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Pace e resistenza tra solstizio ed equinozio, tra Carnevale e Quaresima



Data: 20 Gennaio 2021
Autore: Gianfranco Monaca



Probabilmente dobbiamo escogitare
nuovi metodi di protesta non violenta,
escludendo anche il suicidio rituale,
storicamente inefficace, e le
auto-bomba, brevetto esclusivo dei
mafiosi e dei servizi segreti (deviati, naturalmente),
e dare un senso alla parola “Resistenza”
che esca dalla ritualità ormai incomprensibile
a chi ha meno di vent’anni.
Perlomeno avremo un buon motivo per dare
un significato credibile alla nostra scelta di campo:
o di qui o di là. Per la prima volta nella
storia della Chiesa il papa mette chiaramente
un punto fermo al nostro devozionismo: “È ora
di fermarsi” diceva papa Francesco all’Angelus,
ricordando il centenario dello scoppio della
Prima Guerra Mondiale (1914), che “causò
milioni di vittime e immense distruzioni” e “sfociò,
dopo quattro lunghi anni, in una pace risultata
più fragile. Domani sarà una giornata
di lutto nel ricordo di questo dramma”.

Il nuovo anno sarà il centenario - ha ricordato
il presidente Mattarella nel messaggio di Capodanno
- dell’inaugurazione del “Vittoriano”
come “sacrario del Milite Ignoto”, uno dei
seicentomila morti nell’“inutile strage”. E
Mattarella ha ringraziato il papa per il suo magistero,
che dice appunto: “Non si ripetano gli
sbagli del passato, ma si tengano presenti le
lezioni della storia, facendo sempre prevalere
le ragioni della pace mediante un dialogo paziente
e coraggioso”.

L’appello di papa Francesco si era concluso
allora con un’ulteriore vigorosa esortazione ai
potenti della terra: “Fermatevi, per favore! Ve
lo chiedo con tutto il cuore. È l’ora di fermarsi!
Fermatevi, per favore!”.
Sarà difficile applicare questa scelta di campo.
Come dice Sergio Sbragia a proposito del
“miracolo di san Gennaro” (pag. 8), è difficile
convincersi della “banalità del bene” quanto
della “banalità del male”. Tra il male e il bene -
dice Paolo De Benedetti citando gli antichi rabbini
- c’è una distanza infinita come tra le due
facce di un’unica pagina. Come tra l’oriente e
l’occidente; come le due opposte direzioni di
un’unica strada. Ma chi sceglie una direzione
non può scegliere quella opposta, per quanto
piccoli siano i passi che fa. Si sceglie la direzione
e si cerca di seguirla, anche se con i limiti
e le contraddizioni che caratterizzano la nostra
fragile umanità. E le persone che pensano
in un modo non previsto dal regime prima si
cerca di comprarle, poi, se non sono in vendita,
le si elimina in un modo o nell’altro. Prima che
a Yeoshua/Gesù di Nazareth, Stefano, Paolo,

Pietro, Ignazio, Giustino e agli altri martiri
cristiani, era capitato a Ovidio, destinato dal
potere di Roma all’esilio in terre lontane, a
Seneca, e non sappiamo a quanti altri, quando
la “vera religione” non aveva ancora fabbricato
gli eretici bruciandoli “per la maggior Gloria
di Dio”. Nella più assoluta normalità.

Ricordiamo anche che siamo il paese delle
maschere. Il Carnevale e la Quaresima possono
aiutarci a pensarci sopra. Com’è noto, i caratteri
della celebrazione del carnevale hanno
origini in festività molto antiche, come per
esempio le dionisiache greche o i saturnali romani.
Durante le feste dionisiache e saturnali
si realizzava un temporaneo scioglimento dagli
obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar
posto al temporaneo rovesciamento dell’ordine
costituito, e comportava anche la partecipazione
di gruppi mascherati, e da qui l’origine
dell’immagine di Metamorfosi, trasformazione
di un attore che, cambiando maschera (persona),
interpreta personaggi diversi. Ma la
Quaresima è il tempo dedicato alla conversione,
quindi alla metanoia che ricupera l’idea del
cambiamento ma la accentua (in senso di cambiamento
del modo di pensare) che la metamorfosi
(trasformazione) lascia al livello dell’aspetto,
appunto della forma. Ma se la metamorfosi
è sgradita al potere o giudicata troppo
audace o “prematura”, Ovidio servirà di lezione.
Per questo, per prudenza, è nato il teatro
“dove tutto è finto - come diceva Proietti - ma
niente è falso”, e la metamorfosi è diventata
metafora. Anche religiosa (1).

Per millenni abbiamo tentato di mettere insieme
la cultura della pace con quella della
guerra. Quante volte abbiamo sentito dire che,
“se l’America non fosse intervenuta con la sua
potenza bellica nella seconda guerra mondiale,
saremmo diventati schiavi dei nazisti”. Dunque
“si vis pacem, para bellum”: se vuoi la
pace, preparati alla guerra. Di qui cominciano
a divergere la strada e il senso delle parole. Non
si può indossare la maschera del devoto del
presepio e del rosario e non mettere in questione
la vendita delle armi a un paese che non rispetta
i diritti civili.
E la resistenza assume un nuovo senso e un
nuovo compito.
Su guerra e pace, il Trattato per la proibizione
delle armi nucleari (TPNW) - che punta alla
“completa eliminazione” delle armi nucleari
come “unico modo per garantire che non siano
mai usate in nessuna circostanza” - adottato da
una Conferenza delle Nazioni Unite il 7 luglio
2017, è entrato in vigore il 22 gennaio 2021
essendo stato ratificato da 51 Paesi, dopo aver
raggiunto il traguardo delle 50 firme il 24 ottobre.
Un trattato che sarà legalmente vincolante
solamente per le nazioni firmatarie.
Ma l’Italia non sembra avere alcuna intenzione
di aderire. In linea con i partner NATO
e con le nazioni che detengono armamenti nucleari,
ha preso le distanze dai lavori ONU sin
dall’inizio. Come ha spiegato alla Camera un
sottosegretario dell’esecutivo Gentiloni, è stato
«ritenuto inopportuno sostenere iniziative
suscettibili di portare a una forte contrapposizione
in seno alla Comunità internazionale».

Ancora più dura la posizione del Governo giallo-
verde (Conte I), che ha addirittura sollevato
«dubbi circa la reale capacità del Trattato di
porsi quale strumento di disarmo nucleare irreversibile,
trasparente e verificabile».
Tra le aderenti al trattato anche Kiribati, Tuvalu,
Nauru, minuscole nazioni di cui quasi si
ignora l’esistenza, ma nessuna nazione tra quelle
che contano sullo scacchiere internazionale.
Può essere questo, per noi, una metafora, un
motivo di speranza. Cioè che la speranza, quando
non è solamente una parola, può nascere e
portare frutti solamente all’interno delle minoranze,
tra chi non conta, tra coloro che sono
guardati, dai potenti, con un sorriso di compatimento.
La pandemia avrà portato consiglio? Quale
metamorfosi avrà prodotto nelle coscienze,
nelle istituzioni, nelle Chiese? Lo Stato Città
del Vaticano, per la verità, l’ha ratificato, ma la
“pastorale ordinaria” è muta. Quando la risurrezione
ricomincerà ad essere insurrezione?

(1) Cfr. Ernesto Buonaiuti, Amore e morte nei
tragici greci, Roma 1938