Genova un anno dopo

da evento a movimento di movimenti

Ho appena acquistato all’edicola Genova, il libro Bianco e lo sto sfogliando e leggendo. Ho inserito il CD, allegato al libro, nel mio computer. Entrambi, a cura del Genoa Social Forum, sono in vendita insieme coi giornali Il Manifesto, manifestolibri, CARTA, l’Unità e Liberazione, a partire dall’11 luglio. Nel libro vedo 228 pagine a colori, 500 fotografie, centinaia di testimonianze. E poi il Genoa Social Forum, il controvertice, la protesta, la repressione nel racconto di chi c’era: manifestanti, medici, avvocati, giornalisti. Nel CD 70 minuti di filmati, 1100 fotografie, due ore e mezza di registrazioni audio, tutti i documenti ufficiali del GSF, 250 testimonianze, 200 articoli di giornale. Un libro e un CD che ricostruiscono la memoria collettiva di quei giorni.

La copertina del libro presenta la stessa foto che appare sul CD: una ragazza che saluta sorridendo dal finestrino del treno che la porterà al G8 di Genova 2001. E’ la prima di una fila di ragazze e ragazzi che dai finestrini del treno in curva stanno partendo per un appuntamento che è carico di significati e di speranze, non solo per loro, ma per centinaia di migliaia d’altri giovani e meno giovani, accorsi da ogni parte d’Europa e di altri continenti.

Nessuno di loro pensava che un semplice incontro avrebbe cambiato l’universo, ma, come sanno tutti coloro che hanno partecipato almeno una volta nella vita ad una manifestazione consistente per numero e per tematiche, l’essere insieme, il contarsi, riflettere attorno ad argomenti che toccano il dolore del mondo e le sue cause, danno un entusiasmo particolare, che non è solo sensazione di pelle, ma è il rinnovamento, in un sorta di patto comune, delle motivazioni ad agire nella vita personale, collettiva, sociale e politica, nella direzione non tanto della fruizione parassitaria e "gastronomica", come direbbe Bertold Brecht, di quanto la realtà offre, ma soprattutto nella prospettiva di un impegno variegato, secondo la diversità delle provenienze e situazioni, teso a dare un senso migliore alla vita, che possa essere più umana, che non discrimini individui, popoli, continenti, poveri dai ricchi.

Dopo la copertina, la prima pagina, bianca, ha al centro la foto della targa della piazza intitolata a Gaetano Alimonda. Quel nome è cancellato e sopra, col colore blu, è scritto Piazza Carlo Giuliani, ragazzo. Sotto la foto della targa: Questo libro è dedicato a Carlo. Senza retorica – come si potrebbe fare retorica di fronte alla morte violenta di un giovane che manifesta per la libertà dall’oppressione, come più volte il padre di Carlo ha detto del figlio – si può affermare che quella morte è innanzi tutto la tragedia di una giovane vita spezzata ed inoltre è il simbolo dell’altra faccia della vita attuale, cioè del potere, i G8, che non potevano tollerare che una manifestazione di centinaia di migliaia di giovani ed adulti avesse successo e che la loro immagine fosse oscurata. Gli assalti al corteo pacifista, la tolleranza verso i violenti, e poi l’offensiva alle scuole Diaz e Pertini, di cui il CD ed il libro danno ampia notizia, sono spiegabili solo in un quadro generale di attacco del potere alle forze che dal basso chiedevano una vita più equa.

A pagina 93, in un buon articolo intitolato Elaborare il lutto, si legge "Quella sera, nel dolore e nella rabbia per l’uccisione di Carlo Giuliani, in quella sera ed in quei giorni il movimento perde la propria innocenza: la propria identità, definita per rigetto dell’ordine esistente, inizia ad essere forgiata sul progetto del proprio percorso. La reazione pacifica alla violenza, ma non per questo meno determinata e consapevole, gli permetterà nei mesi successivi di allargarsi, di diffondersi e di vivere la scommessa della propria esistenza".

Su questa linea, il lavoro fatto dal movimento durante l’anno e le attuali giornate di Genova non sono semplicemente un ricordo commemorativo, che pur ha senso, se non altro per sollecitare il governo e la magistratura a fare luce su tanti aspetti oscuri della violenza gratuita delle forze dell’ordine, ma vogliono essere un incontro nuovo in cui si elaborano le prospettive di lavoro futuro. Ed il movimento, già dallo scorso anno, è passato dal metodo assembleare alle piazze ed alle tavole tematiche, per essere più incisivo e fecondo e lavora non solo sul globale ma anche e soprattutto nel locale. Agire localmente, pensare globalmente.

Ci sono divisioni nel movimento. Questo fatto mi sembra elemento di maturazione e non di debolezza. Lo scorso anno lo scopo dell’incontro era dare un segno forte ai G8. Lo scopo di quest’anno è dare visibilità al lavoro svolto ed alle prospettive del futuro. L’unanimismo non ha più senso. Sarebbe impoverimento. Ha senso invece la convergenza nella diversità. I movimenti delle donne danno una modalità nuova al modo di fare politica, tradizionalmente maschilista; i Social Forum sono la filiazione diretta di quanto è avvenuto lo scorso anno a Genova; la Rete di Lilliput raccoglie prevalentemente le forze che analizzano i centri del potere economico internazionale, ne fanno la radiografia spietata e promuovono campagne per combatterle nei loro aspetti di sfruttamento; il commercio Equo permette ai prodotti del sud del mondo di avere un circuito proprio di vendita; Attac è germogliata e subito ingigantita attraverso la campagna per la raccolta firme in favore della legge di iniziativa popolare contro le transazioni speculative, detta abitualmente Tobin Tax, ed ora si trova ricca di forze e d’esperienze che intendono continuare la battaglia sugli obiettivi della speculazione valutaria e finanziaria.

E’ un errore tipicamente borghese coltivare il proprio orto, come diceva Voltaire nel Candide, ignorando e combattendo quello degli altri. Differenziarsi, diventare adulti e poi convergere nel rispetto reciproco e nella possibile collaborazione: questo è il futuro del movimento. Nell’ultima parte del libro bianco sono indicati da Salvatore Cannavò alcuni obiettivi comuni, tratti dal documento finale di Porto Alegre: la condanna della guerra come il volto più brutale ed inaccettabile del liberismo; uscire dal ritmo delle manifestazioni antivertice per riuscire a costruire campagne, iniziative unificanti, progetti comuni; poi le questioni relative alle privatizzazioni, alla difesa del salario, alla difesa dei servizi pubblici e del welfare. Non ultimo, la difesa dell’ambiente violentato, che presto cesserà di essere fonte di vita per noi ed i nostri discendenti.

Arrivederci dunque a Genova, non per guardare indietro, ma per progettare il futuro!

(15 luglio 2002)

Mario Arnoldi