Nassiriya: dopo il compianto la riflessione

da La Rivista dell'Arma

"I Carabinieri vogliono il ritiro immediato. Rabbia ed amarezza per i colleghi caduti in Iraq."

"Dopo americani ed inglesi, non poteva che toccare ai nostri carabinieri e soldati italiani in Iraq. Ragazzi spinti alle missioni estere da non solo senso umanitario di aiuto a quelle popolazioni, da non solo senso di patriottismo o contributo alla lotta al terrorismo, ma anche e spesso soprattutto per portare a casa qualche soldo in più e vivere una vita con maggiore dignità. Per questo per essere assegnati alle missioni estere, tra i carabinieri vi è una concorrenza spietata a suoni di raccomandazioni. In termini economici, sei mesi di missione estera soprattutto in zone belliche, contribuisce a comprarsi almeno metà della tanto agognata casa. La miseria economica, in cui versano tutti i carabinieri, poliziotti e militari Italiani, non può essere sottaciuta, come non può essere sottaciuto il mancato impegno degli attuali Governanti alle tanto evidenziate (solo in campagna elettorale) situazioni migliorative per tutto il comparto sicurezza, in cui i Carabinieri, parte integrante, vivono con regolamenti da prima guerra mondiale e con stipendi da fame.

Non siamo guerrafondai, siamo solidali con quelle popolazioni, ma costretti a combattere una Guerra che NON tutto il popolo Italiano e NON tutto il Parlamento hanno voluto, perché non avallata dall'ONU. I Ns. Carabinieri non sono affatto preparati né psicologicamente né professionalmente a combattere una simile guerra civile come quella in Iraq, questo va detto a chiare lettere. Chi ritiene il contrario, per motivi di opportunismo, non dice il vero. Piangiamo i nostri morti, i nostri colleghi ed assistiamo all'ennesima farsa di lacrime di coccodrillo da parte di chi, una certa responsabilità nell'invio di quel contingente deve pur averla.

L'Unione Nazionale Arma Carabinieri, si stringe attorno alle mogli ed ai figli dei colleghi caduti, ed invita i Governanti ad esaminare seriamente la possibilità di un RITIRO IMMEDIATO dei nostri uomini da tale situazione che potrebbe costare ancora vittime al nostro popolo che ha già fin troppi problemi in Patria."

Il Segretario Generale UNAC: M.llo CC. Antonio Savino, Direttore de La Rivista dell'Arma". (da Megachip, in R. NotizieNet. n.43, 18 nov. 2003. Milano)

La settimana appena trascorsa ha visto gravi eventi di guerra e terrorismo che possono essere fatti risalire, come causa storica, alla caduta del muro di Berlino e dell’URSS, secondo polo equilibratore nel bene e nel male della politica mondiale, al conseguente dilagare del potere rimasto unico degli USA ed alla successiva reazione dei popoli oppressi. Con l’11 settembre 2001 questa dinamica di guerra e terrorismo ha avuto la sua grande esplosione ed il suo articolarsi in diverse parti del mondo, ma soprattutto in quelle più strategiche del Medio Oriente e dell’Asia sud occidentale. Dopo l’attacco esecrabile ma prevedibile e previsto alle torri gemelle, simbolo dello strapotere degli Stati Uniti d’America, quest’ultimi hanno risposto con una serie di guerre alle nazioni ritenute sedi e centrali del terrorismo internazionale: l’Afghanistan, l’Iraq, e in lista d’attesa altre nazioni della stessa area. Se le guerre economiche, senza armi, e quelle tradizionali, con le armi, sono apparse al mondo oppresso un’intrusione indebita, il terrorismo, in tutta la sua malvagità ed esecrabilità, si pone come una disperata risposta a quell’oppressione incombente. Mondiale il tentativo di possesso, globale la risposta del terrorismo che non ha sede, nazione, e si manifesta ovunque pensa di poter colpire al cuore la potenza dominante.

Analisi sicuramente sommaria, da articolare se ci fosse ulteriore tempo, ma che, unica, spiega, gli attacchi terroristici di questa settimana. A Nassiriya, gli italiani in missione di pace, con l’intenzione soggettiva sicuramente sincera d’essere portatori d’ordine e di soccorso, apparivano agli iracheni assimilabili agli aggressori occidentali. Anche i diversi attentati terroristici contro Israele, alleato degli USA, sono alla stessa stregua una risposta all’espropriazione del territorio palestinese e non cesseranno sin quando non si fermeranno le occupazioni di terre. La costruzione stessa del muro, che, nelle intenzioni vorrebbe circoscrivere il terrorismo, di fatto ingloba ulteriori territori palestinesi particolarmente strategici, secondo l’espressione di Theodor Herzl, fondatore del sionismo alla fine dell’800: "Noi costruiremo laggiù un avamposto contro l’Asia. Noi saremo l’avanguardia della civilizzazione contro la barbarie" (da Th. Herzl, Lo Stato Ebraico, 1896/1918). Pongo l’accento sulla grandissima distinzione tra sionismo da un lato, semplice corrente all’inizio addirittura minoritaria all’interno del popolo ebraico, che ha dato origine all’attuale stato d’Israele e ne rappresenta l’ala più aggressiva, e d’altro lato il popolo ebraico nella sua totalità, che merita tutto rispetto come ogni altro popolo. Se non si distingue tra la parte, il sionismo, ed il tutto, il popolo ebraico, si cadrebbe giustamente nell’accusa d’antisemitismo.

Un accenno infine anche agli attentati dei giorni scorsi ad Istanbul, in Turchia, nazione vicina agli Usa e ad Israele, contro le sinagoghe, simbolo non solo del sionismo ma di tutto il popolo ebraico - terribile estensione di responsabilità! – nate ancora una volta dalla disperazione che si fa terrorismo e che impietosamente vuole combattere il potere unico della superpotenza onnivora.

Quale sarà il modo di uscire dalla contrapposizione della guerra e del terrorismo, spirale senza fine, se qualcuno dei due contendenti, od entrambi, non faranno un passo di distensione? Freud assimilava i bambini, i primitivi e gli psicotici. Quand’ero bambino e nei giochi nasceva un conflitto, le madri, allora un po’ più oggettive di oggi nella loro semplicità, gridavano ai figli "chi ha cominciato la smetta!" Mi associo alla semplicità di un tempo per affermare che il più forte la deve smettere. La spirale nasce di lì. Si smetta l’auri sacra fames, che è fonte di contraddizione. Ed anche l’oppresso smetta di reagire con le stesse armi dell’oppressore, rafforzando in questo modo il suo gioco.

Si auspica un genitore, per continuare la metafora di poco fa, che sia sufficientemente autorevole. L’ONU non lo è perché nessuno dei contendenti cede un poco del suo potere ad un’istituzione super partes che ponga ordine. Anche l’Europa, agli inizi di una nuova storia, può avere una grande funzione di interposizione tra i due grandi contendenti di oggi. Ma anch’essa deve fondarsi sul citato passo indietro di ciascuno dei paesi che la compongono e non deve sorgere come succube di una delle due parti in conflitto. Il pacifismo realista, e non quello basato sulle ideologie e sui massimalismi, come il pacifismo senza se e senza ma, dovrebbe muovere i suoi passi per una trasformazione della situazione nella direzione indicata. Questo è l’auspicio in un periodo particolarmente tragico, che tende ad aggravarsi giorno dopo giorno e potrebbe portare il mondo alla distruzione. Grandi potenze, opposizioni, governi, società civile, movimenti di base e quant’altro esiste di aggregazione umana si muova al più presto su questa linea. Domani potrebbe essere tropo tardi. Domani si dà il caso che si debba ricominciare dall’uomo raccoglitore, se ancora esiterà la specie su questa terra!

(20 novembre 2003)

Mario Arnoldi