neppure di novità assolute; già Adamo Smith
scriveva che “il Governo civile è in realtà costituito
per la difesa del ricco dal povero”,
mentre a Mark Twain si attribuisce il detto “se
votare facesse qualche differenza non ce lo
farebbero fare”.

La cronaca recente di questi ultimi anni ci ha consegnato
purtroppo un inquietante assalto al Parlamento degli Stati
Uniti, considerato il paese più democratico del mondo. In
molti Stati statunitensi si è legiferato per impedire a poveri,
latinos e neri di votare. In ogni caso negli USA va a
votare circa il 45% della popolazione. Segno di sfiducia
nei confronti della democrazia, sempre più formale, in cui
i partiti si assomigliano moltissimo. In Europa, dopo lo
scatenamento della guerra in Ucraina e ancor più dopo il
conflitto israelo-palestinese, la libertà di manifestazione è
messa in discussione e così pure la libertà di esprimere
pensieri contrari al sistema dominante. Ad esempio, Francia
e Germania colpiscono il dissenso pro Palestina tacciandolo,
senza alcun distinguo, di antisemitismo. Infine
bisogna considerare che l’economia di guerra ha esigenze
che mal si conciliano con la democrazia.

L’Italia merita qualche sottolineatura in più. I media sono
in mano a importanti gruppi industriali: dalla famiglia
Agnelli (La Stampa, La Repubblica e molti giornali locali)
agli Angelucci, con grandi interessi nella sanità (Libero, Il
Giornale, Il Tempo, tutti giornali di destra) che ora cercano
di assicurarsi anche una delle principali agenzie di informazione
del Paese, l’AGI; la RAI è in mano al Governo.

L’unico editore puro è Cairo, che però concentra su di
sé un vasto potere attraverso LA7 e il Corriere della sera, il
giornale italiano di maggiore tiratura.

Questa situazione si accompagna a particolari inquietanti:
• Il disegno di legge di modifica della costituzione, concentrando
il potere nelle mani del presidente del consiglio, e la
legge elettorale con premio di maggioranza, consentiranno
di scardinare il principio democratico della separazione dei
poteri, ridurranno ulteriormente il potere del Parlamento, e i
cittadini rischiano la totale sudditanza al governo;
• il governo, a due mesi dalle elezioni, pensa di sciogliere
il consiglio comunale di Bari per infiltrazione mafiosa a causa
di due consiglieri indagati per voto di scambio, procedura
che se attuata seriamente comporterebbe lo scioglimento
di centinaia di comuni, specie amministrati dalla destra;
• il governo sembra l’esecutore testamentario di Berlusconi:
stanno per essere approvate leggi che limitano la libertà
dei giornalisti di divulgare i reati dei colletti bianchi (politici,
amministratori, imprenditori ecc., saranno liberati da
ogni impaccio di immagine), che impongono ai magistrati
l’umiliazione dei test psicologici, mentre la programmata
separazione delle carriere dei magistrati stessi mira a ridurre
l’autonomia della Magistratura per assoggettarla al
Governo. Tutto ciò senza il premierato…
E il prossimo futuro?