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Redazionale del n° 9 (Novembre 2001)

Da due mesi siamo sottoposti ad avvenimenti di una tale gravità, che superano non solo la possibilità di intravvederne tutte le motivazioni e le implicanze, ma rendono difficile anche la sola descrizione. Proverò tuttavia ad esporre i fatti principali ed alcune nostre conclusioni.

La spirale della violenza. L’11 settembre scorso, aerei civili dirottati con armi rudimentali, come coltelli e taglierini, da terroristi kamikaze islamici hanno colpito le Torri gemelle di New York, in parte il Pentagono a Washington e solo fortuitamente non sono giunti a colpire la Casa Bianca. Molte migliaia di morti si contano alle Torri, appartenenti a 63 paesi diversi. Bush, il presidente, volava tutto il giorno nei cieli per timore di essere colpito da nuovi attacchi. La maggior potenza mondiale era colpita nel cuore economico, sociale, politico, militare e nella sua immagine di inviolabilità. Gli americani hanno cominciato ad aver paura. Con parole di fuoco, Bush minacciava la ritorsione contro il terrorismo islamico, anzi annunciava una guerra infinita, una crociata, una pulizia globale. Dalle parole ai fatti. Bombardieri americani ed inglesi volano sull’Afghanistan, dotati di missili ad alta capacità di penetrazione, per colpire i centri nevralgici dei Talebani, considerati come i protettori dei terroristi. Poi la fase due degli attacchi con l’invio di truppe di terra. Come risposta, Bin Laden, che era indicato come il responsabile degli attacchi, dichiarava la "guerra santa" in piena regola contro il mondo ebraico e cristiano, ritenuto infedele e impuro e quindi da sconfiggere, e, con una successione di altri attentati di tipo chimico e batteriologico, con la proiezione di video perfettamente costruiti dal punto di vista della comunicazione, dava l’avvio, oltre che ad una controguerra, anche ad una "netwar", cioè ad una guerra attraverso i mass media, che fanno da collegamento delle varie forze terroristiche sparse in tutto il mondo a macchia di leopardo ed invitava i musulmani moderati ad associarsi a questa battaglia. Ed intanto molti morti civili vengono segnalati, da entrambe le parti. Le azioni, le mosse e le contromosse continuano, senza farci intravedere uno sbocco in tempi brevi. Titoli recentissimi: antrace al Senato USA; l’antrace blocca il Congresso. La violenza genera violenza e la spirale continua, ed è difficile trovare il bandolo della matassa. L’11 settembre è semplicemente l’occasione, e non la causa, che ha fatto scoppiare il bubbone.

Una prima riflessione in mezzo a tanto cataclisma. Sino al luglio scorso, quando i G8 si sono riuniti a Genova, e sino all’estate scorsa, ci guidava un modello interpretativo della situazione mondiale pressappoco di questo tipo: da un lato la presenza dell’occidente ricco, guidato dagli USA e dalle multinazionali, dall’altro gli altri quattro quinti della popolazione mondiale, sfruttati, sia pure con gradazioni diverse, depredati delle loro materie prime, delle produzioni autonome, delle possibilità di sviluppo, e quindi degradanti verso forme di povertà sempre maggiore. Un miliardo di persone vive, come spesso è stato ripetuto, con un dollaro il giorno ed i morti per denutrizione sono difficilmente quantificabili. Con i fatti di New York e Washington si affaccia al mondo un nuovo soggetto antagonista all’occidente, ugualmente oppressivo dei popoli del sud del mondo, col quale bisogna fare i conti. Il mondo oggi può essere rappresentato da un quadrato i cui angoli superiori vedono due potenze antagoniste che confliggono secondo un’opposizione bipolare ed opprimono i sottomessi di tanti paesi del mondo che poniamo agli angoli inferiori. E quanti altri angoli superiori si possono prevedere per il futuro, col risveglio di nazioni che in un passato recente erano state umiliate e si riaffacciano sulla scena mondiale, che solo strumentalmente oggi si alleano con gli USA, e quanti corrispettivi angoli inferiori in cui si distribuiranno gli oppressi della terra!

L‘oggetto del contendere. Si discute sull’origine e la natura di tanto odio dei terroristi islamici che porta a gesti molto distruttivi ed autodistruttivi. Forse la causa è la storia lontana che ha visto l’Islam combattuto e mortificato nelle sue capacità dimostrate sin dall’antichità. Oppure la motivazione di tanti rancori è la storia più recente, dalla fine della I guerra mondiale, che ha distrutto l’impero ottomano e le sue potenzialità. Siamo invece di fronte, dicono altri, ad un’interpretazione unilaterale del messaggio religioso dell’Islam e del Corano che, come ogni religione, ha testi più antichi che spingono alla guerra di difesa, accanto a testi più recenti ed attuali per noi, che invece sollecitano la comprensione del fratello: il terrorismo avrebbe scelto inesorabilmente i primi. Ci s’interroga d’altra parte sull’origine della reazione violenta degli USA che, oltre ad essere sproporzionata, perché sta colpendo vittime civili, sta combattendo probabilmente un obiettivo diverso da quello proclamato. Dove sarà Bin Laden ora? Forse non più in Afghanistan ad attendere di essere ucciso dai bombardieri USA! Ed anche se ciò accadesse è assodato che il terrorismo attuale non è più di tipo artigianale ed individuale, ma è una rete internazionale, come ho già accennato, e colpisce e si mimetizza con armi diverse da quelle dell’occidente, che ormai possono essere considerate superate a confronto delle metodologie del terrorismo.

Quale inoltre il fine, in concreto, di quest’opposta violenza e degli opposti fondamentalismi, come alcuni commentatori felicemente hanno detto? Il terrorismo sembra voglia distruggere non il capitalismo, perché da esso è nato ed in esso sguazza, ma il predominio dello strapotere USA e delle sue multinazionali. Gli USA, d’altro lato, sembrerebbero voler distruggere il potere dei Talebani per porre a capo del governo afghano un uomo di loro fiducia, che faccia da testa di ponte verso il medio ed estremo oriente. Oppure vogliono dare un segno forte agli americani terrorizzati, che hanno perso l’ingenua convinzione di essere invincibili.

Le ipotesi sono tante. Tutte probabilmente portano una parte di verità ed è difficile dire una parola definitiva sulla grave situazione attuale.

Voglio solo aggiungere a quanto detto una scena nascosta, non tanto perché sia sconosciuta a chi segue i problemi internazionali, ma perché sia i capi di stato sia i mass media ne parlano poco o addirittura la ignorano e ci riempiono gli occhi di scenari di guerra già visti. In Medio Oriente, nell’Asia Centrale e nella zona del mar Caspio esisterebbe, secondo stime attendibili, il 70% del petrolio utilizzato nel mondo, soprattutto nel nord ricco, e dalle stesse zone quindi si diramano gli oleodotti che portano l’oro nero a destinazione. Analoghi discorsi si possono fare per i gasdotti, per l’oppio, per le risorse minerarie, e così via. Non credo di dovermi soffermare ulteriormente su questo aspetto. Più che di fronte a guerre di religione, di civiltà, di pulizia internazionale dal terrorismo, saremmo nel vortice del conflitto perenne per il potere sulle materie prime.

Il pacifismo operativo. Di fronte agli aspetti di complessità e di chiarezza di queste situazioni, la nostra posizione si esprime con l’opposizione sia al terrorismo sia alla guerra. Un atteggiamento che potrebbe avere il sapore di lassismo verso il terrorismo e l’antiamericanismo, oppure di un volersi "tirare fuori" da un conflitto che non ci apparterrebbe. Queste modalità non sono assolutamente le nostre. Sosteniamo la necessità di fermare immediatamente il terrorismo con forme adeguate, da ricercare di volta in volta, secondo le diverse situazioni in cui esso si articola, che non siano tuttavia di sterminio o di pseudo "missione umanitaria". è necessario catturare i responsabili degli attentati in USA secondo le leggi del diritto internazionale. D’altro lato chiediamo la sospensione dei bombardamenti USA perché, supposto che non ci siano altri motivi, essi non possono raggiungere lo scopo dell’abbattimento del terrorismo, che combatte su un’altra lunghezza d’onda.

Dopo queste prime misure urgenti, riteniamo, in positivo, che le ingiustizie del mondo debbano essere rimosse; infatti, direttamente o indirettamente, queste sono concausa dell’opposizione che ha preso la forma del conflitto all’ultimo sangue. Proponiamo un’etica della responsabilità, che non guardi solo alla rettitudine dei principî in sé, ma che ne verifichi l’efficacia storica dei risultati, che porti alla soluzione delle ingiustizie, unica possibilità per raggiungere la pace. C’è chi ha distinto tre tipi di pacifismo. Il primo è di principio: s’ispira alle ideologie che difendono la vita o alle religioni, cioè alle Scritture che, nella dualità che abbiamo rilevato di ira e di perdono, concedono ampio spazio per la scelta dell’accoglienza del fratello. Felice ambivalenza che lascia alla libertà dell’uomo di scegliere e la scelta dei credenti che ci accompagnano è nella direzione della giustizia e della pace. Il secondo tipo di pacifismo è dettato dalla paura dell’autodistruzione ed è accettabile in mancanza d’altro. Il terzo tipo propone un’attività propositiva politica, nel senso nobile della parola, cioè una tela diplomatica tessuta dai responsabili del potere e, d’altro lato, un impegno di cooperazione civile internazionale della base. Una convergenza quindi di lavoro diplomatico e di attività di base. L’umanità continua a cercare di risolvere i conflitti con il modello amico-nemico invece che col modello amico-amico, cioè con l’atteggiamento della contrattazione che comporta inevitabilmente il rinunciare a qualcosa di sé, per acquisire il bene immensurabile della condivisione. (Franco Fornari, 1980 e ss.).

Deve continuare a svilupparsi l’impegno costruttivo svolto, da una decina d’anni, dai movimenti della cooperazione e del volontariato nazionale ed internazionale; dal commercio equo e solidale; dall’educazione alla conoscenza dei meccanismi iniqui dell’attuale economia neoliberista e globalizzata, praticata sia dall’occidente sia dal terrorismo islamico; dalla lotta politica di base tendente a dare svolte di giustizia alle dirigenze degli stati di ogni parte del mondo; dai movimenti pacifisti risvegliatisi negli Stati Uniti come in Europa ed in altre parti del mondo, che hanno avuto momenti di incontro a Seattle, Porto Alegre, Genova e, più nascostamente, senza particolare rumore, in tanti angoli del mondo. Interessante l’espressione "new global", che completa la più radicale "no global", mentre insieme esprimono meglio la volontà di un mondo nuovo.

Susan George diceva recentemente a Torino: "La guerra dei mondi, lo scontro tra la nostra civiltà e quella islamica è esattamente lo scopo che Bin Laden vuole raggiungere. E che noi non dobbiamo accettare. Spero che Bush lo capisca... Tre cose semplici da fare... risolvere il conflitto tra Israele ed i palestinesi; ridurre la dipendenza dell’Occidente dal petrolio sperimentando da subito le energie alternative; ridurre lo scarto osceno tra i ricchi ed i poveri del mondo. In questo modo eroderemo il terreno su cui cresce la violenza dei terroristi e in cui trova consenso". (Susan George 18.09.2001). Ed aggiungo che tali iniziative eroderanno anche le tentazioni dell’occidente di rispondere con la violenza alla violenza. Quante attività si possono svolgere, e già si svolgono, contro la fame nel mondo, la sete, la povertà, lo sfruttamento minorile: attività indicate dalle agenzie religiose e laiche, alle quali vi rimando.

Infine chiediamo il ridimensionamento della NATO ed una trasformazione dell’ONU, affinché il suo potere sia reale ed efficace nei suoi obiettivi di giustizia e di pace. Kofi Annan ha ricevuto il premio Nobel per la Pace: speriamo che in futuro siano sempre meno le missioni sbagliate dell’ONU e il relativo numero di morti, in rapporto a quelle giuste. I vari contendenti dell’umanità dovrebbero saper sacrificare parte del loro potere per delegarlo, in un nuovo "contratto sociale e politico", ad un potere sopra i poteri, democraticamente strutturato, che non sia bloccato da veti incrociati, che solo l’ONU rinnovato può assumersi. Chiediamo inoltre un efficace funzionamento della Corte Penale Internazionale. Ben lontani dall’essere presi dalla paura e dallo sconforto, dobbiamo continuare a lavorare per la giustizia e la pace. Credenti e non credenti, come diceva don Milani, si uniscano, perché il fine è lo stesso cioè il bene comune, e coinvolgano il maggior numero di persone possibile. I credenti assumeranno la forza di lottare dalla loro fede, i laici di "buona volontà" la assumeranno dai valori umani che li spingono. La Marcia della Pace Perugia-Assisi, svoltasi il 14 ottobre scorso, che aveva come slogan principale "pane, acqua e lavoro per tutti", ha visto un gran numero di partecipanti, pur nella diversificazione e nella dialettica delle posizioni. è stata uno dei segni, lo speriamo, del rinnovato impegno di tutti per costruire un mondo diverso. Il nostro auspicio è che il mondo, sia nell’immediato sia in futuro, non abbia bisogno di "kit del-l’apocalisse", quanto piuttosto di "scrigni preziosi" in cui siano contenuti gli strumenti della giustizia e della pace. Il cammino è lungo, ma altrettanto grande è la nostra speranza.

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