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Quando sarai vecchio tenderai le tue mani...



Data: 07 Settembre 2020
Autore: Sergio SBRAGIA



Alla fine del Vangelo di Giovanni, Gesù,
dopo aver chiesto a Pietro, per tre volte,
se lo amasse e di voler pascere le
sue pecore, opera un confronto tra
la gioventù (con la sua autonomia)
e la vecchiaia (segnata dalla dipendenza).
«In verità, in verità io ti dico: quando
eri più giovane ti vestivi da solo e
andavi dove volevi; ma quando sarai
vecchio tenderai le tue mani, e un altro
ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi»
(Gv 21,18)

Gesù sta passando a Pietro il testimone del
suo essere la “porta delle pecore” e dà a tale
atto un’aura di solennità, resa nella triplice ripetizione
sia della domanda (“mi vuoi bene?”),
sia dell’incarico di “pascere le pecore”. Pietro,
un po’ rattristato, conferma anch’egli per tre
volte il suo amore. Qui Gesù pronuncia il suo
invito: “Seguimi”.
In questo gesto di Gesù, che appare una sorta
d’investitura, il confronto tra la gioventù e
la vecchiaia pone in luce che, non l’autonomia
del far ciò che si vuole ma il seguire la volontà
divina dettata dall’amore, sarà il carattere peculiare
della missione di pascere gli agnelli.
Pietro viene chiamato a divenire adulto, rinunciando
per il bene delle pecore alla propria autonomia,
così come un anziano si ritrova a dipendere
da altri.

Questa scelta della dipendenza non è un
arretramento, ma un responsabile passo di maturità
nel seguire Gesù, un po’ più da vicino
rispetto al più giovane discepolo amato, anch’egli
testimone della missione terrena di
Gesù. Il punto decisivo, di svolta esistenziale,
sta “nell’amare Gesù”.
Questo ricorso, in chiave di similitudine, fatto
da Gesù alla dicotomia gioventù/vecchiaia,
riecheggia un celebre brano del Qoèlet, il famoso
“poema finale” posto quasi a conclusione
del libro.
Dolce è la luce
e bello è per gli occhi vedere il sole.
Anche se l’uomo vive molti anni,
se li goda tutti,
e pensi ai giorni tenebrosi, che saranno
molti:
tutto ciò che accade è vanità.
Godi, o giovane, nella tua giovinezza,
e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua
gioventù.

Segui pure le vie del tuo cuore
e i desideri dei tuoi occhi.
Sappi però che su tutto questo
Dio ti convocherà in giudizio.
Caccia la malinconia dal tuo cuore,
allontana dal tuo corpo il dolore,
perché la giovinezza e i capelli neri sono un
soffio.

Ricòrdati del tuo creatore
nei giorni della tua giovinezza,
prima che vengano i giorni tristi
e giungano gli anni di cui dovrai dire:
“Non ci provo alcun gusto”;
prima che si oscurino il sole,
la luce, la luna e le stelle
e tornino ancora le nubi dopo la pioggia;
quando tremeranno i custodi della casa
e si curveranno i gagliardi
e cesseranno di lavorare le donne che
macinano,
perché rimaste poche,
e si offuscheranno quelle che guardano
dalle finestre
e si chiuderanno i battenti sulla strada;
quando si abbasserà il rumore della mola
e si attenuerà il cinguettio degli uccelli
e si affievoliranno tutti i toni del canto;
quando si avrà paura delle alture
e terrore si proverà nel cammino;
quando fiorirà il mandorlo
e la locusta si trascinerà a stento
e il cappero non avrà più effetto,
poiché l’uomo se ne va nella dimora eterna
e i piagnoni si aggirano per la strada;
prima che si spezzi il filo d’argento
e la lucerna d’oro s’infranga
e si rompa l’anfora alla fonte
e la carrucola cada nel pozzo,
e ritorni la polvere alla terra, com’era prima,
e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato.
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
tutto è vanità.
(Qo 11,7-12,8)

A prima vista, il testo può richiamare in mente l’idea della
celebrazione della giovinezza (carpe diem), molto viva
nelle antiche culture mediorientali e in quella classica, e
che ha riscosso anche l’attenzione del nostro Umanesimo
con la nota celebrazione medicea «quant’è bella giovinezza...
». Ma il nostro testo supera una superficiale esaltazione
della giovinezza e una simmetrica demonizzazione della
vecchiaia. Qoèlet si rivolge in primo luogo a un interlocutore
giovane, ma il suo sguardo si allarga anche a considerare
una condizione esistenziale universale, vivibile
da tutti, dagli anziani, ma anche da chi nella propria vita,
al di là dell’età, fa esperienza di giorni bui.
Qoèlet è una singolare espressione della tradizione
sapienziale d’Israele, ove la riflessione dei saggi sulla vita
umana si coniuga con il timor di Dio, in una ricerca di verità.
Sul sentiero del saggio Qoèlet, non s’intravedono ancora
i segni di una riflessione sulla resurrezione, anche se è
presente la prospettiva del giudizio.
Lo sguardo posto da Qoèlet sull’esistenza umana non presenta
i tratti di un pessimismo di fondo indotto dalla considerazione
dell’inevitabile provvisorietà dei caratteri belli e
avvincenti della gioventù, destinati a svanire con gli anni,
attraverso le sofferenze della vecchiaia, sino a trovar termine
nella morte.

Il ricorrente riferimento alla “vanità”, caratteristico del
Qoèlet, non è assente dal brano in esame («tutto ciò che accade
è vanità», al v. 11,8, e «vanità delle vanità, dice Qoèlet,
tutto è vanità» a v. 12,8). Tali richiami, più che segnare un
cedimento al pessimismo, esprimono una visione ispirata a
un sano realismo, se rapportati con altri elementi, che nel
brano valorizzano elementi concreti dell’esperienza umana.
Già in apertura, al v. 11,7, abbiamo un canto della bellezza
della luce, dichiarata dolce, e la celebrazione di come
sia bello poter vedere il sole, fonte della luce.
Subito dopo al v. 8 c’è un riferimento alla vecchiaia, che
c’interessa molto da vicino: «Anche se l’uomo vive molti
anni, / se li goda tutti». L’invito rivolto a tutti, anche agli
uomini avanti con l’età, è di non esitare a gioire e a godere
gli anni che la vita ci dona. La gioia è una virtù non riservata
alla sola giovinezza, anche l’anziano è invitato a coltivarla,
gustando i sapori positivi della quotidianità, sia pur
nella consapevolezza che giorni bui e duri potranno sopravvenire.
Una consapevolezza alla quale sono chiamati tutti,
anche i giovani.

A un giovane infatti, al v. 9, si rivolge esplicitamente il
Qoèlet: «godi, o giovane, nella tua giovinezza, / e si rallegri
il tuo cuore nei giorni della tua gioventù». È chiaro l’invito
a seguire le vie del cuore e i desideri degli occhi, che
dice di una valutazione potenzialmente positiva di quanto
il cuore umano può sentire e la visione della realtà può far
desiderare. Il tutto contemperato dalla consapevolezza che
le scelte concrete sono destinate al giudizio di Dio («sappi
però che su tutto questo / Dio ti convocherà in giudizio»).
Alternando poeticamente l’invito alla gioia con quello alla
consapevolezza responsabile, Qoèlet spinge di nuovo il giovane
a scacciare la malinconia e il dolore, ricordando che
giovinezza e bella capigliatura sono solo un soffio (v. 10).
Ma al v. 12,1, c’è un riferimento essenziale, un invito esplicito
formulato in forma direttamente personale, che punta a
coinvolgere sul piano esistenziale («ricòrdati del tuo creatore
»). Nel Qoèlet, in relazione a Dio, è più frequente il
ricorso al verbo temere piuttosto che al verbo ricordare.
Quest’uso invita a costruire un rapporto con Dio, non fondato
sulla paura, ma sull’affidamento. Anche l’indicazione
di Dio come creatore (anch’essa non frequente nel libro),
donatore della vita, e l’uso del tu, esprimono una sollecitudine
dell’autore affinché il lettore curi il suo rapporto personale
e spirituale con Dio.

Quest’invito a “ricordare il creatore” costituisce il punto
centrale del poema, e si pone in parallelo al “mi ami” di
Giovanni da cui siamo partiti. Si propone come la bussola
d’orientamento dell’esistenza umana, offerta in prima battuta
ai giovani, ma in realtà estesa a tutti, anziani compresi,
«prima che...». Quest’ultima sottolineatura «prima che...»,
ricorre, per rimarcarne la rilevanza, ben tre volte («...vengano
i giorni tristi», al v. 1; «...si oscurino il sole, la luce...»,
al v. 2; «...si spezzi il filo d’argento», al v. 6). È un’opportunità
più praticabile per il giovane, ma non è preclusa all’anziano
prima che la vita porti a dover dire “non ci provo
alcun gusto”.

Il Qoèlet mostra una visione sorprendente e moderna della
vecchiaia, che non si esaurisce in una limitazione progressiva
della prestanza fisica, ma comprende un’ancora grande
capacità spirituale della persona, che può godere i giorni
della sua vita, curando di ricordare il proprio creatore «prima
che...». E questo dice molto a noi, che oggi ci confrontiamo
con una più alta aspettativa di vita, che ha reso diffusa
e probabile per le persone il poter godere di un periodo
abbastanza lungo di vecchiaia attiva da vivere con autonomia
e responsabilità.

Ma gli elementi di modernità non si esauriscono qui, il
poema, dedicandosi alla descrizione dei giorni tristi inevitabili
nella vita, opera un’intersezione inaspettata del piano
personale della morte con una pluralità di dimensioni di
ordine cosmico, sociale e naturale. La morte viene vista
certo come un evento duro, ma non riducibile alla sola esistenza personale. Nei versetti successivi appaiono riferimenti
che, a prima vista, possono apparire poco attinenti,
ma in realtà mostrano una sorprendente modernità
del Qoèlet, alla cui epoca non era percepibile la fragilità
della creazione. In qualche modo, invece, questa debolezza
del creato è presentita dal nostro testo. Per noi
uomini d’oggi i riferimenti all’oscurarsi del sole, della
luce, della luna e delle stelle (12,2), alla locusta che «si
trascinerà a stento» e al cappero che «non avrà più effetto
» (12,5), è impossibile che non siano intesi come
un appello alla presa di coscienza dei giorni duri che
oggi vive la creazione, che chi “si ricorda del creatore”
non può trascurare, se intende trascorrere in pienezza i
giorni che è chiamato a vivere «prima che...». Anche il
nostro pianeta e la natura possono essere in attesa di
giorni tristi.

Incontriamo un altro richiamo all’oggi al v. 4, ove si
ricorda che «si abbasserà il rumore della mola» e «si
affievoliranno tutti i toni del canto». È inevitabile: il
pensiero corre ai giorni del fermo delle attività del recente
periodo di chiusura prudenziale imposto dalla
pandemia da cui faticosamente stiamo cercando di venir
fuori. Non solo gli uomini, ma anche le attività che
danno vita alle comunità umane, sono a rischio di fermarsi
e venir meno.

Per Qoèlet, poi, l’attesa di giorni tristi e della morte
riguarda ugualmente i ricchi e i poveri, i potenti e i deboli.
Questo duro destino affianca i poveri «custodi della
casa» e i potenti «gagliardi», «le donne che macinano
» e «quelle che guardano dalle finestre» (v. 5).
E allora «prima che si spezzi il filo d’argento / e la
lucerna d’oro s’infranga / e si rompa l’anfora alla fonte
/ e la carrucola cada nel pozzo» (v. 6) è necessario che
ogni essere umano con sapienza goda con gioia e pienamente
dei doni ricevuti e si ricordi del suo creatore. Una
gioventù e una vecchiaia, che sappiano gustare la vita
confidando nel creatore, sapranno al momento giusto
essere pronte, lasciandosi portare dove non vogliono,
quando la polvere dovrà tornare alla terra e il soffio vitale
a Dio.