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Leonardo Boff LA NOSTRA RISURREZIONE NELLA MORTE di Ausilia Riggi

Cittadella, Assisi 1975

Questo libro di 131 pagine, di non molto recente edizione, è un condensato di riflessioni teologiche e bibliche, nonché esistenziali, sull’aldilà, ed è sicuramente più attuale di molti altri sullo stesso argomento. Premessa fondamentale è che la risurrezione di Gesù, non è tanto un paradigma di quella che sarà la nostra risurrezione, quanto la sa causa e fonte, in un disegno divino globale, cosmico.

Anzitutto l’autore riporta le interpretazioni della Risurrezione di autori protestanti di tutto rispetto, i quali scavano all’interno dei testi biblici per scoprirne il vero significato.

R. Bultmann mette in luce la differenza tra una lettura dei fatti storici considerati da un punto di vista letteralistico e una lettura che ne colga il messaggio di fede. Fu questo che spinse gli autori sacri a riportarli, e che sollecita i credenti a farne motivo di speranza escatologica. Per Bultmann è chiaro che con la morte di Gesù avvennero dei fatti i quali furono filtrati dalla comprensione nella fede in un Gesù vivo oltre la morte, entrato nella pienezza del Regno di Dio. Egli usa la terminologia dell’esistenzialismo: l’esistenza umana ha consistenza attraverso il senso che le si dà nel suo svolgersi momento per momento. La fede può dare questo senso: è motivo di vita per molti; sicché per essi la morte non sopraggiunge dall’esterno, ma si inserisce nella dinamica stessa della vita attraversata dalla fede.

L. Boff guarda con interesse a questa interpretazione, ma si chiede se non manchino in essa le "ragioni" della speranza. La fede non oscura la ricerca razionale di senso. Il cristianesimo non offre verità solo per chi crede al di là di ogni ragione, ma sa portare "ragioni" anche a chi non crede.

Un altro autore, W. Marsesen avanza una tesi più radicale di quella di Bultmann, nel senso che i fatti storici della risurrezione sono ridotti ancor più di spessore. I testimoni del tempo li interpretavano secondo la cosmovisione e l’apodittica allora fiorente. Dunque quella di Gesù non sarebbe stata risurrezione, bensì ulteriore possibilità di continuare "a vivere e a portare avanti al causa del Signore".

Boff obietta che Gesù "si fece vedere, apparve", come dice la parola greca óphte. Si tratta di "una iniziativa venuta dal di fuori", nel senso che fu lui a presentarsi come vivente sotto altra forma. Per questo, come dice Luca (24, 34), gli apostoli potevano annunciare: "il Signore è veramente risorto".

Un altro autore, W. Pannenberg, prende posizione per la storicità della risurrezione, ma narrata attraverso il linguaggio simbolico. La parola "risurrezione" indica "una trasformazione radicale dell’esistenza corporea in un’esistenza pneumatica, totalmente determinata e riempita da Dio". La risurrezione dà senso alla cristologia e alla storia di Gesù. Attraverso l’avvenimento pasquale gli apostoli e gli autori del N.T. capirono, alla luce della fede, il messaggio evangelico.

La tesi di Boff è molto vicina alle precedenti, soprattutto all’ultima; ma ci mette del suo.

È interessante la sua affermazione che la teologia contemporanea ha bisogno di nutrirsi soprattutto delle scienze umane, più che di un’arida filosofia, soprattutto di quella platonica, sulla quale si è costruita la teologia della dualità anima-corpo. Anche il fatto così rilevante come quello del "sepolcro vuoto" trovato dalle donne, indicherebbe, a prima vista, che per risuscitare, Gesù avrebbe dovuto riassumere il corpo da cui si era separato. A parte l’ambiguità dell’indicazione, poiché il sepolcro vuoto poteva significare che il corpo fosse stato rapito, anche nelle apparizioni, pur narrate vivacemente, non si può trovare la base della certezza della fede nella risurrezione. I discepoli poterono leggere nell’uno e nell’altro caso la realizzazione piena della storia di Gesù in quanto diventarono comunità di fede, chiesa, che continuava la missione salvifica di colui che ormai era per loro Messia, Figlio dell’uomo, salvatore.

Le scienze umane aiutano ad orientarsi nel nuovo orizzonte antropologico del cristiano, spiegando che si è chiamati nella totalità della persona ad essere-con-Cristo. La risurrezione non è un fatto privato di Gesù, a cui rifarsi per credere. È il plèroma, cioè la pienezza, la perfezione dell’umano divinizzato. La personalità di ogni essere umano è la sua totalità e unità indivisibile, pur nella pluralità delle sue dimensioni: animalità, inconscio, esperienze esistenziali, tensione, apertura verso la completezza. Il credente compie giorno per giorno la sua maturazione spirituale. Anzi chiunque vive operando l’unificazione del suo essere in una realizzazione che va oltre il quotidiano esserci, non si lascia incontrare dalla morte, come da una cesura che sopraggiunge dall’esterno. La cesura c’è, tra tempo ed eternità; è la crisi del biologico. La solitudine della morte è il suggello della situazione esistenziale, che è di peccato. Ma la morte è il completamento di ciò che, attraverso l’esperienza terrena, si è iniziato nella ricerca dell’assoluto. L’identità della persona, che si è costruita mediante il corpo, non si identifica con questo. Per sempre l’essere spirituale resterà caratterizzato dai tratti corporei, psichici, morali, anche quando il corpo diventerà "polvere".

L’essere spirituale non è l’anima disincarnata. È il tutto dell’uomo. Ecco perché, quando il cosmo sarà trasformato totalmente, in esso ritroveremo quello che siamo già stati e ci sentiremo parte di un tutto, nel quale già da ora abitiamo, ma conflittualmente.


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