Pagina principale
Pagina precedente




BRUNETTO SALVARANI

A scuola con la Bibbia.

Dal libro assente al libro ritrovato

EMI, Bologna 2001

"Non possiamo non dirci cristiani", proclamava qualche decennio fa il celebre filosofo Benedetto Croce, riferendosi all’Italia "plasmata" dal messaggio cristiano nel suo territorio e nel suo tessuto culturale. Duemila anni dopo l’inizio della cristianità, suppergiù, noi suoi connazionali e discendenti dobbiamo purtroppo ammettere che del cristianesimo sappiamo ben poco, al di fuori degli elementi provenienti dalla memoria sfuocata del catechismo: in particolare, non conosciamo il libro sacro su cui la fede ebraico-cristiana si fonda, la Bibbia. Primo e Nuovo Testamento. E’ un paradosso tanto clamoroso quanto penoso: nonostante l’eredità del Concilio Vaticano II grazie al quale pareva finito l’esilio della Parola di Dio nelle comunità cattoliche, nonostante la spinta in tal senso di Giovanni Paolo II e la cosiddetta "rivincita del sacro", a proposito dei testi biblici, degli appelli profetici e delle parabole evangeliche, non possiamo neppure parlare di "analfabetismo di ritorno", ma piuttosto di analfabetismo e basta. Forse ha ancora ragione il poeta (cattolico!) Paul Claudel, allorché sentenziava argutamente che i cattolici hanno di solito una tale rispetto per il "Libro dei libri" che a scanso di equivoci se ne tengono doverosamente a distanza...

Ma non si tratta solo di un problema dei cristiani, se è vero che la Bibbia è stata definita, accanto al filone grecolatino della classicità, il "Grande Codice" della cultura occidentale (William Blake, formula ripresa nel Novecento dal critico letterario Frye), "l’alfabeto colorato della speranza" (Marc Chagall, che nella Bibbia era cresciuto) e "l’immenso vocabolario" (di nuovo Claudel). O semplicemente "Ha-Miqrà", cioè "Oggetto di lettura", per gli ebrei. Si potrebbe a buon diritto affermare che metà della nostra letteratura, dell’arte, della musica, della filosofia, è sorta per esaltarne le ragioni e prendendola a modello, e l’altra metà per liberarsi del suo peso o addirittura attaccarla frontalmente. Di qui, la gravità del fatto che la Bibbia non sia praticamente studiata a scuola, che costituisca un vero e proprio "libro assente" nella cultura dell’italiano medio, che anche gli educatori e i docenti – salvo lodevoli eccezioni – non ne sappiano nulla, o quasi. E che non sia prevista una lettura a-confessionale, pure possibile e per certi versi doverosa per chiunque voglia capire qualcosa del mondo che lo circonda.

Come si può capire qualcosa, infatti, della "Divina Commedia", della produzione pittorica di un Giotto o un Masaccio, della filosofia medievale o del canto gregoriano (per fare appena qualche esempio) senza fare i conti col loro principale Codice? E come dar torto allo scrittore di oggi Erri De Luca, quando dichiara che "il Dio di Israele è il più grande personaggio letterario di tutti i tempi"? O all’ex Ministro della Pubblica Istruzione, Tullio De Mauro, che è giunto a definire la Bibbia "un’autentica bomba conoscitiva, da punto di vista didattico"?

Ecco il duplice obiettivo del volume di Brunetto Salvarani, biblista laico, propugnatore di una teologia biblica in chiave narrativa e per anni fra gli animatori del "Comitato Bibbia Cultura Scuola": da un lato, rilanciare con forza un dibattito che ha un ruolo decisivo per una società aperta e consapevole della propria identità culturale, poiché, credenti e non, "non possiamo non dirci figli della Bibbia"; e dall’altro, fornire spunti, materiali, testi e riferimenti bibliografici a quanti, non specialisti – insegnanti, educatori, donne e uomini di cultura - intendano avvicinarsi, anche per la prima volta, al "Grande codice", per coglierne le direttrici fondamentali. Il libro è suddiviso in due parti, di cui la prima descrive appunto il "Libro assente", quello che pure ha permeato di sé la storia dell’arte, della letteratura, della musica e persino del cinema occidentali; mentre la seconda racconta del "Libro ritrovato", quello che riemerge nell’immaginario collettivo a partire dal suo riutilizzo in termini di grandi miti (dall’Esodo all’Apocalisse) e di grandi personaggi (da Abramo a Gesù, passando per Giobbe, Geremia, Giuda, Pilato e tanti altri). Scorrono così, pagina dopo pagina, centinaia di nomi illustri che alla Bibbia hanno guardato con partecipe attenzione, da Leopardi a Kafka a Pier Vittorio Tondelli, da Gregorio Magno a Kierkegaard a Nietzsche, da Roublev a Michelangelo a Matisse, da Bach a Schoenberg a Franco Battiato, e così via.

Impreziosisce l’opera un’approfondita introduzione di mons.Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana e biblista di rango, che ha avuto il merito di evidenziare per primo nel nostro paese la necessità di un impegno serio sulla divulgazione della Bibbia a livello popolare.


Pagina precedente Inizio documento