Nobel per la pace all’ecologista Wangari Maathai

Perplessita’ per i Nobel dell’economia

Ricevo e trasmetto una nota, che condivido, di Attac, una delle organizzazioni dei movimenti altermondisti che s’interessa soprattutto di lotta alle speculazioni finanziarie. “I Premi Nobel assegnati per la Pace e per l’Economia dicono l’enorme contraddizione in cui siamo immersi. Se va valutata con grande soddisfazione l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Wangari Maathai, ecologista radicale keniana, per i suoi intrinseci elementi (donna, africana, ecologista consapevole che la lotta alla guerra passa per l’opposizione radicale alle politiche neoliberiste di rapina delle risorse ambientali), l’assegnazione del Premio Nobel per l’Economia all’ortodossia neoclassica del liberismo monetarista rappresentata da Finn E. Kydland ed Edward C.Prescott (in buona sostanza i “padri” del Trattato di Maastricht e del Patto di Stabilità Europeo) la dice lunga su come la lotta sia ancora lunga e conflittuale. Segnaliamo, al proposito, il bell’articolo su il manifesto, scritto da Emiliano Brancaccio (www.ilmanifesto.it; martedì 12 ottobre 04, p.15). Per il Comitato Nazionale, Marco”.

Rimandando la materia economica alla lettura dell’articolo citato, mi soffermo sul Nobel per la Pace Wangari Maathai, ecologista africana, che da trent’anni ripopola le foreste del Kenya e di altre zone dell’Africa. La riforestazione si contrappone all’invadente azione di desertificazione progressiva operata dalle grandi aziende multinazionali, dà la possibilità di “raccogliere legna “ e di acquisire terra, è quindi fonte di sussistenza delle popolazioni indigene e pone le condizioni per evitare i conflitti e le guerre per il possesso delle materie necessarie alla vita.

E’ evidente quindi la risposta a chi ha obiettato “cosa c’entrano gli alberi con la pace”. La connessione è chiara da quanto accennato sopra e va apparendo sempre più evidente con i danni che il depauperamento degli elementi della natura crea negli equilibri dell’esistenza dell’umanità sul pianeta.

Analizzando più nei particolari gli aspetti del Nobel, sottolineo che Maathai è “donna” e punta decisa sulle donne africane, cogliendone il ruolo fondamentale per la sopravvivenza delle comunità e le grandi potenzialità di gestione sociale e politica. Protagoniste sono infatti le donne dei villaggi, che dalla forestazione ottengono anche un piccolo reddito, migliorando la loro condizione. Per questo già dal 1976 Maathai lavorava per il National Council of Women del Kenya.

Nel 1977 ha fondato il Green Belt (cintura verde), organizzazione che ha piantato dal suo inizio 30 milioni di alberi. L’iniziativa successivamente dal Kenya si è estesa anche in Etiopia, Uganda, Tanzania, Malawi, Zimbawe, Lesotho. Questi paesi, distribuiti nella parte orientale dell’Africa, costituiscono appunto una “cintura verde”, che, nella misura in cui si estenderà, potrà abbracciare anche altre zone del continente. “Combattendo la desertificazione si combattono la povertà ed i conflitti. Vorrei che passasse una legge che obbligasse tutti a destinare il 10% del terreno di proprietà alla crescita di alberi. Non è tanto, ma sarebbe sufficiente per raggiungere quella soglia del 10% del territorio nazionale coperto da alberi che le Nazioni Unite stimano essere il minimo necessario per lo sviluppo sostenibile. Soltanto l’ 1,6% del Kenya è attualmente coperto da alberi”

In un’intervista rilasciata a Federica Bianchi, apparsa su La Repubblica del 9 ottobre, della quale ho appena citato un passaggio, la Maathai alla domanda su come fosse nata l’idea di piantare alberi ha risposto: ”Durante una conferenza per parlare dei problemi delle donne, nel 1975, organizzata dall’Onu, le donne del Kenya si lamentavano dell’urgente necessità di acqua e legna da ardere: mi resi conto che i loro problemi erano tutti problemi ambientali e che sarebbero stati eliminati piantando alberi. Ho cominciato dal mio giardino di casa e poi abbiamo iniziato a dare un piccolo compenso per ogni albero che ogni donna avrebbe piantato”.

La difesa degli alberi la pone in contrapposizione con il potere e con il regime del presidente Daniel Arap Moi. Negli anni Ottanta lotta contro la cementificazione del parco principale della capitale, l’Uhururu. Viene arrestata più volte, picchiata. Nel 1991 Amnesty International promuove una mobilitazione internazionale per la sua liberazione. Nel 1999 è ferita mentre piantava alberi nella Karuna Public Forest di Nairobi.

Accanto alla lotta per la forestazione, la Maathai s’è battuta per i diritti umani. Interrogata su quando ha cominciato ad interessarsi di diritti, ha affermato di aver iniziato dalle lotte per l’affermazione dei propri diritti. All’Università di Nairobi guadagnava meno dei suoi colleghi uomini. In famiglia, nei confronti del marito, non era libera di affermarsi con una carriera propria sia professionale sia politica. Nessuno accettava che una donna potesse essere influente più del marito. La lotta sui due fronti personali è solo l’inizio per le battaglie dei diritti sia in Kenya sia nel continente africano e nel mondo. Pensa ed agisce in sintonia con le popolazioni locali mentre costruisce reti planetarie. “Non riesco a separare la lotta per l’ambiente da quella per i diritti delle donne e per quelli di tutti gli uomini. Non vedo i confini. Quando cominci a lavorare seriamente per la causa ambientalista ti si propongono molte altre questioni: diritti umani, diritti delle donne, diritti dei bambini…e allora non puoi più pensare solo a piantare alberi”, disse in un’altra intervista.

Attivissima nella coalizione per la democrazia in Kenya, viene eletta deputata nel 2002. L’anno seguente il nuovo presidente, Mwai Kibabi, che ha sconfitto Moi dopo 24 anni di potere ininterrotto, la nomina Sottosegretario all’Ambiente.

Riceve diversi premi internazionali, è tra i 500 personaggi eminenti segnalati dall’Unep, l’agenzia per l’ambiente dell’Onu e tra le “100 eroine” del mondo contemporaneo.

Riprendendo in conclusione le riflessioni svolte, guardiamo con positiva sorpresa il nuovo concetto di pace adottato da coloro che affidano i Nobel. Mentre nel passato si puntava su personaggi che si erano dedicati alla composizione dei conflitti nel loro momento terminale, opera senz’altro meritevole e da continuare, quest’anno è stata nominata una persona che punta alle cause dei conflitti stessi, alla lotta contro la deprivazione delle risorse energetiche necessarie per la vita ed alla riparazione di tale depauperamento. Prevenire è meglio che curare, dice un noto adagio della nostra pubblicità occidentale, che in verità non ha una corrispondenza nella realtà. In modo nuovo e veritiero invece il principio della prevenzione è stato applicato dalla Maathai e dovrà estendersi ulteriormente per la tattica e la strategia pacifista nelle regioni africane, battute da tante guerre, e in ogni altro luogo di conflitti. Tutto ciò comporta una rivalutazione delle innumerevoli iniziative ambientaliste e di cooperazione che non hanno solo valore assistenziale, ma politico generale, tendente al bene comune ed al rifiuto della guerra. Ed è una donna, che lavora con altre donne, che porta questa nuova visione della lotta per la giustizia e per la pace. Dalla differenza di genere nasce una differente conduzione della storia.

(15 ottobre 2004)

Mario Arnoldi