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Lo Stato investe in cacciabombardieri: spese per 15 mld euro



Data: 20 Maggio 2010
Autore: Maria Pia Telera



LE notizie spiacevoli che giungono dal fronte afgano e l’indebolimento dell’euro rimandano alla decisione delle commissioni difesa di Camera e Senato che hanno approvato, lo scorso aprile, in via definitiva l’acquisto dalla statunitense Lockheed Martin di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter, F35.

Cacciabombardieri che sostituiranno, entro il 2026, i velivoli in dotazione alle nostre Forze armate. Spesa ipotizzata 15 miliardi di euro, che si aggiungono ai 7 miliardi già destinati per 121 Eurofighter Typhogon, caccia di fabbricazione europea. Una corsa alla difesa che non ha ottenuto la giusta attenzione dei grandi media, iniziata nel 1996 con il consenso di tutti i governi che si sono succeduti in questi anni.

Capofila dell’affare economico-militare gli Stati Uniti, affiancati dalla Gran Bretagna, seguiti dall’Italia e dall’Olanda. In un tale progetto le nostre imprese del settore sono già coinvolte, con relativi investimenti nelle fasi di studio e sviluppo, nella realizzazione e manutenzione di parti dei velivoli. La previsione di un centro di assemblaggio e manutenzione degli F35 presso l’aeroporto di Cameri, vicino Novara – capace di rispondere alle esigenze di Europa e Medio Oriente – rappresenta un forte argomento persuasivo, che si aggiunge alle sollecitazioni del dipartimento della Difesa americano che ha previsto un ritorno da 2 a 40 volte il valore di ogni dollaro investito nel progetto. Gli F-35 dotati di una formidabile proiezione offensiva, anche con ordigni nucleari, sono funzionali – come sostiene l’autorevole Istituto affari internazionali – al nuovo modello di difesa europeo imperniato sulla logica di assicurare il potere aereo fuori dal vecchio continente per «affrontare l’insorgere di minacce alla sicurezza o agli interessi vitali dell’Europa».

Nel nuovo contesto internazionale, ormai il ruolo dell’Italia consiste nel dispiegare armi e truppe nelle zone calde del mondo. L’aspetto transatlantico è evidente: il rafforzamento del vincolo bilaterale con gli Stati Uniti e l’Alleanza Atlantica sono un obiettivo importante per la coesione di uno dei due pilastri su cui si basa la politica di difesa italiana. In Afghanistan, ad esempio, come afferma il professore di relazioni internazionali Vittorio Emanuele Parsi, «la situazione è tale da richiedere non più peace-keeper, ma peace-warrior. Servono cioè truppe che combattano per riportare la pace nel Paese e non per mantenerne una ormai inesistente». La federazione europea dei lavoratori metalmeccanici segnala come ad un aumento del fatturato delle aziende belliche non corrisponda affatto, come si crede, un’equivalente crescita dell’occupazione.

Per Gianni Alioti, dell’Ufficio internazionale della FimCisl, lo stesso importo di 15 miliardi investito nel settore dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, secondo stime basate sull’esperienza tedesca, sarebbe in grado di creare dai 116 mila ai 203 mila nuovi posto di lavoro. Mentre nel 2006, l’allora capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, generale Leonardo Tricarico, prevedeva 10 mila occupati aggiuntivi come effetto del programma F35. Negli ultimi dieci anni si riscontra un aumento del 45 per cento delle spese militari a livello mondiale. La Cina fornisce l’Africa di armi in cambio di petrolio e materie prime mentre i governi concludono accordi politici per assicurare alle loro aziende commesse di armi da Paesi che dovrebbero invece combattere contro la crisi economica in atto.

La decisione sugli F35 sostenuta dalla maggioranza e dall’opposizione del Parlamento si situa in questo precario contesto economico e fortemente influenzato da equilibri strategici internazionali. L’obiettivo primario dovrebbe rimanere quello di rimettere in sesto i bilanci pubblici come impone la crisi dei debiti sovrani in Europa, che ha costretto le istituzioni europee al varo di un piano di salvataggio dell’euro. L’Italia, anche se durante la crisi è riuscita a contenere il deficit, ha un debito pubblico che supera il 118% del Pil. Ora non ci resta che attendere le sorprese della manovra bis che il Governo dovrebbe varare entro l’estate.