LAICITA’ E MONACHESIMO

al Centro Studi "Itinerari e Incontri" del Monastero di Montegiove a Fano

Gli amici di don Benedetto Calati, già priore generale di Camaldoli dal 1969 al 1987, animatore da sempre di amicizie di provenienze diverse, di credenti e non credenti, si danno appuntamento tre volte l’anno nella stagione estiva, da una quindicina d’anni, nel Monastero di Montegiove, particolarmente accogliente, con lo scopo di confrontarsi su temi culturali, sociali, politici e religiosi, senza intenzioni di proselitismo ma per un arricchimento reciproco. Gli incontri sono aperti a tutti. Il problema semmai è prenotarsi per tempo. Il convegno dal titolo indicato del luglio appena trascorso, al quale ho partecipato, vuole ricordare in modo non formale l’azione ed il pensiero di don Benedetto, mancato nel novembre scorso, ormai ottantacinquenne.

Venerdì 27 pomeriggio, dopo l’accoglienza sempre cordiale, inizia la sessione. Ricordo unitamente il testo scritto di don Emanuele Bargellini, attuale priore di Camaldoli e la relazione pronunciata da don Innocenzo Gargano, camaldolese, insegnante di patrologia a Roma. Ripercorrono la storia del monachesimo, che non fu alle sue origini una fuga dal mondo, ma un raccogliersi per mantenere viva la radicalità della scelta di Gesù e degli apostoli, quando la Chiesa si confuse col potere imperiale. La laicità di d. Benedetto, sull’ispirazione della Scrittura, dei Padri della Chiesa, soprattutto Gregorio Magno, e dello Spirito Santo, consiste nella ricerca della libertà dalle istituzioni di potere, per tendere alla realizzazione, attraverso la croce, dell’amore praticato da Gesù e proposto a tutti gli uomini, senza distinzione di credo. Don Benedetto aveva gioito per la purificazione del rapporto col mondo del Vaticano II ed aveva sofferto per le mancate realizzazioni.

Sabato 28 mattina, Pier Cesare Bori, ordinario di Filosofia morale e Storia delle religioni all’Università di Bologna, nella relazione "Monachesimo, laicità e profetismo", ricorda i suoi rapporti sin dagli anni giovanili col priore camaldolese e ne riprende alcune espressioni chiave, come "la Scrittura cresce con chi la legge", "una lettura spirituale, profetica, vitale, dinamica, attuale della Scrittura". Sottolinea poi che "i due termini di laicità e monachesimo, che storicamente e concettualmente appaiono contrapposti, trovano una possibilità di comunicare se riscopriranno il termine medio: il profetismo. Se cioè la laicità diventerà bilingue, capace di parlare la lingua della razionalità, ma anche di comprendere, almeno, la lingua della profezia religiosa, con la sua peculiare razionalità. E se il monachesimo troverà al centro dell’esperienza mistica la sorgente della più pura teologia politica, quella che rinnova le parole antiche della profezia, le parole dell’ira e della misericordia".

Angela Putino, docente di Bioetica all’Università di Salerno, esordisce dicendo, sulla scia di Freud e di Lacan, che il desiderio è il punto comune tra credenti e non credenti e che l’amore tende a riparare l’impotenza del desiderio: se non si ripara con l’amore, il desiderio devasta. E su questi binari ha riletto i momenti salienti della vita del monaco camaldolese ed il suo dialogo con l’uomo, la donna, la storia. Nel dibattito seguito a queste due ultime relazioni emerge, tra gli altri, il problema se ci sia antagonismo o parallelismo tra Atene e Gerusalemme, simbolicamente intese. Per Bori la coincidenza è possibile e lo è anche con la Mecca, quella più conscia, aspetto che vale anche per le prime due città. Dirà ancora Bori che il profeta è solo, la profezia però è per il politico.

Il pomeriggio Mario Tronti analizza la figura di d. Benedetto conosciuto a Montegiove: qui egli trovava un luogo d’espressione e di dialogo più libero negli ultimi quindici anni della sua vita. "I vecchi dovrebbero essere degli esploratori", amava dire. Tronti fa ruotare la sua relazione attorno alla figura del "discepolo che rimane" del vangelo di Giovanni (21,20-25), cara a d. Benedetto. Egli era un monaco sapienziale, di una sapienza aperta, in fieri, con le inquietudini del monaco e dell’uomo. "I cristiani dovrebbero essere i sapienti della storia umana": diceva con grande speranza ma anche con qualche preoccupazione. Abbiamo affrontato diversi argomenti col passare degli anni, continua il relatore, come quello del mistero della croce: "Dio vuole che noi lo completiamo. Anche Dio è in questo travaglio, egli non è perfetto, se fosse tale non m’interessa. Mi sta a cuore il Dio che s’incarna e scrive attraverso la croce la lettera d’amore che è ‘Il cantico dei Cantici’ "... Poi una digressione di Tronti: Gesù e Giovanni Battista furono vicino alla comunità degli Esseni di Qumran e degli Zeloti, che volevano la sommossa messianica. (La Valle preciserà che ruppero con quelle comunità, ma il senso generale del discorso rimane uguale). Continua ancora: don Benedetto ricordava l’esilio come passaggio dalla cattività dell’Egitto alla libertà e all’universalità della storia...libertà, lotta nella croce, amore universale. Tronti auspica in conclusione un incontro tra i vari monachesimi e cristianesimi attuali per recuperare quella spiritualità che sola può ridare vita alla politica che attraversa un periodo di vuoto. Il vero bipolarismo oggi è tra questo "mondo unico" che c’incombe e la possibilità di un altro mondo. Chiude riprendendo l’immagine del discepolo che rimane, tema simbolico del vangelo che non si conclude, perché lo dobbiamo concludere tutti noi, credenti e non credenti.

Interessante la tavola rotonda serale, nel suggestivo giardino, aperta anche agli abitanti di Fano, in cui si sono misurati sui temi citati Alessandro Barban, Mons. Luigi Bettazzi, Raniero La Valle, Angela Putino e Mario Tronti.

La domenica mattina, ultimo giorno, Raniero La Valle, attraverso un articolato percorso, afferma che la laicità attuale non è quella che avrebbe voluto d. Benedetto, infatti questa è avvenuta, attraverso il corso dei secoli moderni, per secolarizzazione o declericalizzazione dei principi teologici medievali. La laicità moderna non ha funzionato perché è avvenuta per sottrazione. La vera laicità avviene per affermazione, per un’azione in positivo, che rende operante l’evento messianico. Messianico è ciò che delegittima il potere, non in nome dell’anarchia, ma in nome dell’amore. La libertà dalla legge senza l’amore è la catastrofe. Laicità quindi è non tenere fuori il messianico, è far crescere le opere umane dell’amore. E’ necessario stare sulla croce, ma con gli occhi aperti, come il crocefisso del XII secolo dell’Hotel de Cluny di Parigi.

Rossana Rossanda chiude la mattinata e la sessione ricordando innanzi tutto la sua posizione laica, alla quale è positivamente radicata, e non condivide quindi il giudizio negativo che La Valle dà della laicità moderna. Si sofferma quindi sulla sua esperienza di rapporto diretto con d. Benedetto e da questa ne trae il concetto di laicità. Ho conosciuto Benedetto, dice, ad un convegno di dieci anni fa su "legge, coscienza e libertà". Egli affermava che la P/parola cresce con colui che la legge, affermava che Gregorio Magno pensava che la parola crescesse anche coi barbari. L’eresia nasce quando la parola si ferma. Nei dialoghi con Benedetto, continua Rossanda, si accomunava la ricerca drammatica, non tanto la certezza. Egli affermava inoltre che alle persone va insegnato una cosa sola, quello che pensano dentro: ognuno deve essere unico, irriducibile, libero. Ciò che collegava tutti i suoi temi è l’amore, non l’amore marmellata, ma quello che riconosce la libertà degli altri. E poi c’è l’amicizia, anche con le donne, elemento d’amore privilegiato. Era critico nei confronti delle istituzioni, il suo concetto di Chiesa era l’insieme degli uomini liberi che leggono la parola. Era curioso del conflitto sociale, sapeva che c’erano i ricchi ed i poveri. Rossanda ricorda altri temi discussi in dieci anni di incontri: la donna, il suo ruolo nella vita e nella Chiesa, l’amore anche carnale com’è cantato nel Cantico dei Cantici... e conclude assicurando che d. Benedetto non le ha mai chiesto se fosse credente o no e suppone che non gliene importasse nulla di quella distinzione, giacché Dio, era scritto, aveva amato tutto il mondo e non i soli fedeli.

Si rientra la domenica pomeriggio, arricchiti di tante idee, di tanti scambi e ci si dà appuntamento ai prossimi due incontri di fine agosto e metà ottobre su "Profezia e modernità" e "Memoria e futuro", dei quali spero di darvi notizie, ai quali parteciperanno, oltre ai relatori di questo incontro, Cacciari, Paolo Ricca, Amos Luzzatto, Vattimo, Gentiloni, Miegge, Ingrao ed altri. Chi volesse introdursi al pensiero di don Benedetto può leggere: Raffaele Luise, La visione di un monaco, Cittadella Editrice, Assisi. (Mario Arnoldi)

(1 settembre 2001)

Mario Arnoldi