Bugie d’estate

Il nobel argentino Esquivel a Benetton:
restituisci la terra agli indios Mapuche

Adolfo Perez Esquivel, leader delle lotte per i diritti umani e premio Nobel per la pace nel 1980, ha scritto un appello contro quella che definisce una vergognosa truffa ai danni degli indios Mapuche della Patagonia, che potrebbe essere così sintetizzata: "Benetton, restituisci la terra agli indios".

Il motivo del contenzioso è un appezzamento di 385 ettari che fanno parte dei 900.000 acquistati dall’azienda Compania de Tierras di Benetton in Argentina. Nel 2002 i componenti la famiglia Curinacao tornano alla loro terra, in Patagonia, della quale sono indigeni di discendenza mapuche. S’installano in una zona di circa quattrocento ettari, dal nome Santa Rosa, che appare libera, demaniale, secondo l’Istituto autarchico di colonizzazione. Purtroppo da quell’ufficio non giunge mai un documento che possa testimoniare di questa libertà e quindi della proprietà affidata alla famiglia, che pianta ortaggi e frutta, porta qualche animale, installa un sistema d’irrigazione artigianale ma efficace. Ma dopo poco, all’inizio d’ottobre, la polizia estromette la famiglia, su mandato del giudice, in seguito alla denuncia della Compania de Tierras di Benetton, con la motivazione penale di "occupazione occulta con metodi violenti". L’accusa penale cade al processo del maggio scorso, ma rimane quella civile ed i Benetton vincono e si rimpossessano di Santa Rosa.

La multinazionale tessile può cosi continuare nella sua attività. 16.000 bovini da macellazione, 260.000 pecore e montoni allevati, un milione e 300.000 chili di lana che ogni anno finiscono nei maglioni Benetton. 80 milioni di dollari d’investimenti diversi, tra questi un museo mapuche e il fatto che la Compagnia dà lavoro a 250 persone di cui il 60 per cento indigeni.

Benetton risponde ad Esquivel, noi lavoriamo per la Paragonia e per gli indios mapuche.

Sino a questo punto la vicenda appare corretta e favorevole alla posizione della grande industria tessile italiana. Ma, ancora una volta, vale la pena guardare l’altra faccia della medaglia.

Innanzi tutto, i mapuche, prima del 1500, occupavano un territorio molto vasto, da Oceano ad Oceano, che comprendeva molta parte del Cile attuale e che fu loro tolto, in due secoli di conquista spagnola, quasi per il 50%, pur non riuscendo ad annientare questo popolo com’è avvenuto con altri popoli indigeni del Continente americano. Le modalità sono quelle della conquista, che, in modo più selvaggio, anticipavano i comportamenti attuali di un’apparente giustizia, basata su leggi costruite ad hoc ma che non rispettano la vera proprietà originaria di chi là ha abitato sin dall’inizio della memoria storica. E’ la triste legge del più forte che vince nell’appropriarsi dei beni d’ogni genere, e questi, una volta posseduti, sono sottoposti alla legge del fatto compiuto, che diventa irreversibile per le generazioni successive.

Esquivel quindi non compie la contestazione di leggi recenti, ma pone il problema alle sue radici e si chiede "Chi comperò la terra a Dio?". Sino a che punto sono legittimi gli atti coi quali dal 1500 e quindi dal 1800 lo stato argentino donò a dieci latifondisti le terre che poi, negli anni, sono finite a Benetton? L’interrogativo è aperto, riguarda tutta l’epoca storica moderna, le varie forme di colonialismo e di sfruttamento delle terre occupate in modo ambiguo. La maggioranza dei conflitti attuali sono la conseguenza delle ripartizioni sulla carta, e di fatto, delle terre occupate dai vari colonialismi. Un solo esempio per tutti, e forse il più significativo e paradigmatico, è quello di Israele insediatosi sul territorio palestinese, che all’inizio del 1800 appariva essere di proprietà periferica dell’impero ottomano, poi passato al colonialismo inglese, ed acquistato con leggi non chiare dalle grandi famiglie ebraiche più ricche. Ed oggi i palestinesi sono cacciati profughi dalle loro terre, anche se gli Israeliani, da distinguere con forza dagli ebrei nel loro insieme, hanno diritto ad una terra, che avrebbe potuto tuttavia essere trovata altrove, in luoghi effettivamente disabitati, come proponevano molte correnti di ebrei sin dai Congressi di Ginevra di fine Ottocento ed inizio Novecento.

Gli indios mapuche, un milione, vivono oggi soprattutto nel sud del Cile ed in Argentina sono circa 60.000. Storicamente perseguitati, nel 1970, con il governo di Salvador Allende, si videro riconsegnata una piccola parte delle terre estorte, sulla spinta di una rinascita culturale cilena che vedeva nelle popolazioni indigene una parte del proprio passato, cercando così di svincolarsi dalle logiche egemoniche della cultura europea. La dittatura di Pinochet fu invece brutale e le terre concesse dal governo Allende furono rioccupate immediatamente e svendute alle imprese multinazionali del legno che distrussero per l’esportazione enormi foreste di boschi nativi ed i mapuche subirono, come molti cileni, il carcere e la repressione. Una nuova generazione di mapuche oggi tenta di riprendere nelle sue mani il proprio avvenire e, attraverso l’istituzione di un’organizzazione, il Consejo de Todas las Tierras (Consiglio di tutte le terre), svolge un lavoro di coordinamento delle lotte delle varie comunità per il recupero dei territori e la difesa dei diritti come popolo originario. Anche le donne, all’interno del Consiglio, hanno una grande funzione di formazione per migliorare le produzione agricola e artigianale e di ricerca sulla compatibilità ambientale dello sfruttamento intensivo dei territori da parte delle multinazionali.

Benetton ha risposto ad Esquivel con la favola bella della produzione che crea sviluppo, dimenticando che ormai anche da parte dei teorici del neoliberismo si pone il problema, per altro ben noto, del come la produzione crei povertà invece che ricchezza per i popoli dove questa viene installata. Molte volte ci siamo soffermati sul fatto grave e insostenibile per il futuro prossimo, pena il depauperamento delle fonti d’energia e quindi della vita dell’umanità stessa, che il 20% dell’umanità possegga l’80% delle ricchezze e, viceversa l‘80% dell’umanità ne possegga solo il 20%, con situazioni di povertà a scalare che comportano entro poco tempo il destino di morte di un quinto dell’umanità.

Insieme con Esquivel, dico, e spero che molti lo affermino a gran voce, che se la legge dà ragione a Benetton vuol solo affermare che la legge è sbagliata e chiedo quindi, con lui e con altri, la restituzione della terra agli indigeni.

(1 agosto 2004)

Mario Arnoldi