La lega araba e il piano di pace israelo palestinese

Rifiuti e speranze

Mentre sfogliavo i quotidiani del 28 marzo scorso, mi ha colpito la foto di un bambino che saltava dalla parte alta del muto di Gerusalemme sullo scalino basso con evidente atteggiamento di soddisfazione. Dagli abiti semplici, si trattava con tutta probabilità di un bambino palestinese. Fuor di retorica, i bambini palestinesi portano su di sé il peso maggiore di un conflitto che dura ormai da più di un secolo, infatti non possono studiare, giocare insieme ai compagni – l’unico gioco è forse saltellare sul muro -, crescere come converrebbe ad ogni bambino in una pace sia pure relativa, avere i genitori che li assistono – spesso i padri sono morti sotto i loro occhi in guerra e le madri provvedono al sostentamento -, e progettare un avvenire sereno. Allo stesso tempo quei bambini sono i portatori della speranza di un futuro migliore.

Meno probabilmente era un bambino israeliano. Di loro si può dire qualcosa di simile quanto a incertezza, ma in scala sicuramente minore, avendo questi una situazione di qualche privilegio, se non altro per le protezioni internazionali di cui godono oggi gli israeliani.

Il 27 e 28 marzo si è riunito a Riyad il vertice della Lega araba per discutere il piano di pace dell’Arabia Saudita e accolto da tutti i ventidue paesi aderenti alla Lega, già proposto nel vertice di Beirut nel marzo del 2002 senza successo. Il piano di pace comprende il riconoscimento di Israele da parte di tutti i ventidue paesi arabi, a patto che Israele si ritiri da tutti i territori palestinesi occupati dalla guerra dei sei giorni del 1967, richiede inoltre agli israeliani la restituzione di Gerusalemme est, lo smantellamento delle colonie in Cisgiordania e la possibilità di ritorno dei profughi palestinesi, sancita dalla risoluzione 194 dell’ONU.

Il sovrano saudita ha una maggior autorevolezza in sede di vertice della Lega, infatti attraverso l’azione diplomatica ha mediato per avvicinare le fazioni palestinesi al Fatah ed Hamas, fino al raggiungimento di un  governo di unità nazionale palestinese, che, secondo Abu Mazen, soddisfa quasi tutte le condizioni poste dalla comunità internazionale. Il re saudita esordisce al vertice in modo duro, affermando che è diventato necessario ed urgente porre fine prima possibile all’ingiusto blocco economico imposto al popolo palestinese, in modo che il processo di pace possa muovere in un’atmosfera lontana dall’oppressione e dalla forza.

Da parte sua Olmert esprime, alla vigilia della Pasqua ebraica, la volontà di dialogo di Israele ed invita i capi degli stati arabi, incluso il re saudita, definito un leader molto importante, ad avere colloqui con gli israeliani. Olmert cioè, se non altro per la drammatica crisi in cui versa la situazione in Medio Oriente, ha rivalutato la proposta saudita, bocciata nel 2002, trovando in essa alcuni elementi di interesse.

Lo svolgimento del vertice e le sue conclusioni tuttavia non hanno dato i risultati che le premesse sembravano promettere.

Gli ostacoli, sotterranei o palesi, erano e sono numerosi, gli stessi del 2002. Perez, vice premier israeliano, ha anticipato durante lo svolgimento del vertice le posizioni reali di Israele, affermando che non si può imporre allo stato ebraico il piano saudita, formulato in modo unilaterale. Il rifiuto israeliano è di fatto su tutti i punti posti dagli arabi, non solo l’abbandono dei territori occupati e il riconoscimento di Gerusalemme est ai palestinesi, ma anche il ritorno dei profughi che raggiungono la cifra di 3-4 milioni di persone.

Da parte araba, le differenziazioni dei ventidue paesi non sono poca cosa. L’Arabia Saudita vuol subentrare all’Egitto nell’egemonia dei paesi arabi. L’assenza del premier libico ha avuto il suo peso: Gheddafi ha schernito i capi arabi affermando che non fanno altro che eseguire gli ordini degli americani. I paesi arabi in effetti non sono compatti, a causa delle loro diverse ricchezze e delle alleanze internazionali che li caratterizzano.

Alla conclusione del vertice il premier israeliano Olmert ha rivolto ai leader arabi la proposta di organizzare una conferenza di pace regionale per uno scambio di vedute su una possibile risoluzione del conflitto mediorientale.  Il rifiuto da parte palestinese è stato netto, espresso sia da Mustafa Barghuti, ministro dell’informazione, sia da Abu Mazen. La proposta fatta ai leader arabi da Olmert significa un tentativo di sfuggire al piano arabo  che offre pace in cambio del ritiro di Israele dai territori arabi e palestinesi occupati dal 1967. Inoltre la proposta israeliana della conferenza di pace regionale, rivolta ai leader arabi, tiene ai margini proprio i diretti interessati, i palestinesi.

La situazione quindi non migliora nel Medio Oriente e presso i palestinesi. Abu Mazen non riceve neppure il riconoscimento internazionale del nuovo governo, non riesce ad avere un’estensione alla Cisgiordania di una tregua simile a quella, sia pure precaria, della striscia di Gaza, non ottiene il cessate il fuoco e la rinuncia dell’esercito israeliano ai raid in Cisgiordania, che continuano senza tregua. I fatti di cronaca quotidiana diffusi dai mass-media parlano chiaro, segnalano infatti il proseguimento ed a volte l’acutizzarsi del conflitto. Le reazioni di parte palestinese sono inevitabili. Il gioco delle parti continua: chi ha cominciato prima, chi è più feroce, la lista dei rimandi è lunga. La storia passata, che illuminerebbe le ragioni ed i torti delle due parti, che indicherebbe chi sono gli occupanti e chi gli occupati ed i profughi, sembra esser avvenuta invano.

Condoleezza Rice, segretario di stato Usa, quindi di parte repubblicana, e Nancy Pelosi, presidente della Camera di parte democratica, sono in zona per tessere relazioni diplomatiche vecchie e nuove per la politica del dopo Bush. Entrambe tuttavia, benché di parti politiche opposte, tendono a conservare l’egemonia americana sull’area mediorientale tanto preziosa economicamente e strategicamente.

In occasione delle festività pasquali, potranno recarsi a Gerusalemme solo i palestinesi  di fede cristiana. Ancora una volta dobbiamo affidare le nostre prospettive di pace alla speranza.

(1 aprile 2007)

Mario Arnoldi