Dal terremoto del kashmir alla legge finaziaria

Lacrime e sangue

Dopo aver dedicato due puntate alla marcia Perugia Assisi, per il suo valore di pressione sull’opinione dei regnanti e della base sociale, ritorno all’analisi della cronaca mondiale e italiana. Le notizie internazionali del 13 ottobre, giorno in cui scrivo, vedono in primo piano ancora il terremoto che ha colpito, quattro giorni fa, con devastanti effetti, il Kashmir indiano ed il Kashmir pakistano. Il Time of India afferma che le vittime sono 81.000 ed altre si aggiungeranno. Tuttavia la cifra è da prendere con cautela, infatti il primo ministro pakistano, che aveva parlato di 33.000 morti, ieri ha ridimensionato a 23.000 le vittime della catastrofe. Tutta la stampa internazionale parla dei dolorosi avvenimenti e mette in evidenza il vuoto d’informazione e l’ignoranza della situazione, che impedisce di capire quanti e quali siano le zone più bisognose d’aiuto. E’ certo tuttavia che, oltre la conta dei morti, molte migliaia di persone sono senza casa ed altri sono sommersi dalle macerie, dall’acqua e dal fango e si teme per la loro sorte, se i soccorsi non giungeranno in tempi brevi.

Sui soccorsi, chi afferma che siano giunti numerosi da parte della comunità internazionale, altri invece sostengono che siano assolutamente insufficienti, tenendo conto che agli effetti del terremoto si debbono aggiungere, come già accennato, gli ostacoli che si sono aggiunti a causa delle piogge torrenziali che hanno isolato molte città che rischiano di scomparire senza soccorsi.

Tra i miracoli improbabili c’è una distensione tra India e Pakistan. Tonnellate di aiuti indiani stanno arrivando al Pakistan, ma la cooperazione si ferma qui. Islamabad ha rifiutato l’aiuto dei genieri militari ed anche i loro elicotteri. Le comunicazioni civili restano interrotte. Ieri il chief minister dello stato indiano di Jammu e Kashmir, Mufti M. Syed, ha chiesto al primo ministro Singh di permettere i collegamenti telefonici tra i due territori, in modo che le famiglie possano scambiarsi notizie sui vivi e sui morti. La frontiera di fatto, aperta lo scoro aprile dopo 60 anni di ostilità, ora è interrotta per il crollo di alcuni ponti. E anche i ponti politici restano molto fragili.

Inevitabile la polemica sulle strutture insufficienti sia dei mezzi di soccorso, sia delle strutture degli edifici nella zona terremotata. Uffici, case, scuole, università ospedali sono crollati alla prima scossa. La miseria e la povertà di certe regioni sono fondate anche su questi aspetti.


Dall’Iraq. E’ stato fatto un accordo tra sciiti e curdi e, d’altro lato, movimenti sunniti. A quattro giorni dal referendum sulla nuova costituzione, i sunniti islamici iracheni sosterranno il referendum invitando i loro ad andare a votare. I sanniti potranno tornare nel processo di pace iracheno. In una lettera del 9 luglio scorso, resa nota solo ora, gli statunitensi dicono d’essere pronti a lasciare l’Iraq, appena gli iracheni saranno in grado di gestire la cosa pubblica in modo autonomo. Si attendono ulteriori conferme e sviluppi della situazione.


Dall’Italia la notizia in prima pagina è il dibattito alla camera sulla legge finanziaria e sulla riforma della legge elettorale. Ci fermiamo oggi sulla legge finanziaria, (riportando un articolo dell’economista Galapagos), riprendendo nei prossimi “appunti di viaggio” le leggi sulle riforme della giustizia del 2 luglio scorso e della legge elettorale, ultimi gioielli della serie delle leggi ad “propriam utilitatem”, invece che per il vantaggio dei cittadini.


Legge Truffa (la finanziaria italiana), Galapagos, il manifesto 05.10.2005.

Domenica (già trascorsa, 09.10.2005, ndr) il centro sinistra sarà in piazza a Roma per manifestare contro la“legge truffa”. Ma la vera truffa è un’altra: la legge finanziaria, contro la quale lunedì Ggil Cisl e Uil dovrebbero proclamare uno sciopero generale. Ieri Tremonti ha detto: una legge che scontenta tutti, significa che è una finanziaria seria. Falso: non si tratta di una finanziaria seria, ma di una finanziaria sbagliata, hanno replicato i sindacati. E gli sbagli sono davvero tanti.

Una premessa è necessaria: non è vero che la finanziaria scontenta tutti: Quella presentata pochi giorni fa è la quinta legge di bilancio dai connotati decisamente di classe. Questo significa che c’è sempre qualcuno che viene beneficato. Guardate i tagli: sono concentrati sugli enti locali, cioè sulle spese per il welfare. E sono tutti pesanti: lo scorso anno era stato deciso che le spese non sarebbero potute aumentare più del 2%; ora sappiamo che i tagli saranno di circa il 6%. Ma non mancano tagli anche alle amministrazioni centrali. Alcuni sono illogici: i tagli alla cultura, ad esempio, imporranno di aumentare il prezzo dei biglietti dei musei frenando quel turismo culturale che quest’anno e lo scorso anno è stato l’elemento più dinamico di un’economia sottotono.

Molti chiedevano un riequilibrio delle aliquote fiscali. Ha senso che i pensionati paghino con aliquote superiori a quelle della rendita? Che l’imposta sugli utili delle imprese sia quasi il triplo di quanto pagano gli speculatori? Ha senso che la rendita in Italia sia tassata al 12,5% mentre l’aliquota media in Europa è al 20%? Ovviamente no, ma il governo non ha mosso un dito (in 5 finaziarie) neppure per riequilibrare le aliquote, favorendo così la rendita fiscale. Non è politica di classe questa?

Il governo ha fatto una concessione agli industriali: la riduzione di un punto percentuale degli oneri sociali. Il cuneo, insomma, si riduce, ma solo a favore degli imprenditori: per il lavoro non c’è un centesimo. Eppure è il lavoro dipendente il soggetto economicamente più debole; sono i lavoratori dipendenti che non arrivano alla fine del mese.

Questa finanziaria passerà alla storia come la finanziaria del “tubo”: le reti di trasporto dell’energia saranno tassate pesantemente, almeno 800 milioni già nel 2006 il gettito previsto. In tempi di caro energia non è proprio una buona idea. Anche se il governo garantisce che impedirà alle imprese di traslare la tassa sui consumatori il problema è esattamente l’opposto: serviva eventualmente una defiscalizzazione dell’energia per alleggerire l’impatto delle quotazioni sui prezzi. Per mesi abbiamo sentito vari ministri giurare e spergiurare che un provvedimento simile era allo studio, ma ora sappiamo che l’energia seguiterà ad aumentare. E, ovviamente, a dover fare i conti con il caro-energia saranno i ceti medi. A proposito: perché non tassare anche le antenne dei cellulari che oltretutto producono inquinamento elettromagnetico?

Che sia una finanziaria di classe lo conferma la decisione di blindare la legge: Fini e Tremonti hanno la delega a porre la fiducia se il dibattito parlamentare ne metterà in dubbio le false verità. E a proposito di verità, conviene riflettere sull’ultima di Tremonti: ieri ha dichiarato che l’11 settembre non c’entra nulla con la crisi. E’ vero, la crisi è partita prima, sia per l’economia reale che per quella finanziaria. Anzi, proprio grazie alle politiche espansive post 11 settembre, l’economia aveva ripreso a crescere. Il manifesto (e non solo) lo aveva sempre sostenuto. Tremonti e Berlusconi, invece negavano: gli serviva un alibi per giustificare i fallimenti della loro politica economica. Ora Tremonti ci ripensa e parla di crisi strutturale, per cercare nuovamente di giustificare quattro anni di fallimenti e la vacuità della finanziaria. Ma è tardi: già da domenica e poi con lo sciopero c’è da augurarsi che il governo venga mandato a casa. Forse con poco anticipo. Ma come diceva il maestro Manzi, “non è mai troppo tardi”.

(15 ottobre 2005)

Mario Arnoldi