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Redazionale del n° 3 (Marzo 2003)

Violenza della guerra e femminismo

Tra i temi che via via emergono nelle riunioni di redazione, questo, annunciato dal titolo, è vivamente sentito, dato il pericolo incombente di una guerra che convince solo chi occupa posti di potere. Ci ragioniamo su, tentando di fare un’analisi circa le radici di questa pazzia umana.

Il nesso guerra-genere maschile

Collegare il tema scottante della violenza nel mondo di oggi al movimento femminista comporta cercare un denominatore comune tra due aspetti dello stesso problema.

Nel nostro discorso prende subito risalto una considerazione: la violenza nasce dal rapporto sbilanciato tra esseri umani; e il femminismo ha avuto avvio attraverso la presa di coscienza di una delle conseguenze di tale squilibrio. Ma è assurdo ritenere che l’altra metà del genere umano sia incapace di fare altrettanto. La tesi che fa risalire il nesso tra violenza e genere maschile ad una legge di natura si avvalora del dato storico che la guerra c’è sempre stata, e spetta agli uomini farla, quasi si trattasse di una correlazione metastorica e, come tale, immutabile.

Bisogna invece alimentare la fede che è possibile un’umanità diversa.

La liberazione dall’oppressione investe gli esseri umani quando prendono coscienza di poter incidere nel corso storico e mutarlo. Come afferma Elisabetta Donini, ragionare sui meccanismi di base dell’agire umano permette di usare qualche strumento in più per capire il perché della violenza, solo che, lungi dal considerarla fattore naturale irremovibile, si sappiano indirizzare le potenzialità umane in un’altra direzione. Sogno realizzabile solo quando uomini e donne sapranno agire da soggetti concordi nell’impegno a capovolgere l’assetto delle cose esistenti.

Identità e differenza

Interrogando la storia possiamo constatare che, pur tra mille contraddizioni, non sono mancati individui e gruppi di individui i quali hanno saputo rivendicare la loro identità. La quale si sviluppa nell’individuo che sa trovare in se stesso i motivi di forza per realizzarsi. Eppure nessuno esprime il meglio di sé isolatamente. La differenza non è valore aggiunto all’identità, ma intrinseca al riconoscimento dell’altro con cui confrontarsi. Nel combaciare di identità e diversità c’è il paradigma dell’universo, uno e plurale nella varietà infinita delle sue componenti.

Il femminismo non sarebbe il grande fenomeno esplosivo del tempo se restasse isolato da tutti i movimenti di liberazione, sorti in virtù della non-accettazione passiva del retaggio del passato, della voglia di futuro. Resta il compito di saper incanalare le rivendicazioni dell’appartenenza di genere, in modo che sfocino nel riconoscimento dell’alterità.

Natura e cultura

Le donne hanno trascorso tante stagioni costellate di progettualità che talora si sono rimbalzate contro loro stesse. Lo slogan "natura contro cultura" implicava che si volgesse lo sguardo ad un passato ideale perché incontaminato, in grado di offrire i parametri per mettere in questione una cultura declinata tutta al maschile. Mentre nella donna natura e cultura andrebbero a braccetto, sarebbero stati soltanto gli uomini a soppiantare la natura con una cultura che si impone su tutti i piani, con la violenza propria di chi detiene un potere.

Quando esse si sono accorte del pericolo insito nell’equiparazione tra "natura femminile e cultura femminile", hanno saputo evitarlo imboccando la strada giusta per sviluppare ciò che è implicito nella loro natura in termini di affermazione della propria identità, uguale per diritto e diversa in quanto altra da quella maschile.

Resta infatti affidato a tutti, uomini e donne, il compito di smontare il pregiudizio che spetti solo alle donne proporre nuovi modelli culturali. Oggi i tempi dovrebbero essere maturi perché si dilati in tutte le direzioni la ricerca del più sano femminismo.

Verso una cultura della pace

Le donne ai sono rese conto dei limiti del rifiuto globale della cultura costruita lungo l’arco di millenni; e si sono posta la domanda: coniugare tutto al femminile o fondare una cultura del tutto altra? Una nuova era di pace non inizierebbe anche per via della consolidazione di un pensiero arricchito, sì, delle doti tipicamente femminili, ma tale da contagiare anche gli uomini di una cultura della vita e del rispetto di tutte le diversità? Per procedere in questa direzione bisogna ampliare l’orizzonte umano in tutte le direzioni.

La liberazione della donna passa attraverso la liberazione del diverso, del marginale, di quanto la traiettoria dell’omologazione lasciava, lascia, cadere fuori da sé.

A ben riflettere passato e futuro non sono separati che da una linea sottilissima, sempre in movimento, il labile presente. La cultura non può sostituirsi alla natura, come il futuro non può cancellare il passato. Per liberarsi dal passato bisogna inserirlo nel suo processo verso il futuro che attende... Altrimenti si oscilla tra due opposte posizioni: perpetuare la cultura della violenza quale fattore (che si presume) con-naturato all’uomo, o sganciarsi dal passato guardando solo al futuro, affidati ad un altrettanto presunto progresso illimitato.

Come far attecchire il seme della libertà

Il binomio natura-cultura, visto nell’associazione dei due termini anziché nella loro disso-ciazione, ha smontato il pregiudizio della preminenza sia di una natura sempre uguale a se stessa sia di una cultura che la soppianta. Il femminismo è chiamato a portare il suo contributo perché il paradigma dell’identità nella differenza si estenda al di là delle conquiste femminili. Tutto ciò che appare al nostro immaginario di occidentali come espressione di civiltà - la democrazia, la convivenza pacifica, la cooperazione di tutti i popoli eccetera - inceppa nel nodo gordiano dell’incompatibilità tra diversi.

In genere le società hanno elaborato la propria identità sullo standard degli assoluti. A fornirli sono state le grandi costruzioni umane: religione, razza, popolo, nazione, tradizioni e simili. In tutte si nasconde la corrosione dei motivi di cambiamento per un’idea falsa di identità, quasi fosse identità-contro. Perfino il genere maschile si è impaurito anziché "convertirsi" quando ha visto la sicurezza dell’io femminile stargli di fronte, alla pari. è bene che il femminismo, nel ripercorrere la storia del silenzio e della sottomissione di millenni, maturi la capacità di non camminare in solitudine. Nessuno si libera da solo. Il seme della libertà, per attecchire, ha bisogno non solo della terra dove innestare le sue radici e del sole che dall’alto ne alimenti la vita. Ci possono essere sterpi e pietre e aridità e improvvido pesante piede che schiacci i primi germi.

Se la violenza del potere maschile consacrava, consacra ancora, la necessità della guerra, "eterna giustiziera", le donne, ma anche tutti gli oppressi della terra e coloro che si battono per vedersi restituita la propria dignità, sono chiamati ad aprire spazi dove possa svilupparsi il seme della libertà. Ci vogliono soggetti che pervadano di pace l’intero universo.

Il quale ci sta a guardare minaccioso, ma attende i germogli di pace per tornare a sorriderci dall’alto di un cielo stellato, sgomberato del pattume che oggi lo rende avaro della sua luce.

Ausilia Riggi Pignata

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