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Un abitare collaborativo



Data: 01 Novembre 2021
Autore: a cura della redazione



Nel numero di ottobre di Tempi di
fraternità dello scorso anno,
dedicato al dossier anziani,
facemmo alcune considerazioni
critiche sull’attuale situazione
abitativa di coloro (le persone anziane) che
progressivamente vengono a perdere la loro
autonomia, risolta il più delle volte nel ricovero
in Residenze Sanitarie Assistenziali
(RSA) o simili. Com’è noto, esse sono fondate,
in analogia a qualsiasi altra impresa in
ambito neoliberista, sugli aspetti economici e
non sulla qualità della vita della persona ricoverata.

Anche se in presenza di persone non
ammalate, si fa ricorso a strutture sanitarie tendenzialmente
ad alto costo, accelerando così
l’isolamento dal mondo delle persone che invecchiano
e perdendo, inoltre, la necessaria
dimensione relazionale accompagnata spesso
dai legami affettivi.

È bene ricordare che la persona anziana in
generale non è una persona malata, ma piuttosto
una persona fragile, cioè con ridotte capacità
di resistenza ai fattori stressanti. Spesso
nella retorica della vecchiaia non abbiamo problemi
a definirla romanticamente una fase nel cammino della vita, ma dobbiamo convincerci,
allorquando la persona anziana viene a rappresentare
un concreto problema per la famiglia,
che è proprio così: essa costituisce una
importante e significativa parte del cammino
della vita, che ci piaccia o no.

Che fare allora? Nel numero 8/2020 offrimmo
la disponibilità di Tempi di Fraternità ad
ospitare le esperienze sui luoghi del vivere
dedicati alle persone anziane, con l’obiettivo
di “contribuire al confronto di riflessioni critiche
nate il più delle volte dalle emozioni collegate
alla reale esperienza vissuta”.
Sempre nel numero 8/2020 Luigi Giario richiamava
l’esigenza di pensare a un modo nuovo
e diverso di vedere il problema, con il coinvolgimento,
accanto agli anziani, dell’intero
spettro delle diverse componenti della società,
dalle giovani famiglie e famiglie di migranti,
ecc. Il futuro richiede il coraggio di pensare a
un abitare collaborativo, a realizzare residenze
solidaristiche innovative (social cohousing?).
Anche su questi aspetti sta emergendo
la necessità di cambiare la prospettiva nella
risoluzione del problema, facendo leva sul bisogno
di comunità che sta emergendo da più parti della nostra società.

Proprio l’attuale pandemia
da Covid-19 sta dimostrando l’incapacità
delle RSA italiane, troppo basate sulla redditività
economica delle strutture, a gestire in
modo adeguato la qualità della vita e la socialità
delle persone anziane ricoverate. Utile a
questo proposito la lettura della seconda parte
del breve saggio (“Il neoliberismo. Ideologia
che si fa mito”) di Luigi Giario su questo numero
di Tempi di Fraternità.
Segnaliamo infine l’articolo di Davide Pelanda
su questo stesso numero (“vivere nel
cohousing”). Il parere del Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella riportato nell’articolo
(“aiutarsi vicendevolmente è molto importante...”)
testimonia l’importanza di questi
argomenti nei confronti della risoluzione dell’abitare
delle persone anziane (il contributo
della socialità, della comunità, della cooperazione,
della condivisione) nell’ambito della
ripresa complessiva del nostro paese. Costituiscono
il fondamento del cosiddetto “cohousing”
(coresidenza), nato nel 1964 in nord
Europa e poi passato negli Stati Uniti ed infine
arrivato in Italia, dove purtroppo sono ancora
molto poche e ancora in fase sperimentale
le esperienze dedicate in particolare alle
persone anziane (“senior cohousing”).

Molto interessante da diversi punti di vista è
l’esperienza di Acmos di Torino riportata su questo numero da Ramona Boglino. Emergono
gli obiettivi e i ruoli delle diverse componenti
del progetto di “cohousing associativo
nelle abitazioni popolari”. I giovani (studenti,
lavoratori, ecc.) tra i 18 e i 30 anni costituiscono
il target del progetto. In accordo con il Comune
di Torino, ai partecipanti viene richiesta
- tra l’altro - la disponibilità di dare dieci ore
di volontariato da offrire agli abitanti della
struttura dove vivono per il doposcuola, la
pulizia degli spazi comuni, ecc. Interessante è
pure il valore sociale del progetto e la richiesta
rivolta esplicitamente al mondo della politica
nel suo complesso.

Viviamo nella fiducia e nella speranza in un
mondo veramente nuovo. Per tutte e tutti.
I temi affrontati in questo e in precedenti
numeri di TdF che riguardano l’economia neoliberale,
reggitrice del capitalismo predatorio
e l'abitare collaborativo, apparentemente distanti,
sono in realtà, secondo noi, uniti da un
filo sottile che potremmo dire di causa effetto:
il neoliberismo costituisce l’essenza enfatizzata
sino al parossimo dell'individualismo,
l'abitare collaborativo, variamente inteso, una
reazione a questa fatale deriva. Certo, non c'è
proporzione tra i due fenomeni, come tra Davide
e Golia, ma non disperiamo. Di piccole
cose buone è pieno il mondo e ne costituiscono
il tessuto connettivo.