La fiaba e la storia

Mentre viviamo una fase d’attesa di fatti forse tragici, in seguito agli avvenimenti dilaceranti dell’11 settembre scorso, mi soffermo a commentare un testo apparso sul quotidiano La Repubblica del 19 settembre, di Tahar Ben Jelloun, intitolato in prima pagina "Papà, perché sono musulmana?" e nella continuazione nelle pagine interne "Papà, non voglio più essere musulmana". Il testo è noto, è stato diffuso anche dalla catena delle e-mail, vi invito a tenerlo accanto, per questo potrò procedere speditamente ed eventualmente essere corretto.

Gli studiosi di testi letterari affermerebbero che lo scritto di Ben Jelloun è strutturato come una fiaba, il cui modello sintetizzato vede questi momenti: una o un protagonista, l’attore principale, cui sta a cuore un valore particolarmente prezioso; in un secondo tempo un cattivo che insidia quel valore; una conseguente inevitabile sventura; un salvatore che lotta contro il cattivo; lo vince; ed infine il valore iniziale ristabilito in tutta la sua pienezza.

Vengo al testo di cui ci occupiamo. La protagonista, la giovane figlia dello scrittore, si rivolge al padre terrorizzata per quanto ha visto alla tivù, per il fatto che gli autori degli atti delittuosi sono musulmani ed arabi come lei, hanno negato il valore della fratellanza, della bontà, il rispetto della vita predicato da Muhammad in nome di Allah e conclude che non vuol più essere musulmana e mangerà maiale d’ora in poi alla mensa scolastica. I valori positivi della sua appartenenza sono stati capovolti in malvagità assoluta: "…hanno ammazzato un mucchio di gente…".

Il padre, che nel linguaggio tecnico chiameremo il salvatore, capovolge a poco a poco l’andamento della vicenda. Inizia un dialogo particolarmente interessante, perché rispettoso dell’opinione della bimba, le dice infatti come prima battuta che lei si comporterà come meglio crederà. Spiega poi che non tutti i musulmani sono cattivi, fanatici e distruttivi e non tutto l’Islam è cattivo. "Allah, come il dio degli Ebrei e dei Cristiani, proibisce di uccidere se stessi, che si dice suicidarsi, così come proibisce di uccidere le altre persone. Quindi, quelli che sono saliti sugli aerei ed hanno ucciso i piloti con coltelli per poi dirigersi sulle torri di New York, non seguono la religione musulmana e sono dei fanatici". Su sollecitazione della figlia spiega cosa vuol dire fanatico. "Fanatico è chi pensa di aver sempre ragione, chi vuol essere il più forte e se non sei d’accordo con lui diventa molto cattivo". Il padre aggiunge ancora che sono pazzi, che quando andavano alla scuola coranica è stato loro inculcato che Allah vuole che vadano ad uccidere i nemici dell’Islam e che poi li avrebbe fatti andare in paradiso. "Ma perché i loro capi gli dicono quelle cose?". "Perché sono in guerra contro la gente che non la pensa come loro. E a loro non piace la musica, la pittura, la scultura, l’arte…la libertà: è per questo che diventano terroristi""La parola ‘terrorista’ contiene la parola terrore, che significa una paura grandissima, uno spavento terribile, una cosa che fa tremare e perdere la testa. E’ orribileLo fanno in nome dell’Islam, ma fanno male all’Islam ed ai Musulmani. Non si tratta più di religione, nel loro caso, perché nessuna religione incita ad uccidere degli innocenti, e l’Islam significa ‘entrare in pace’ e non significa certo ‘uccidere degli innocenti’. Insomma è una follia che né tu né io possiamo capire"

Il dialogo sereno con il padre rassicura la figlia che si convince della bontà delle religioni e quindi anche della sua e si ricrede sul proposito di dissociarsi dall’Islam e di mangiare carne di maiale alla mensa scolastica. Il valore iniziale è stato ristabilito e la protagonista, la figlia di sette anni, ritorna a credere ai principi di pace della propria appartenenza.

Gli studiosi, che oggi mi accompagnano benevolmente, affermano che la fiaba è un genere letterario che riflette la concezione ciclica e chiusa del tempo, tipica degli antichi e dei bambini, che non hanno ancora sviluppato il senso del tempo aperto e progressivo. Il romanzo invece corrisponde alla linearità della storia, le cui conclusioni sono sempre nuove rispetto alle premesse. Credo di poter affermare che fiaba e romanzo non si contrappongono in modo così netto, la memoria dei valori che costituiscono la nostra identità, come la revisione degli errori commessi nel passato, dovrebbero integrarsi con lo sguardo aperto verso il futuro che caratterizza il giovane e l’adulto. "Memoria e futuro" è il titolo di tanti convegni che si svolgono attualmente in vari campi del sapere.

Vi chiedo, per concludere, di svolgere un esercizio insieme con me: applicare il testo citato al mondo occidentale cristiano.

"Papà, sono occidentale cristiano io?"

"Sì, come i tuoi genitori."

"Hai sentito che dei signori cattivi vogliono fare una guerra infinita, una crociata, una pulizia talmente vasta del terrorismo islamico che inevitabilmente andrà a distruggere anche tanti civili o forse tutte le terre abitate dall’Islam, che è una civiltà inferiore? Lo hanno detto alla tivù! Papà, se è così, non voglio più essere occidentale cristiano e non voglio più studiare a scuola la storia che racconta tante cose belle su di noi, che sono, a quanto pare, tutte bugie…"

Spero che quel ragazzo trovi un padre altrettanto bravo di Ben Jelloun, che pazientemente riesca a spiegare che nell’occidente cristiano non tutti vogliono la guerra, che ci sono anche quelli che manifestano, nell’America stessa, per chiedere giustizia e non vendetta, che vogliono una soluzione pacifica dei conflitti, di una parte e dell’altra, che creano tanto odio negli uomini sino a voler uccidere, che si formi un governo sopranazionale che riesca a mettere d’accordo tutti, che realizzi la globalizzazione dei diritti nel rispetto delle diversità… Spero infine che il figlio si ricreda sulla negazione della sua appartenenza occidentale cristiana e sul rifiuto di studiare la storia, ma piuttosto legga tanti libri per potersi fare una visione più completa dei problemi e scegliere la via del dialogo…

Tra fiaba-romanzo e vita, tra quanto abbiamo detto sinora e la concretezza della quotidianità c’è un rapporto di verosimiglianza. Esprimo un commosso senso di gratitudine a Tahar Ben Jelloun.

(1 ottobre 2001)

Mario Arnoldi