Andreina Cafasso VA' IN PACE E NON PECCARE PIU’ agosto97
I) L’Antico Testamento e il peccato
La storia dell’uomo e dell’umanità, secondo la Bibbia, inizia con il peccato di Adamo. È una vicenda di ribellione, un tentativo di equipararsi a Dio ("sarete come dei"), di porre l’uomo a misura del bene e del male, facendo a meno del suo creatore. Dura è la condanna che segue la trasgressione. Ma Dio non fa mancare un barlume di speranza (Gn 3, 15). Se la rottura è avvenuta per opera dell’uomo, l’iniziativa della riconciliazione non può venire che da Dio, il donatore generoso che è stato ricompensato con l’offesa.
Tutta la storia di Israele è la storia di un popolo eletto da Dio ma di dura cervice. L’annuncio del peccato del popolo e del giudizio di Dio forma il tema costante del messaggio profetico; il sentimento del peccato è lo sfondo su cui si muovono la preghiera dei salmi e le massimi degli scritti sapienziali.
I grandi personaggi del potere e della fede, come Mosè, Davide, Salomone non sfuggono al peccato, anzi a loro è attribuita una responsabilità particolare, ma anche il popolo nel suo complesso devia abbondantemente dal piano tracciato da Dio. La sfiducia, la cupidigia, la scorciatoia dell’adorazione degli idoli, preferiti ad un Dio che pare troppo esigente, sono presenti in tutte le fasi della storia di Israele, insieme a violenze, menzogne, adulteri ed oppressione dei poveri.
Ma Israele sa anche riconoscere i propri torti, non ha il desiderio di giustificarsi ad ogni costo. Isaia 29: "I nostri peccati ci sono presenti e noi riconosciamo i nostri torti". D’altra parte, peccando contro Dio, l’uomo finisce col distruggere se stesso. Se Dio ci prescrive leggi di comportamento, non lo fa nel suo interesse, ma nel nostro "affinché siamo tutti felici e viviamo" (Dt 6, 24).
In seguito, la rivelazione biblica scopre il cuore di Dio, la sua bontà, la sua misericordia, il suo amore di Padre, di Madre che non può dimenticare il frutto delle sua viscere (Is, 49), di Sposo tradito più volte ma pronto ad accogliere la sposa che ritorna (Os 2, 8). Il peccato diventa così il rifiuto dell’uomo di lasciarsi amare da Dio (Ger 3, 7-12) che si cancella solo al ritorno all’amore sollecitato da Dio stesso: solo lui può infatti creare nel cuore del peccatore, liberatosi col riconoscimento del proprio peccato, un cuore nuovo ed uno spirito nuovo.
II) Il peccato secondo il Vangelo
Il messaggio del Nuovo Testamento è centrato sulla vittoria di Gesù Cristo sul peccato: così il termine, che sta ad indicare la miseria dell’uomo è in realtà orientato all’esaltazione della gloria di Dio.
È sintomatica la rarità della parola "peccato" negli Evangeli sinottici. Piuttosto che fermarsi alla definizione dell’iniquità umana gli evangelisti presentano gli uomini nel momento della liberazione dal peccato per opera di Cristo ("… ti sono rimessi i tuoi peccati"; "Va’ in pace e non peccare più").
1. Ricorre frequentemente invece l’espressione "i peccatori"; il termine, unito a quello dei "pubblicani" indica tanto una condizione quanto un mestiere degno di disprezzo (da parte degli scribi e dei farisei). L’atteggiamento dio Gesù verso queste categorie è sconcertante: egli siede a tavola con loro, permette ad una donna peccatrice di lavargli i piedi, afferma che essi precederanno nel regno dei cieli gli osservanti – legalisti. Questo rifiuto di segnare una divisione rigorosa tra i giusti ed i peccatori, questa profonda attenzione rivolta ad essi costituisce una delle ragioni prime dell’incomprensione e poi dell’odio dei capi di Israele.
2. Gesù, come già i profeti, denuncia il peccato ovunque si trovi, anche in coloro che si credono giusti perché osservano le prescrizioni di una legge esterna. Infatti il peccato è dentro il cuore, donde (Mc 7, 21ss) "escono i disegni perversi: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, frodi, lascivia, invidia, diffamazione, orgoglio, stoltezza; sono tutte queste cose cattive che escono dal di dentro e contaminano l’uomo".
3. Contro il peccato, Gesù predica la conversione, un mutamento radicale dello spirito che ponga un taglio netto tra la precedente situazione di peccato e l’apertura la regno: "Il regno di Dio è vicino: pentitevi e credete alla Buona Novella" (Mc 1, 15). Per contro, nei confronti di chi crede di non aver bisogno di perdono, come il fariseo della parabola (Lc 18, 9ss), Gesù rimane impotente.
4. Dalla parabola del figliol prodigo, altamente significativa, emerge che ciò che ha rattristato il padre è la partenza del figlio suo, la volontà di non essere più figlio, di non permettere al padre di amarlo efficacemente. Come potrebbe il figlio riparare a quest’offesa se non col suo ritorno, accettando nuovamente di essere trattato come figlio? Il padre aveva perdonato da sempre, ma il perdono non diventa efficace se non nel ritorno e mediante l’assunzione di responsabilità da parte del figlio (Lc 15, 18) "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te…".
5. Questo atteggiamento dio Cristo nei confronti dei peccatori è confermato dai suoi atti: non soltanto Egli accoglie i peccatori con lo stesso amore e la stessa delicatezza del padre della parabola, a rischio di scandalizzare chi non comprende la sua misericordia ma agisce contro il peccato, contro il potere di Satana in diverse occasioni, in attesa di dare al propria vita in riscatto, di spargere il suo sangue "il sangue dell’alleanza per una moltitudine in remissione dei peccati" (Mt 26, 28).
6. Nel Vangelo di Giovanni si afferma che il peccato possiede l’opacità delle tenebre, mentre Cristo è la luce che viene nel mondo. Il peccatore si oppone alla luce perché la teme, teme che le sue opere siano svelate, anzi la odia (Gv 3, 20) "chiunque fa il male, odia la luce". Accecamento volontario, che non si riconosce come tale: "se foste ciechi, sareste senza peccato. Ma voi dite: vediamo (siamo sicuri di noi). Il vostro peccato rimane" (Gv 9, 40). Il rifiuto volontario di aprirsi alla luce è il peccato del mondo.
7. Cristo, colla sua morte, compì la perfezione dell’amore, il massimo atto di amore, che gli fece riportare la vittoria sul "principe di questo mondo". Questi crede di condurre il gioco, ma contro Gesù nulla può fare.
Chi non teme la morte ed ama i fratelli risulta, alla fine, vittorioso. A questa vittoria Gesù fa partecipare i suoi discepoli ed attraverso essi tutti i credenti, finché si lascino muovere dallo spirito di Dio. Certamente il cristiano anche se è rigenerato da Dio può cadere nel peccato (I Gv 2, 1) ma Gesù stesso si è fatto riscatto per i nostri peccati, anche se fossero settanta volte sette…
Nell’esistenza del credente, il peccato non domina più.
III) La teologia del peccato nelle epistole di S. Paolo
Nelle lettere di Paolo il sostantivo peccato è usato al singolare e al plurale. Al plurale indica le singole trasgressioni della legge divina e frequenti sono nelle sue lettere le liste dei peccati: tutti escludono il peccatore dal regno di Dio. Il peccato al singolare, invece, indica una forza ostile a Dio e al suo regno, presente nell’umanità e nell’interiorità del singolo. Se questa forza riesce a prevalere nell’uomo, a causa della sua debolezza, produce come frutto, come salario (Rm 6, 23), la morte.
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Ora il peccato è entrato nel mondo per al colpa di Adamo ed è necessario un nuovo Adamo (Cristo) per riparare le rovine lasciate dal primo (Rm 6, 6ss). Alla disubbidienza iniziale si contrappone e la supera l’obbedienza di Cristo fino alla morte; per lui tutti gli uomini saranno "costituiti giusti" da Dio (Rm 5, 12-19).·
Coloro che sono stati battezzati in Cristo sono morti al peccato che non signoreggia più su di loro: essi possono iniziare una vita nuova che, se portata avanti con fede e con coraggio, li renderà vittoriosi. Liberati dalla schiavitù del peccato, diventano servi della giustizia, cioè servi di Dio. Il frutto di questo servizio è la santificazione e la libertà (Rm 8, 2).·
D’altra parte Paolo non ignora la contraddizione che sussiste in ogni uomo, anche credente: la legge dello Spirito e la legge del peccato (così va inteso il termine carne) si combattono a vicenda in lui. Questo contrasto avrà termine soltanto nel regno di Dio.·
Gli stessi temi, approfonditi nella lettera ai Romani, ritornano anche in altre epistole paoline e nella lettera agli Ebrei. La lettera di Giacomo e la I di Pietro ribadiscono il concetto dell’estinzione della forza del peccato grazie al sangue di Cristo e dell’efficacia corredentrice delle sofferenze dei credenti, sopportate seguendo il suo esempio.Si può concludere con 2 Cor 5, 2: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato (lo rese solidale con l’umanità peccatrice) in nostro favore, perché noi potessimo diventare, per mezzo di lui, giustizia di Dio". Dio, cioè, ha voluto che il suo figlio si facesse vulnerabile, fosse soggetto alla potenza della morte, affinché noi, grazie a questo atto supremo d’amore, fossimo soggetti alla giustificazione di Dio, potenza di vita. "Dio fa cooperare tutto al bene di coloro che lo amano" (Rm 8, 28). Tutto, anche il peccato.