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Piero Pinna LA MIA OBIEZIONE DI COSCIENZA (Scritti 1950-1993) di Minny Cavallone

Edizioni del Movimento Nonviolento - Verona - pp. 80; L. 10.000.

La narrazione di un’esperienza vissuta è un metodo di testimonianza e confronto oggi molto valido di fronte alla complessità della realtà. Andare alle radici di un problema, in questo caso dell’obiezione di coscienza, serve ad illuminare il cammino futuro.

Pietro Pinna, primo obiettore italiano, descrive le vicende da lui vissute nel 1949: la sua maturazione psicologica, spirituale e morale, la permanenza in diverse prigioni militari, i processi, la perizia psichiatrica ed infine la conclusione solo apparentemente compromissoria (congedo per motivi di salute). Infatti la società non era ancora matura per promulgare una legge che riconoscesse il diritto all’OdC, come poi avvenne nel 1972. Pinna parla poi delle persone incontrate e dei diversi atteggiamenti suscitati dal suo gesto, in particolare della solidarietà di Aldo Capitini. In un incontro casuale Pinna ne aveva apprezzato la religiosità profonda, aperta e tollerante; gli scrisse e da questa corrispondenza ricevette, in carcere, un valido sostegno morale e, alla fine della vicenda, ne fu incoraggiato a narrarla. Cosa che l’autore ha fatto solo ora, dedicando il libro al figlio morto tragicamente.

Negli ultimi anni di guerra l’autore viveva a Ferrara e fu travagliato da una crisi profonda, che nasceva da motivazioni religiose (riguardo al ruolo della chiesa) e politiche (riguardo al fascismo), ma soprattutto dall’osservazione diretta dei guasti orribili, delle morti e delle mutilazioni prodotte dalla guerra. Ne uscì, ancorandosi a due valori fondamentali: la vita e la verità (nonviolenza e non menzogna). Mi pare utile riportare le sue riflessioni sulle preghiere per la vittoria da entrambi le parti belligeranti. "... dagli altari delle chiese che assiduamente frequentavo, i ministri di Dio impetravano celesti benedizioni sul re e sulle nostre forze armate". Ma... "In un Natale di guerra mi accorsi di sentire che l’allora presidente degli Stati Uniti, Delano Roosevelt, esortava il suo popolo ad elevare una speciale preghiera per la vittoria della patria in armi. Scoprivo nei miei nemici qualcosa di intimamente puro che saliva al cielo... Se entrambe valide le due preghiere, quale la loro sorte al cospetto di Dio?". La sua risposta "ingenua" (?) di ragazzo fu: "Dio non poteva essere nelle bombe sganciate dal cielo a far poltiglia della carne dell’uomo, a sventrare, a sconciare la sacra intimità delle sue case", dunque egli ritenne responsabili in modo sommo le chiese del grave peccato di immischiare Dio e coinvolgerlo nel terribile massacro.

Non sono sempre valide queste ragioni?

Nella seconda parte del libro, che contiene una lettera del ‘71 sulla restituzione del congedo militare, un’intervista del ‘90 e un intervento ad un convegno del ‘93, si trovano tematiche molto attuali e di ampio respiro: le obiezioni all’obiezione, il transarmo e la DPN, il rifiuto assoluto della guerra ed il disarmo unilaterale. Difficile riportare, anche per sommi capi, i percorsi di pensiero e le argomentazioni. Si tratta di questioni drammaticamente aperte, che ci sollecitano a riflettere e a scegliere, ben sapendo che nessuna scelta sarà facile e indolore. Molto interessanti mi sembrano le pagine dedicate alla corresponsabilità di tutti i cittadini (in varia misura ovviamente) nella preparazione della guerra e alla necessità di addestrarsi e prepararsi alla nonviolenza, qualora si sia persuasi della sua validità. E poi i dilemmi: esercito difensivo più transarmo pungolato dalla DPN o disarmo unilaterale puro e semplice? Servizio civile indifferente a quanto accade nell’apparato militare o antimilitarismo attivo e costruttivo? Conquiste "possibili" a livello istituzionale (opzione fiscale, diverso modello di difesa ecc.) o utopia trainante del rifiuto totale della guerra?

L’autore propende per le soluzioni più "radicali" che ovviamente non escludono quelle più "moderate" ma le "trascendono" ed io, concordando sostanzialmente con lui, vorrei riportare alcune delle osservazioni più convincenti.

a) A proposito di un esercito dotato di armamenti esclusivamente difensivi, quello jugoslavo ne era un esempio convincente ed ora "eccola quella esperienza sul tavolo anatomico del massacro in corso di cui si possono cercare mille ragioni, ma resta sempre il fatto che IL SUO VEICOLO PORTANTE, LO STRUMENTO ESSENZIALE STA NELLA PRESENZA DELL’ESERCITO (se i cittadini non sparassero come potrebbero gli sparuti gruppi dirigenti condurre una guerra?)".

b) Per gli obiettori di oggi può essere utile confrontare il loro animo ed i loro intenti con i fondamenti ed i propositi dell’OdC delle origini: c’era allora qualcosa di essenziale che ora è un po’ offuscato e deve essere ripreso e valorizzato? Forse l’opposizione alla guerra, che nella preparazione succhia tante risorse e che se si scatenasse annullerebbe qualsiasi conquista sociale.

c) La riduzione delle spese militari e la realizzazione di idee di DPN sarebbero ottimi traguardi, ma non dovrebbero far dimenticare ai nonviolenti la necessità di richiedere il disarmo completo, perché, se la società si adagiasse tranquilla nelle soluzioni mediate, ci addormenterebbe la consapevolezza della necessità di soluzioni PIÙ’ EFFICACI, di cui noi nonviolenti siamo portatori. La presenza di APPARATI BELLICI tiene immerso il mondo in una insanabile contraddizione: un corpo unico dilaniato da alcune sue parti, che pretendono di imporre una propria sovrana verità e propri unilaterali interessi. Chi è persuaso di ciò ha il dovere di adoperarsi per persuadere gli altri e di far vivere l’utopia.

Queste questioni dovrebbero essere dibattute tra tutte le persone che hanno a cuore le sorti dell’umanità.


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