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Governo Draghi: sì, no, non lo so



Data: 13 Marzo 2021
Autore: Luigi GIARIO



Il nuovo governo nasce in uno di quei rari giorni
detti palindromi, perché possono essere letti da
sinistra a destra ma anche da destra a sinistra, così
il 12.02.2021. Direi un giorno emblematico per
un governo che può essere visto da due lati opposti:
infatti, chi lo vede come la panacea di tutti i mali che
affliggono il bel paese da almeno vent’anni, chi la morte
della democrazia a favore della finanza e il trionfo del
neoliberismo più sfrenato. Ci potrebbe essere anche uno
sguardo non intermedio, ma laterale. Cioè cercare di vederlo
da un punto di vista altro rispetto agli stereotipi.

Certo per un bancario, che ha scritto sul suo libro dei
banchieri senz’anima, è facile posizionarsi sugli ipercritici
senza essere, ben inteso, annoverato tra i destrorsi.
E in effetti il curriculum di Draghi rientra perfettamente
nella fattispecie del freddo calcolatore che, abbandonato
l’insegnamento del suo professore (si tratta di Federico
Caffè, ormai dimenticato prestigioso seguace di
Keynes), si è lanciato nelle privatizzazioni selvagge dei
gioielli di Stato (Iri, Eni, Enel, Comit, Telecom), offrendoli
su un piatto d’argento ai soliti potentati finanziari
italiani che amano dirsi liberali quando si tratta di idee,
ma non disdegnano i monopoli quando si tratta di affari
(es. vedasi autostrade). E poi la Grecia: su Draghi pesano
come un macigno le enormi sofferenze del popolo
greco quando impose, con un provvedimento di dubbia
legalità, la chiusura delle banche con tutte le conseguenze
che si possono immaginare. Da notare che questo avvenne
malgrado che le proposte di conversione del debito
greco, presentate da Yanis Varoufakis all’Adam
Smith Institute di Londra, avessero convinto gli investitori.
Passerà alla storia la dichiarazione del ministro greco:
“Mario, ti riterrò personalmente responsabile se verrà
sospesa l’esenzione (la possibilità che consentiva alle
banche greche di ottenere denaro liquido in cambio di
garanzie collaterali, n.d.r.) il giorno dopo che con il mio
intervento ho fatto aumentare i titoli delle banche del
20 %. Se lo fai sarà la prima volta nella storia delle banche
centrali che una banca centrale distrugge il successo
sui mercati finanziari di un ministro delle finanze”.
Ma, si sa, quello era un governo di sinistra!

Tutto ciò e molto altro si potrebbe dire sulla storia di
Draghi, quale esponente del potere finanziario, conclusasi
brillantemente con la salvezza dell’Euro.

Ma lasciamo la storia recente e andiamo all’attualità.
Siamo ancora tutti storditi dalle spericolate manovre
renziane volte a far cadere Conte ad ogni costo, ed ecco
Draghi (tra l’altro amico di Berlusconi, cui deve molto).
Dunque Draghi arriva alla guida del Paese solo per
evitare elezioni rischiose, non solo per il Covid? Per
esprimere una valutazione personale della vicenda ho
atteso la presentazione del programma, del dibattito e
della replica. Non mi piace esprimere giudizi preconcetti
sulla base della sola storia di una persona, perché
l’esperienza mi dice che tutti possiamo cambiare: in peggio,
certo, ma anche in meglio. Perciò mi sforzo di leggere
con obiettività le parole di Draghi.

Sinceramente speravo di meglio, ma sbagliavo, perché
il neo premier non poteva scontentare nessun partito
all’inizio del suo cammino e così ha fatto. Un discorso
dove i rari richiami a valori alti sono diluiti in un’arida
elencazione di proponimenti, cose e numeri,
senz’anima appunto, ma dove alcuni termini usati, come
alcune omissioni, tradiscono il suo pensiero. Ad esempio
ha parlato di “capitale umano”, che è basato sui principi
di fondo della razionalità economica ed è definito
dal Dizionario di economia e finanza come “insieme di
capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali
e relazionali possedute in genere dall’individuo”. Una
definizione che ignora la dignità della persona che alcune
scuole di pensiero indicano tripartita in corpo, anima
e spirito, dove ciascuna di queste componenti, sono strutturalmente
interconnesse tra di loro e formano un unicum
irripetibile della persona che poco ha a che fare con l’economia.
Sulla stessa linea la locuzione “capitale naturale”
usata per parlare della politica ambientale. Inutile
dire che l’aria, l’acqua, ecc. non sono capitali naturali
ma bene comune (termine mai usato da Draghi). Come
bene comune è il suolo sempre più consumato (2 m2 al
secondo!) e ignorato nel discorso, un inquietante segnale
al partito del cemento in spregio della salvaguardia ambientale.

Anche nei riferimenti di politica estera, a mio parere, vale
il non detto in quanto, nel contesto del discorso e delle repliche,
il ruolo “irrinunciabile” dell’Italia quale “protagonista
dell’Alleanza Atlantica” nasconde la totale sottomissione
alla Nato con conseguente acquiescenza alla politica
sin qui attuata: crescenti impegni militari nell’est Europa,
aumento delle spese per gli armamenti, già esorbitanti (per
il settimo anno consecutivo) e continuazione della permanenza
di basi militari atomiche sul nostro territorio, alla faccia
della sicurezza anche ecologica.

L’ecologia l’ha fatto da padrona negli interventi di Draghi,
in particolare con la citazione delle parole di papa Francesco
sulla necessaria radicalità del rispetto dell’ambiente,
mettendo in stretta relazione la pandemia, il salto del virus
dall’animale all’uomo, con la tumultuosa distruzione del
pianeta: “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una
buona moneta”. Il nuovo ministero della transizione ecologica
potrà dare risposte reali e non di facciata? Vedremo
nella prassi, perché le attribuzioni, all’esordio, appaiono insufficienti
a esprimere una svolta reale che dovrà modificare
radicalmente la cultura energivora dominante.

Ma il papa aggiungeva che, senza il riscatto dei poveri,
non si può migliorare l’ambiente. E di questo paradigma
ineludibile nulla vien detto. Infatti Draghi ha sì parlato delle
diseguaglianze (legate al coefficiente Gini), ma senza prospettare
la benché minima soluzione per farvi fronte. Poteva
farlo almeno quando ha parlato del fisco da riformare,
ma non vi è cenno. Non si parla nemmeno di una mini
patrimoniale a favore dei meno abbienti che coinvolga i
paperoni del nostro paese (tre di essi, da soli, “valgono”
circa tre milioni di poveri). Ha sì concesso che venga mantenuta
la progressività, come sancito dalla Costituzione, ma
ha citato come esempio da seguire la commissione Visentini
del ‘72 che, se da un lato proponeva aliquote più progressive
di oggi (andavano dal 10 al 72 %), dall’altro inventava il
prelievo diretto dell’Irpef sulle buste paga dei lavoratori
dipendenti in virtù del quale oggi questi ultimi sono costretti
a sostenere oltre il 70 % del totale del prelievo fiscale
delle persone fisiche e, piccolo particolare, il varo della
riforma fu accompagnato da un massiccio condono fiscale...
Presagi infausti!

A proposito del papa, sarei curioso di sapere che cosa
pensa dell’appoggio più o meno esplicito che la CEI e i
giornali cattolici stanno fornendo a Draghi. In proposito
Luigino Bruni, che non può essere certo tacciato di
estremismo, scrive un post, non a caso su Facebook, anziché
su un giornale: “Il mondo cattolico, sulla scia del Magistero,
continua a lamentarsi di un capitalismo in mano
alla finanza, alcuni giornali di ispirazione cattolica hanno
costruito parte della loro identità criticando il capitalismo
finanziario e la dittatura della grande finanza. Poi oggi,
questo stesso mondo cattolico esulta per l’arrivo di Mario
Draghi, di cui si vanno a rintracciare le radici cattoliche,
come se non fossero cattolici (almeno quanto Draghi) Prodi,
Berlusconi, Monti, Conte, persino Renzi. Come se Draghi
fosse lì per la sua dottrina religiosa e non per quella finanziaria”
(il testo completo è riportato nel n. 3/2021, pag. 30
di Tempi di fraternità).

Considerando per un attimo l’ambito internazionale, possiamo
capire meglio lo scenario italiano che potrebbe delinearsi
nell’arco della durata del governo Draghi: in Francia,
ad esempio, lo spauracchio dell’estrema destra lepenista
ha sempre fatto virare al “centro” il voto di sinistra, consentendo
ai Macron di turno di vincere e servire i poteri che
contano. Idem per gli Stati Uniti dove i democratici liberal
come Sanders hanno sempre dovuto cedere il campo ai gruppi
tradizionalmente legati ai potentati, ultimo in ordine di
tempo i Clinton e, dalle prime avvisaglie, anche Biden non
sembrerebbe sfuggire a questa logica.

Qui da noi i movimenti sono forse più complessi, ma
l’orientamento verso il “centro” non cambia. Non credo sia
un caso che si stiano mobilitando più o meno noti esponenti
cattolici, centristi, oltre ai ciellini, unanimi nel ritenere
l’arrivo di Draghi una grande opportunità per ricostituire
un centro politico che sperano ruoti su di essi. Non so se
nelle intenzioni, ma nei fatti, ci sia convergenza con il Renzi
pensiero, che mira ad asfaltare PD e M5S per attrarre i loro
voti moderati verso un nuovo raggruppamento centrista con
Calenda e i radicali della Bonino, e pazienza se costoro
sono i più strenui propugnatori dell’individualismo a tutti i
livelli. D’altra parte non son pochi i commentatori che vedono
nella vicenda in atto la possibilità di “normalizzare”
il paese tagliando le punte estreme per consentire un libero
gioco tra moderati di centro-sinistra e moderati di centrodestra.
Risulterebbe così plausibile anche la stroncatura dei
grillini dissidenti e la riduzione di Salvini a più miti consigli.
La sinistra radicale s’è già distrutta da sola, per cui non
ha neanche l’onore di entrare nel mirino dei manovratori.
Così, mentre Renzi e il centro-destra gongolano, e l’ex maggioranza
s’illude, ai cittadini tocca incrociare le dita e ai più
poveri soffrire in silenzio. Non credo però che tutte queste
manovre possano attribuirsi personalmente a Draghi, semmai
sono l’effetto Draghi.

Ancora due osservazioni sulla composizione del governo.
Ho l’impressione che i ministri “tecnici” scelti da Draghi
siano datati e non esprimano di certo pensieri innovativi.
Dirigenti e manager nati e cresciuti nella vecchia cultura
liberale che odora di neoliberismo, anch’essi responsabili,
per i ruoli svolti in passato, delle derive economiche in
cui annaspiamo da anni. Difficile pensare che da lì si possa
invertire la rotta. Eppure a Draghi e a questi “competenti”
sono affidate le sorti economiche e sociali dell’Italia (non
solo i 200 miliardi di fondi europei) mentre i partiti, i cui
esponenti sono piuttosto scialbi, saranno lasciati liberi di
spennarsi tra di loro su materie ininfluenti, tranne lo sviluppo
economico attribuito all’amico Giorgetti, che di ambiente
non ha mai mostrato il minimo interesse (come del
resto al suo partito e alla destra in genere, salvo ora cavalcarlo spudoratamente sull’onda del ritrovato europeismo di
maniera) ma in compenso è molto vicino alla Confindustria.
Né si può tacere sui sottosegretari, ben nove assegnati
alla Lega, tra cui il “falco” Molteni agli Interni, in spregio
ai decreti sicurezza appena modificati.

“Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il
possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più
piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la
crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano
questo nuovo esecutivo, siamo tutti semplicemente cittadini
italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente
consapevoli del compito che ci è stato affidato. Questo
è lo spirito repubblicano del mio governo”.

Anche noi amiamo l’Italia: aspettando l’agire concreto,
proviamo a dargli credito, perché gli sprazzi di speranza
che restano, alla fine si riducono ai richiami alla centralità
dei giovani e della scuola e all’accenno all’egoismo che
domina gli attempati, che poco o nulla concedono alle generazioni
future: “ogni spreco oggi è un torto che facciamo
alle nuove generazioni”. È partendo dal poco che vorrei
concedere una chance di resipiscenza al neo presidente,
osannato dai molti.