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MIGRANTI SEGNO DEL CAMBIAMENTO D’EPOCA - altro che emergenza permanente



Data: 18 Ottobre 2023
Autore: a cura della redazione



Si renderà conto il Governo che la disumana
politica “soldi in cambio di
lager” ha portato solo a sofferenze
e nessuna diminuzione di migranti?
Avrà compreso Meloni che l’isolamento
da Francia e Germania è solo la logica
conseguenza di chi ha seminato vento e raccolto
tempesta?
Avranno capito Meloni e Salvini che, invece
di pensare alla guerra contro le ONG che
salvano vite e a nuovi decreti “sicurezza”, sarebbe
stato molto meglio pianificare una seria
politica dell’accoglienza? Sono oltre trent’anni
che siamo in “emergenza migranti” ma i vari
Governi non hanno fatto nulla di strutturale,
di progetti concreti. Si è solo pensato all’emergenza
immediata. Di progetti a lungo termine
e di impiego dei molti stranieri strappati dal
mare e dalle guerre in lavori utili per i nostri
Paesi e Comuni s’è visto poco o nulla e le iniziative
a cui accenneremo più avanti sono realizzate
in gran parte dalle associazioni di volontariato,
alle quali i vari governi hanno trovato
comodo delegare, senza supportarle con
adeguata legislazione.
Una considerazione che induce al pessimismo
e, se vogliamo, allo scoramento è quella
che sorge leggendo le scritture del Primo Testamento
e, in particolare, i Profeti. Fino dagli
scritti più remoti (p.es. il profeta Amos, vissuto
nell’VIII sec. a.C.) si nota l’insistenza con
cui si condannano le azioni contro i poveri,
gli orfani, le vedove, così come lo sfruttamento
del lavoro dei miseri e le truffe nei loro confronti.
Sono passati quasi 3000 anni, ci sono
state rivoluzioni tecnologiche ed evoluzioni
del pensiero ma, in gran parte del mondo, sembra
che tutto sia rimasto allo stesso punto. Non
solo le potenze economicamente più potenti
si sono arrogate il diritto di conquistare, razziare
e schiavizzare civiltà ritenute “inferiori”
ma, dopo che queste hanno formalmente
riottenuto l’indipendenza, hanno continuato a
vessarle in maniera più subdola attraverso le
multinazionali che si servono impunemente
anche dei regimi corrotti. Si veda, al proposito,
quanto sta avvenendo in Africa dove la dominazione
da parte dei Paesi occidentali è stata
in gran parte sostituita da quella di Russia e
Cina.
Le stesse conquiste sociali che nell’Occidente
sono state raggiunte nei decenni successivi
alla Seconda guerra mondiale vengono più o
meno velocemente ridimensionate e ciò va a
scapito sempre delle fasce sociali più svantaggiate.
Inoltre, la distanza tra i ricchi e i poveri
va velocemente crescendo e siamo arrivati ad
una situazione nella quale poche decine di individui
detengono una ricchezza comparabile
a quella di gran parte dell’umanità.
Questi frutti dell’“economia che uccide”,
massimamente attribuibili all’imperante neoliberismo,
finiscono per alimentare uno scontro
tra gli ultimi (i migranti) e i penultimi (i
sottoproletari come si diceva in passato, i lavoratori
poveri, ecc.). Per una questione di
“vicinanza”, infatti, questi non vedono tanto i
ricchi predatori lontani (spesso oggetto di emulazione
più che di invidia) quanto i migranti
vicini che potenzialmente contendono lavoro
e servizi essenziali quali casa, sanità, scuola.
Una concorrenza fra poveri che il potere vede
di buon occhio perché allontana le masse dal
vero problema quale le enormi diseguaglianze
cui accennavamo. Far credere ai poveri che la
loro condizione è causata da coloro che sono
più poveri di loro è il capolavoro di questa economia
subdola e malata.
comprendere
come mai l’Europa, e l’Italia in particolare,
non siano riuscite in trent’anni ad affrontare
il problema dell’emigrazione senza uno
straccio di idea che non sia quella di accoglierli
controvoglia e di cercare di bloccarli dietro
compenso, in Paesi dove i diritti civili vengono
regolarmente ignorati (si veda a questo proposito
la Turchia prima, poi la Libia, ora la
Tunisia). Politiche oggi rilanciate sia in Europa
(von der Leyen) sia in Italia (Meloni e Salvini,
con Forza Italia acquiescente e i c.d.
Moderati neanche più foglia di fico).
Detenzione di 18 mesi in prigioni sparse sui
territori militarizzati, e sullo sfondo blocchi
navali. A sentire i governanti europei (compresi
gli italiani) che continuano a propinarci la stessa
minestra riscaldata, viene rabbia e depressione:
possibile che non si possano trovare idee
nuove, originali, creative?
Allora chi fa il primo passo verso un’accoglienza
strutturata consentendo flussi regolari
e continui? Nessuno! Tutti i governi sono terrorizzati
dall’idea di perdere voti. Chi fa il primo
passo è perduto... Così si pensa alla “fortezza
Europa”. Abbiamo, non solo noi italiani,
promosso una forsennata corsa ai consumi,
distrutto la convivenza civile a favore dell’individualismo
più sfrenato, frutto di una mirata
propaganda di disvalori, favorito una dealfabetizzazione
collettiva. Ed ecco il risultato!
Parallelamente, fin dagli anni ‘60, nei paesi
del c.d. terzo mondo e particolarmente in Africa
il post colonialismo economico ha diffuso quello
che gli economisti chiamavano “effetto di
dimostrazione” secondo cui, grazie soprattutto
a cinema e TV, tra i popoli poveri ampi strati
di popolazione sono indotti, per spirito di
emulazione, a desiderare e possibilmente acquistare
beni che sono loro preclusi, al fine di
“dimostrare” di poter attingere livelli di consumo
simili a quelli dei popoli occidentali. Non
per niente il presidente del Burkina Faso che
aveva osato affermare: “Produrre in Africa, trasformare
in Africa, consumare in Africa” è stato
assassinato.
Questa potrebbe essere, a nostro avviso, la
motivazione per cui l’Europa non sa uscire dal
cul de sac in cui si è infilata. Forse, anche se
volesse farlo, le sarebbe impedito dai player
mondiali e dal suo ruolo cadetto nell’economia
mondiale. Eppure qualcuno dovrà pur provare
a fare il primo passo, perché la staticità
attuale sarà ancor più deleteria della paura del
cambiamento e della mancanza di fiducia che
la provoca.
A onor del vero occorre ricordare che Angela
Merkel, nel 2015, ebbe il coraggio di accogliere
e integrare oltre un milione di siriani,
sia pure in maggioranza acculturati e quindi
più appetibili, mentre in Italia la Gabanelli ebbe
l’ardire, in quegli stessi anni, di proporre un
piano organico di accoglienza proponendo di
trasformare il dramma in opportunità.
Inutile dire che la proposta non fu neanche
presa in considerazione dai vari governi succedutisi,
mentre la Merkel fu aspramente criticata
da mezza Europa. Segno evidente della
limitatezza della classe politica europea. In Italia,
accantonata quella brillante idea, si è continuato
ad affidare al volontariato la gestione
del problema e ai comuni più volonterosi, contro
cui molti cittadini “per bene” insorsero
mentre iniziarono, e continuano tutt’ora, a scatenarsi
le scorribande dei fascio leghisti. Ma
perché questa avversione politica, sociale, a
volte anche violenta? Da un lato per i motivi
economico-culturali cui accennavamo prima,
e dall’altro per il pregiudizio negativo, neppure
scalfito dai successi nell’integrazione che
spesso queste iniziative conseguivano (vedi
Riace).
A questo punto vale la pena accennare ad
alcune esperienze che riteniamo più significative
di cui siamo più direttamente a conoscenza.
Ci preme ricordare, a questo proposito,
l’importanza della scelta del modello di accoglienza
utilizzato in precedenza nelle diverse
realtà regionali. Ad esempio, fin dal 2011 in
Toscana è stato scelto un modello di accoglienza
distribuita sul territorio (accoglienza integrata),
in opposizione alle ipotesi governative
fondate in buona sostanza su criteri di tipo
emergenziale. L’accoglienza servì alla Toscana
ad affrontare le prime ondate di profughi
provenienti specialmente dalla Tunisia e dalla
Libia. Tutto questo nonostante la Regione non
abbia una diretta competenza sull’immigrazione
e sull’organizzazione dell’accoglienza di
profughi e richiedenti asilo. L’accoglienza diffusa
è il solo modello giudicato in grado di
garantire inclusione e di preservare la coesione
delle comunità locali.
Nel Comune di Monastero di Lanzo, un centinaio
di residenti sulla carta, la Prefettura di
Torino ha collocato circa cinquanta richiedenti
asilo che vengono ospitati in un condominio
vuoto messo a disposizione dal proprietario ad
una cooperativa torinese. Per molti degli abitanti
della zona ci sono perplessità sull’idoneità
del contesto e sulle opportunità di integrazione
per i nuovi arrivati, “parlano tra loro nella
loro lingua”.
La Parrocchia di Vicofaro (Pistoia), guidata
da don Massimo Biancalani, è considerata un
vero e proprio “santuario di accoglienza”, un
rifugio per la notte. Un ultimo, estremo, “presidio
di umanità” come si legge nel gruppo
Facebook di don Massimo. È un vero peccato
però che l’Amministrazione pubblica di Pistoia
continui, in maniera sibillina, a fare la guerra
a questa realtà. Due esempi: gli addetti alla
nettezza urbana non raccolgono volutamente
l’immondizia fuori dalla porta della canonica,
nonostante i tantissimi
solleciti; il Comune ha
sanzionato con 20mila
euro la Parrocchia per
il mancato rispetto di
un altro atto del 2022
con il quale si dichiarava
l’inagibilità degli
spazi della canonica e
la conseguente inibizione
degli stessi agli
usi di accoglienza.
Una multa che don
Biancalani non sembra
aver accettato di
buon grado, visto che
ha recentemente annunciato
sulla propria
pagina Facebook l’intenzione
di ricorrere al
Tar.
Altro esempio: da
quasi tre anni, tutti i
venerdì, l’Associazione
Fornelli in lotta
di Rivoli (TO), cucina
una cena per i
migranti che sono
ospitati nel Rifugio
Massi di Oulx, in attesa
di tentare di attraversare
la frontiera a
Monginevro per vivere
in Francia. In questi
tre anni nulla è
cambiato, se non il
numero delle persone:
da qualche decina
a quasi duecento a metà settembre di quest’anno.
Migranti che giungono con i mezzi più
disparati, chi dalla rotta balcanica, chi dalle
rotte del Mediterraneo. Si parte nella notte e,
se respinti dalla polizia francese, si riprova la
notte successiva. Tutto sempre uguale: volontari
che accolgono, che regalano parole di
conforto e vicinanza, che distribuiscono scarpe
e vestiti. Una situazione di stallo inaccettabile,
che crea frustrazione al di là della doverosa
accoglienza.
Un ulteriore esempio è la cooperativa agricola
“La volpe e il mirtillo”, nata ad Ormea
nel 2018, che si propone di contrastare l’abbandono
dei terreni, mediante la pulizia dei
boschi, il taglio degli alberi morti o improduttivi
e messa in sicurezza dei sentieri, oltre a
piccoli lavori di ristrutturazione dei tradizionali
muretti a secco. I soci fondatori della cooperativa,
tutti competenti in materia, sono sette,
ai quali si sono aggiunti, in qualità di soci,
sei richiedenti asilo provenienti dall’Africa
subsahariana che hanno partecipato ad un progetto
di formazione/lavoro finanziato dalla
Regione Piemonte.
Alla luce della questione migranti, quale segno
del cambiamento d’epoca, forse è il momento
di capovolgere tutta l’attività frammentaria
sin qui realizzata, con un atto politico forte
capace di spronare le istituzioni e far intravvedere
la possibilità di nuove prospettive. Da
parte nostra, nel precedente editoriale abbiamo
espresso il nostro sommesso parere. “I migranti
sarebbero la mossa del cavallo se non
fossero considerati come merci o, nel migliore
dei casi, soggetti da integrare o assimilare
al nostro modo di vita, imponendo loro di abbandonare
la cultura di cui sono portatori come
fosse irrilevante o non rispettabile. I migranti
visti come esseri umani da porre alla pari con i
cittadini italiani, soggetti di diritti e di doveri
potrebbero costituire la nuova linfa rigeneratrice
della pianta malata del bel paese. (...) Noi
abbiamo bisogno di loro quanto loro hanno
bisogno di noi. Accogliere consapevolmente
la migrazione come evento purificatorio, portatore
di vita”.
È la conclusione che ribadiamo perché mostrare
i muscoli, come fa il governo, fino al
punto di internare indiscriminatamente tutti i
nuovi arrivati, è un segno di inadeguatezza,
mentre avremmo bisogno di scelte coraggiose
capaci, appunto, di trasformare i problemi in
opportunità.