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SCHIERATI



Data: 08 Febbraio 2010
Autore: Angela Mori (Firenze)



Chissà quante volte si sarà chiesto quando finirà l’esilio.
Se l’intento era di fornirgli un’occasione per porsi delle domande, comprese quelle che riguardano il potere delle gerarchie, sicuramente, monsignor Betori, lei ci è riuscito in pieno visto il tipo di punizione che ha voluto infliggergli: il silenzio intorno per riflettere in quel luogo isolato, in una delle strutture della comunità di Romena, così lontano da Dio, dagli uomini, dalle donne e dai bambini. Lontano insomma da quell’umanità, straordinariamente viva e vitale che ha lasciato alle Piagge e che lui, don Alessandro Santoro, ha contribuito a rendere tale.
Per quanto tempo ancora durerà la sua condizione di esule? Ma soprattutto, di quale peccato si è macchiato per esser stato allontanato dalla sua comunità? Perché la Chiesa definisce l’unione di Sandra e Fortunato, che hanno deciso di testimoniare la loro fede con il sacramento del matrimonio, un inganno? Proprio non riesco a capire quale sia questo inganno.
Fortunato sapeva certamente che Sandra era nata in un corpo maschile. Vivono insieme e si amano da trent’anni, pertanto mi sembra ragionevole che abbiano parlato di quest’aspetto della loro vita. Dunque, perché parlare d’inganno, quando tra due persone c’è rispetto, stima, sincerità e amore? Forse perché Sandra ha osato modificare quello che la natura, o dovrei dire dio, le aveva negato e cioè un corpo non corrispondente alla sua identità femminile?
Non credo neanche che l’inganno stia nel fatto che, in virtù di quel cambiamento, Sandra non potrà avere figli naturali, altrimenti la Chiesa non dovrebbe più celebrare i matrimoni nei casi in cui la donna supera i cinquant’anni, perché si sa, oltre quell’età, è abbastanza difficile che una donna possa concepire un bambino e in ogni caso, considerando che l’impotenza generandi per il diritto canonico non costituisce impedimento alla celebrazione del matrimonio, viene quindi a mancare quello che all’apparenza poteva costituire un ostacolo al loro progetto di vita.
Se un inganno c’è stato, questo è stato commesso dalla Chiesa che per quindici anni ha lasciato credere a don Santoro che si poteva portare la parola di Cristo in un quartiere dove i valori della fratellanza, condivisione, fratellanza e solidarietà sembravano appartenere a un altro pianeta. Lui ha deciso di mettere in gioco se stesso in quell’esperienza e con il potere maieutico proprio delle chiese popolari ha fatto nascere donne e uomini nuovi, così come hanno fatto prima di lui e insieme a lui, tanti uomini e donne della Chiesa che a un certo punto della loro vita hanno deciso di schierarsi scegliendo non soltanto di far conoscere il vangelo alla gente ma di renderlo vivo.
Penso a dom Helder Camara, arcivescovo di Recife, che usava dire “non sono un pastore di anime ma di uomini” per rimarcare il suo impegno a favore dell’emancipazione degli uomini e delle donne nella liberazione dalla condizione di schiavitù e povertà. Penso a padre Julio Lancellotti, che a San Paolo del Brasile ha creato un centro di accoglienza per bambini malati di AIDS ed ha subito attentati e processi per aver denunciato pubblicamente la polizia militare collusa e connivente con le organizzazioni del narcotraffico e della prostituzione infantile. Penso anche a padre Vanildo Fernandez da Mota di Rubiataba che, sempre in Brasile, per aver condiviso le battaglie degli indios per riprendersi la terra espropriategli dai latifondisti, si è visto minacciato di morte quando ha cercato poi di aiutare alcune persone a uscire dall’inferno della famiglia Caiado, potentissimi fazenderos, nonché spietati assassini che riducono in schiavitù, stuprano e uccidono le persone che lavorano nella loro azienda.
Penso anche ad altri, sempre in America Latina, cui è toccato un destino più crudele. Ubaldo Gervasoni nel 1988, sacerdote di Waslala nel Nicaragua rivoluzionario, fu sequestrato dai contras per aver denunciato pubblicamente i loro orrendi crimini nei confronti dei campesinos. Una volta liberato dovette subire un’aggressione più feroce: quella del Vaticano che attraverso le sue gerarchie gli riservò la sospensione a divinis. Penso a Monsignor Romero, che supplicò, implorò e ordinò di fermare la repressione in El Salvador e che poi fu assassinato, dopo che altri sacerdoti e suore avevano subito la stessa sorte in quel Paese e prima che altri ancora, come i sei gesuiti tra cui Ignacio Ellacuria, Segundo Montes e Martin Barò, fossero brutalmente trucidati qualche anno più tardi dagli stessi squadroni della morte regolarmente addestrati negli Stati Uniti, per aver osato contrapporsi a quel regime con l’arma delle parole dalle aule dell’università centroamericana. Per non parlare poi dei coraggiosi sacerdoti di casa nostra, come don Puglisi e don Diana, che hanno pagato anch’essi con la vita l’aver cercato di creare opportunità concrete per i ragazzi dei quartieri dove le mafie attingono e si nutrono per vivere e rigenerarsi.
Evidentemente, caro monsignor Betori, questo è il destino di coloro che, nell’ambito della Chiesa, hanno deciso di schierarsi a favore degli ultimi, degli esclusi. Ammazzati o minacciati pesantemente da chi fino a quel momento aveva ucciso ed intimidito oppure allontanati da chi doveva proteggerli e sostenerli.
Ma il Vaticano non si è mai accorto della grandezza di questi sacerdoti così appassionati dell’umanità che li circonda. O forse sì. E per questo non li ha mai perdonati, come dimostrò uno dei suoi più autorevoli rappresentanti, papa Giovanni Paolo II, allorquando, di fronte alle telecamere di tutto il mondo, in occasione della sua visita in Nicaragua nel 1983, redarguì con l’indice alzato in tono di minaccia, invitandolo a dimettersi, Ernesto Cardenal in deferente genuflessione, sacerdote e ministro della cultura del governo sandinista. Poco dopo dimostrò anche di non aver rispetto del dolore delle madri nicaraguensi, negando loro una preghiera per i figli ammazzati dai contras, che loro avevano invocato nella piazza di Managua. Strano quel papa, che volle umiliare gli uomini e le donne che avevano scelto di liberarsi da una feroce dittatura come quella somozista, quando invece nel 1987, in visita in Cile, strinse la mano a un dittatore fascista come Pinochet. E fu sempre lui a premiare con la nomina a cardinale, qualche anno più tardi, Pio Laghi, nunzio apostolico di Buenos Aires negli anni della dittatura militare in Argentina, che la domenica andava a giocare a tennis con il generale Massera e i giorni feriali si recava alla ESMA, uno dei tanti centri di detenzione e tortura, in compagnia di alcuni ufficiali, a firmare le condanne a morte degli oppositori al regime.
Il Vaticano sembra invece accorgersi dei mutamenti in atto nella nostra società. Peccato però che non senta il bisogno di attualizzare il messaggio di Cristo adeguandolo a questi cambiamenti, per esempio sostenendo sempre e comunque l’amore tra le persone a prescindere dal loro sesso e dalle scelte personali e magari senza ingerenze nelle scelte politiche operate dalle istituzioni quando queste decidono di aiutare le giovani coppie a crearsi quella famiglia tanto benedetta dalla Chiesa, proprio come è successo in questi ultimi tempi a Firenze, la cui amministrazione comunale è stata criticata per aver creato un fondo di sostegno al pagamento del mutuo della prima casa destinato a coppie anche non sposate, anche dello stesso sesso.
Qualche settimana fa mi sono trovata, per caso, all’inaugurazione di una filiale di banca. Oltre al prosecco di pessima qualità offerto ai presenti e al fatto che tutte le impiegate portavano i tacchi a spillo, sa che cos’altro mi ha colpito monsignor Betori? Il prete. Non avrei mai pensato che un prete fosse chiamato a benedire una banca. Strana la Chiesa che accetta che si possa invocare la protezione di Dio su chi concede mutui a tassi da usura come fanno le banche e condanna invece le istituzioni che aiutano i cittadini a risolvere i problemi più immediati attraverso modalità come il microcredito. Sa che anche alle Piagge da più di dieci anni è attivo un fondo etico e sociale destinato ai cittadini in stato di bisogno, voluto proprio da quella comunità e da don Santoro? Già…..sempre lui.
Chissà quante volte si sarà chiesto quando finirà l’esilio.