Non abbandonate gli animali sull'autostrada e le persone nelle riserve artificiali

"La nuova legge contro i maltrattamenti sugli animali, approvata in via definitiva dal Senato non piace alle associazioni animaliste e ambientaliste italiane. Il movimento ecologico nazionale Una (Uomo, Natura, Animali) che raccoglie oltre sessanta sigle -tra cui: Lida, Comitato Europeo Difesa Animali, Animalisti Italiani, Movimento Una, Wwf, Lipu, Progetto Gaia ecc.- ha diffuso oggi una nota in cui sottolinea come la legge, dopo le modifiche apportate dalle Camere, sia ''un inaccettabile arretramento culturale e legislativo per il nostro Paese''. Il testo attuale porta a un ''sostanziale peggioramento della normativa per la maggior parte degli animali, con la conseguente riduzione della loro tutela e delle possibilita' di intervento da parte delle associazioni''. La nuova legge tutela ''solo i cani e i gatti (prevedendo multe piu' severe o l'arresto per chi li maltratta): per il resto, invece, ''limita l'applicazione delle norme per i reati piu' gravi ai soli animali da affezione; mantiene un'unica norma applicabile a tutti gli animali; permette di autorizzare feste e manifestazioni che utilizzano animali vivi, anche se queste comportano per loro strazio o sevizie. Punisce, infine, organizzazione e promozione di feste e spettacoli che comportano strazio e sevizie per gli animali ma non la semplice partecipazione. Se - conclude la nota - alla Camera i Verdi hanno votato contro il progetto di legge, noi associazioni non possiamo accettare che la maggiore tutela degli animali d'affezione vada a scapito di un peggioramento per tutti gli altri animali". (Roma, 8 lug. - Adnkronos)

Concordo con la dichiarazione delle associazioni animaliste italiane nell'assumere, in epoca di presunta civiltà avanzata, un atteggiamento più rispettoso verso ogni animale e soprattutto nel sanzionare comportamenti violenti verso creature che hanno grande sensibilità e quindi possibilità di sofferenza analoga a quella delle persone umane.

Mi preme inoltre deplorare, in questo periodo estivo, la condotta che tende ad isolare le persone più deboli. Purtroppo tali atteggiamenti si ripetono non solo nell' estate ma anche durante l'anno e tutto il percorso della vita. Trascrivo un testo breve di Gianfranco Ravasi da Mattutino, Avvenire del 2 luglio scorso, che si riferisce al trattamento dei malati in genere e delle persone anziane.

"A vedere il modo con cui sono trattati i malati negli ospedali, si direbbe che gli uomini abbiano inventato questi tristi asili non per curare gli ammalati ma per sottrarli agli occhi delle persone felici perché non turbino le loro gioie.
Chi faceva quest'amara considerazione viveva nel Settecento ed era lo scrittore moralista Nicolas de Chamfort, autore di una raccolta di Massime e pensieri. Tuttavia capita a tutti, anche nel 2004, di varcare la soglia di ospedali trasandati, dal funzionamento approssimativo, ove l'attenzione al malato è sbrigativa, nonostante i tanti discorsi sulle riforme della sanità. Ma quello che vorrei sottolineare nella frase di Chamfort riguarda un atteggiamento comune a tutti. E' indubbio che il malato sia "pesante": non si stanca mai di raccontarci i suoi malanni, è lamentoso, la sua situazione non genera certo allegria.
E' per questo che noi sani siamo spesso tentati di fare come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano: essi, vedendo il disgraziato ferito sui bordi della strada, «passarono oltre, dall'altra parte». Il guardare altrove e l'evitare ogni sofferenza ci protegge dal rischio di turbare la nostra tranquillità. Ho visto molte persone durante i servizi televisivi sulla fame nel mondo distogliere lo sguardo dallo schermo perché quelle creature deformi e rinsecchite facevano loro troppa impressione. Quante volte in quei "tristi asili" che sono le case di riposo per anziani accade che i vecchi genitori siano lasciati là per mesi e mesi senza che un figlio li visiti. Non si vuole sporcare la propria quiete e serenità. E' per questo che il profeta Isaia ammonisce a «non distogliere gli occhi da quelli della tua carne» (58, 7)". (Mattutino, Gianfranco Ravasi, Avvenire, 2 luglio 2004).

Stesse riflessioni possono essere applicate, con le dovute variazioni, a diverse categorie. La società attuale porta ad atteggiamenti di esclusione e, al limite, di eliminazione di coloro che impediscono il raggiungimento degli scopi relativi all'avere ed al profitto, perdendo di vista l'essere delle persone stesse. Paradigmatiche sono le ristrutturazioni di aziende, che si trasferiscono altrove, in paesi stranieri, che tagliano i cosiddetti "rami secchi", senza preoccupazione di dar loro alternative adeguate ed ammortizzatori sociali egualmente soddisfacenti. L'istinto di aggressività e di morte, Thanatos, come lo definiva Freud, si contrappone all'Eros, inteso come amore per la vita, e troppe volte lo sovrasta.
Spesso i bambini sono condannati, nei paesi poveri e, con malizia maggiore, nei paesi ricchi, al lavoro, alla guerra, allo sfruttamento sessuale, alla "vendita" per ricavarne organi per trapianti, alla stessa eliminazione per il disturbo che arrecano quando sono in numero eccessivo. Le donne a loro volta subiscono frequentemente la stessa sorte sia per lo sfruttamento del lavoro sia per quello sessuale e debbono ancora accettare situazioni di reclusione ed emarginazione, a seconda degli usi e costumi dei paesi in cui vivono, nonostante le lotte per il riconoscimento della loro pari dignità con l'uomo. La lista sarebbe lunga: i popoli condannati ad emigrare per colpevole arretratezza delle loro regioni, dovuta per lo più allo sfruttamento da parte di altri paesi o per sfuggire alle guerre; i nuovi poveri della civiltà occidentale; i tossicodipendenti; i malati di aids non solo in Africa ma anche in altri paesi come la Cina ed in ogni parte del mondo, ecc. Sono situazioni note, ma troppo dimenticate e considerate al di fuori della nostra responsabilità.

Concluderò l' analisi non certo confortante delle nuove "pesti" che ci attanagliano, con una riflessione di Leonardo Zega, dal titolo "Quella fragilità dei vecchi anche in famiglia", apparsa su La Stampa lo stesso 2 luglio scorso, quasi a controbilanciare, non certo completamente, quanto appena detto. E' uno spunto positivo, che, se sviluppato nel suo significato profondo, può essere di stimolo a fare meglio sia a livello personale che sociale e politico.

"Chiedo venia per un'annotazione di carattere personale. Mia madre è morta cinque anni fa a 97 anni.E' stata vedova per 26 anni, tanti quanti ne aveva quando io sono nato. Negli ultimi tempi, il Comune di residenza s'era dato da fare per alleviare la condizione di tanti anziani, offrendo opportunità di svago e di cura piuttosto attraenti. Dicemmo un giorno alla mamma: "Perché non partecipi anche tu qualche volta? Ci sono le tue amiche, siete tutti coetanei, ti divertirai".Rispose perentoria come sempre: "E che ci vado a fare? Sono tutti vecchi e io sto bene a casa mia". Lei non ha avuto problemi di solidarietà e solitudine, è vissuta serenamente in famiglia, curata dai suoi e coccolata da nipoti e pronipoti. Si riteneva fortunata ed aveva ragione". (L. Zega, La Stampa, 2 luglio 2004).

Situazioni analoghe oggi sono possibili solo in famiglie agiate o numerose, cosa rara, e difficilmente si realizzano nella famiglia nucleare, dove entrambi i genitori lavorano ed i figli sono impegnati con la scuola, tuttavia gli avvenimenti sono dettati, oltre che da circostanze contingenti, anche dal senso della vita che si porta in noi. Sento oggi dai media italiani che i Vigili del Fuoco allestiranno centri di accoglienza per le persone anziane e sole. Auspico che soluzioni simili si moltiplichino, quando non è possibile la permanenza felice in famiglia come nel caso della madre di Zega.

(15 luglio 2004)

Mario Arnoldi