No dei francesi alla costituzione europea

Per un’europa sociale

Esprimo innanzi tutto la gioia, interpretando, penso, i sentimenti di molti, per le liberazioni di Clementina Cantoni, di Florence Aubenas e Husseini, avvenute nei giorni scorsi. Inoltre, quando usciranno questi appunti, saranno noti i risultati del Referendum italiano e dei suoi quattro quesiti abrogativi di parte della legge 40 sulla fecondazione assistita. Di questo abbiamo parlato tempo fa, in febbraio, appena il Card. Ruini si espresse per la prima volta per l’astensione dal voto. Probabilmente non verrà raggiunto il quorum. Segnalo uno dei primi articoli di commento, che trovo interessante, apparso su il Riformista del 13 giugno stesso, dai titoli e sottotitoli seguenti: Post-Democrazia. Ruini e Ricucci segnalano la nuova gerarchia dei poteri. Chiesa e Aristocrazia, la politica si portan via.

Il tema di oggi è la Costituzione europea. I Francesi si sono espressi contro. La percentuale dei no è stata alta, il 55% circa. Il mercoledì successivo anche i Paesi Bassi bocciavano la stessa Costituzione. Dissenso quasi plebiscitario, il 65 %.

Benché le previsioni dei sondaggi avessero annunciato questi risultati, quando la realtà li ha confermati, lo choc dell’Europa favorevole alla Carta è stato grande. Mezzo secolo di lavoro per la costituzione del nostro continente in un’unità, che potesse pesare nella politica internazionale, sembrava andato perduto in un sol giorno. Chi invece aveva manifestato, sia in Francia sia nei Paesi Bassi perché i no trionfassero, gridava alla vittoria. Cercherò di dare qualche elemento per capire il motivo di giudizi così diametralmente opposti. Le mezze misure, cioè gli incerti, sono stati pochi.

Percorrendo quindi alcuni giudizi di segno diverso, dall’appoggio incondizionato alla contrapposizione radicale, segnalo dapprima la posizione di Timothy Garton Ash, che afferma come l’Europa all’inglese è il male ed il rimedio. Una posizione che in prima battuta esprime una contraddizione all’apparenza insuperabile perché la Francia non accetterà mai la politica inglese, ma successivamente afferma l’inevitabilità in futuro della linea blairiana, vincente sul piano economico e del benessere del popolo, che ha dimenticato addirittura gli errori riguardo all’adesione alla guerra di Bush, quindi la più valida e la più efficace per tutto il continente. (la Repubblica, 06.06.2005).

Sullo stesso giornale, qualche giorno dopo, Jürgen Habermas, filosofo che ha mosso i primi passi all’interno della scuola di Francoforte, per poi aprire ad altri orizzonti la sua ricerca, inizia sottolineando, come tanti altri, lo scollamento della Carta dagli interessi dei cittadini. “Il processo dunque è portato avanti essenzialmente non dai cittadini, ma dai governi che hanno eletto. Finché se ne sono avvantaggiati, i cittadini erano soddisfatti. Ma in tempi di profonde trasformazioni dell’economia mondiale, in un’Europa dei 25 di cui è sempre più difficile avere una visione d’insieme, si profilano conflitti di ordine distributivo, rispetto ai quali una legittimazione fondata sul puro e semplice rendimento non basta più. Ora i cittadini vogliono sapere dove li condurrà questo progetto che incide quotidianamente sulle condizioni di vita di ognuno. Per conquistare il loro consenso, l’unificazione europea deve riallacciarsi ad una prospettiva politica. (…) Il paesaggio europeo era comunque già minato dagli interessi contrastanti di ricchi e poveri, grandi e piccoli, membri fondatori e ultimi arrivati. E per di più le storie nazionali, con i loro miti contrastanti, scavavano fossati profondi. I politici avevano le loro buone ragioni per eludere una discussione aperta sulle finalità dell’unificazione europea. Ora però l’elettorato caparbio ha accumulato davanti alla propria porta tutta la spazzatura che da decenni si era preferito nascondere sotto il tappeto”.

In positivo Habermas propone: “Oggi l’Ue è paralizzata dal conflitto irrisolto tra concezioni diverse e inconciliabili degli obiettivi. Le istituzioni europee devono ad un tempo interiorizzare questo conflitto e portarlo alla luce, per poter trovare soluzioni produttive… Bisogna verificare se esiste, innanzi tutto, negli stati aderenti all’Unione monetaria, la disponibilità ad una cooperazione rafforzata. E a loro volta le regole di questa cooperazione potrebbero indicare la strada alla futura Costituzione”. Come si può osservare, la posizione di Habermas è particolarmente sensibile alla considerazione delle istanze di tutte le componenti l’Unione europea e ne auspica una felice integrazione. (la Repubblica, 09.06.2005).

Infine le posizioni della sinistra radicale, senz’altro valide, anche se problematiche sul piano della realizzazione.

Luciana Castellina il martedì 31 maggio sottolineava che è stata sbriciolata l’arrogante sicurezza di élites politiche, non solo d’oltralpe, a tal punto incapaci di capire i loro stessi militanti da non riuscire a prevedere quanto fosse profonda la diffidenza per questa Carta che gli veniva calata sulla testa. Sottolineava che soprattutto le sinistre l’hanno bocciata e, più nel merito, auspicava una “de-costituzionalizzazione” del capitolo III del Trattato, quello consacrato alle “politiche e azioni interne”, in particolare i capitoli relativi al mercato interno e alla politica economica e monetaria. (il manifesto, 31.05.2005).

Rossana Rossanda, qualche giorno dopo, metteva in risalto come la Carta fosse l’imposizione ai francesi ed agli europei di un edificio istituzionale che ne avrebbe determinato l’esistenza, devastando lo scenario sociale su cui avevano vissuto da mezzo secolo. Citava Brecht, che ironicamente affermava “Il popolo ha dato torto al comitato centrale, sciogliamo il popolo!”. Con la Carta veniva cancellato quel compromesso sociale che era stato il modello europeo dopo due guerre mondiali: era sacrificato il riconoscimento dei diritti dei ‘senza capitali’, dei lavoratori in produzione e cittadini non più o non ancora in produzione (pensionati e studenti) in nome di un solo sacro principio: la libera circolazione su scala mondiale di capitali e merci. (il manifesto, 03.06.2005).

L’auspicio finale è che la revisione della Costituzione, sfoltita di qualche centinaio di pagine, come si conviene alle grandi costituzioni che hanno segnato la storia, possa indicare se non un’alternativa totale per lo meno un contenimento forte al mercato selvaggio di denaro e merci che il sistema attuale neoliberista impone, continuando ad arricchire i ricchi ed impoverire i poveri che si fanno sempre più numerosi e possa nascere da una consultazione di base previa, e non seguente, a giochi fatti. Le bugie hanno le gambe corte.

(15 giugno 2005)

Mario Arnoldi