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Redazionale del n° 2 (Febbraio 2002)

Parliamo di patria

Recenti dichiarazioni del capo dello Stato hanno riportato alla memoria collettiva degli italiani un concetto che, al giorno d’oggi, risulta alquanto rimosso: il concetto di patria.

Nelle parole del Presidente della Repubblica, l’idea di patria assume naturalmente una valenza positiva: la patria esprime una realtà da rispettare, da difendere, da onorare, una realtà che si esprime simbolicamente nella bandiera.

Non sempre la parola patria ha avuto la stessa accezione perché, a seconda delle epoche e dei luoghi, ha avuto significati diversi e diverse pregnanze.

Per il cittadino romano del primo impero la patria era Roma con tutta la sua grandezza, il suo splendore, la sua civiltà, da difendere e portare sino ai confini del mondo. "Dulce et decorum est pro patria mori" scriveva Orazio (dolce e bella cosa è morire per la patria). Trecento anni più tardi, per gli abitanti della periferia di un impero in rovina, quale era la patria?

Nel corso dei secoli abbiamo visto regni, ducati, marchesati, abbazie spartirsi territori che passavano di mano a seconda delle vicende belliche e dei matrimoni. Viene da chiedersi quale fosse, per gli abitanti di quelle contrade, la patria.

L’idea di patria, probabilmente, era più forte in tutte quelle realtà dove gli individui si sentivano in qualche modo parte di un’organizzazione collettiva, legata ad un territorio la cui indipendenza era vitale per la sua sopravvivenza.

In epoca romantica, con i venti di libertà portati dalla rivoluzione francese, l’idea di patria conobbe nuovi fasti.

"Il sacrificio della patria nostra è consumato" fa scrivere Ugo Foscolo a Jacopo Ortis nella sua prima lettera.

"Oh venturose e care e benedette - le antiche età che a morte - per la patria correan le genti a squadre" declamava Giacomo Leopardi nel suo canto All’Italia.

Quasi sempre l’idea di patria si associa a quella del sacrificio. Si può dire che il morire per la patria sia stato un ideale che ha attraversato l’intera storia dell’umanità. Si muore per la difesa di un territorio, di un’identità, di interessi, di una cultura.

Ma si difende qualcosa che già esiste, che non si scopre solo al momento di perderlo. Perciò si può incominciare a vedere quali sono i requisiti perché ci sia una patria.

Io azzarderei una prima definizione di patria: un luogo dove vivono un insieme di persone legate da un sistema di valori in cui si riconoscono e che discende da una memoria collettiva. Di più non aggiungerei perché rischierei di escludere realtà che potrebbero avere comunque la dignità di patria.

Se la mia definizione è corretta, allora per un indiano Navajo la patria era la sua tribù e il suo territorio dai confini incerti dove si stendevano foreste, fiumi e praterie, su cui aleggiava il Grande Spirito Wakantanka; era la sua cultura, le sue tradizioni e, quando combatteva contro i "visi pallidi", lo faceva per difendere tutto questo mondo dalla distruzione.

Per un cittadino francese non credo che l’idea forte di patria discenda dalla sudditanza nei confronti di un re Sole. La patria è quella nata dalla rivoluzione con i suoi ideali di libertà, uguaglianza, fraternità.

Per un cittadino statunitense la patria è quella terra che ha accolto, generazioni prima, coloro che fuggivano dalla terribile carestia che devastò l’Irlanda nel 1850, che fuggivano dalla miseria in Italia, dalle persecuzioni razziali in Germania, offrendo loro opportunità di lavoro, un modello di democrazia e di libertà.

Per gli emigranti la memoria era sempre per la patria ingrata, la patria avara che li costringeva a fuggire, perché le radici erano rimaste là, nonostante che là avessero lasciato miseria, fame e pau-ra. Soltanto i figli e i figli dei figli hanno poi finito col riconoscere la nuova patria, quando hanno messo radici, e le radici si mettono là dove c’è possibilità di vivere in una collettività nella quale ci si identifica per i comuni ideali.

Allora patriottismo non significa solo difendere con le armi la patria; patriottismo è rispettare le leggi che la collettività si è data; è partecipare alla vita democratica del paese, contribuire al benessere della collettività in base ai princìpi in cui la collettività si identifica; è pagare le tasse, è rispettare l’ambiente.

Io sono nato a Torino e qui ho sempre vissuto. Centocinquanta anni fa avrei considerato il Piemonte la mia patria. Dopo c’è stata l’unificazione o la colonizzazione del resto della penisola ed è nato il regno d’Italia. Da quel momento il Piemonte avrebbe smesso di essere la mia patria per una patria più grande? Sarebbe diventato solamente un’entità geografica? Non credo, dal momento che non lo è tuttora. Le mie radici sono piemontesi, come il mio dialetto, le mie tradizioni, i miei ricordi: posso dire di avere due patrie, perché l’identificarsi con la cultura in cui uno è cresciuto non esclude la possibilità di identificarsi con una realtà più grande in cui tutti si sentono legati da valori comuni.

Ora sta nascendo l’Europa e un giorno sarà la nostra nuova patria. Non per questo, credo, cesseremo di sentirci italiani.

Possono perciò esistere, ed è bene che esistano, più patrie perché la particolarità delle culture, come quella delle religioni, è un diritto e un valore fondamentale, costitutivo dell’identità dei popoli che possono però affratellarsi in un contesto più ampio dove si riconoscono in valori universali.

Sovente nella storia i potenti, in difesa di interessi particolari o per mire edivsionistiche sia territoriali che economiche, hanno usato e usano la parola patria per galvanizzare le popolazioni soggette, far leva sulla loro emotività e indurle a combattere guerre che oggi, ai nostri occhi, appaiono fratricide.

Sessant’anni fa un buon patriota italiano doveva odiare e combattere i francesi, i nostri nemici di allora. Per che patria sono morti i nostri padri ora che con i francesi dovremo avere una sola patria? Che cosa potrà unirci agli altri stati europei che non sia solo il mercato? In che cosa potremo sentirci affratel-lati, quali ideali comuni ci uniranno per sentirci compatrioti? Per secoli ci siamo combattuti con guerre di conquista, di religione, per gli interessi di case regnanti e di potenti gruppi economici: come potremo sentirci uniti in una patria comune?

Oggi l’Europa nasce da istanze economiche più che ideali, ma qualcosa c’è che potrà unirci al di sopra di ogni calcolo, qualcosa di comune legato non solo alla storia, al pensiero filosofico, scientifico, a quella che si definisce la civiltà occidentale. Ciò che ci potrà unire credo sia la memoria di tutti quelli che sono morti in mille battaglie superate dalla storia, quelli che sono morti invano.

Se sarà così, allora forse possiamo dire che la loro morte non è stata poi così vana, perché sono riusciti a farci capire la stupidità delle guerre, delle divisioni, dei sacri confini, del "questo è mio".

Se pensiamo però a tutta la storia dell’umanità, alle guerre di conquista, ai popoli soggiogati, oppressi, alle culture distrutte sempre per far più grande e potente una qualsiasi patria, mi viene da chiedere perché da tutta questa sciagurata storia non possa nascere l’idea di una patria che accolga l’intera umanità, dove non esistano più sacri confini, non esistano più imperi territoriali, economici, finanziari, dove non ci siano più popoli oppressi.

Quando vado in giro per il mondo e vengo accolto amichevolmente nell’umile casa di un indiano o di un africano, quando siedo a bere il te nella tenda di un beduino e parliamo dei problemi di tutti i giorni, dei malanni, di ciò che manca, delle speranze per il futuro e io mi vergogno tanto della mia ricchezza, allora sento che anche quella può essere patria. Quella terra, quella gente, quelle voci, quei colori, quell’umanità è come se mi appartenessero ed io appartenessi a loro.

Allora che cosa è la patria? Forse un bisogno di appartenenza, un bisogno che nasce dalla paura di sentirsi isolati, estranei e che viene proiettato verso l’ambiente in cui viviamo e verso le persone che lo condividono e che condividono i nostri stessi bisogni, i nostri stessi sogni. Ma se noi riusciremo ad allargare i nostri orizzonti, se riusciremo a vedere nel mondo la terra e l’ambiente da difendere e da salvare e la gente che lo abita come nostri simili, con simili paure e speranze, potremo anche giungere a sentire che il mondo intero è la nostra patria.

Allora dov’è la patria? Mi sembra di poter dire che la patria è ovunque dimori il nostro cuore.

Giorgio Bianchi

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