Franco Barbero UN PROFETA DEPISTATO febbraio 97
Un uomo di Dio, per comando del Signore, si portò da Giuda a Betel, mentre Geroboamo stava sull’altare per offrire incenso. Per comando del Signore quegli gridò verso l’altare: "Altare, altare, così dice il Signore: Ecco, nascerà un figlio nella casa di Davide, chiamato Giosia, il quale immolerà su di te i sacerdoti delle alture che hanno offerto incenso su di te e brucerà su di te ossa umane". E ne diede una prova dicendo: "Questa è la prova che il Signore parla: ecco l’altare si spaccherà e si spanderà la cenere che vi è sopra". Appena sentì il messaggio che l’uomo di Dio aveva proferito contro l’altare di Betel, il re Geroboamo tese la mano dall’altare dicendo: "Afferratelo!". Ma la sua mano tesa contro di quello, gli si paralizzò e non poté ritirarla a sé. L’altare si spaccò e si sparse la cenere dall’altare secondo il segno dato dall’uomo di Dio: "Placa il volto del Signore tuo Dio e prega per me perché mi sia resa la mia mano". L’uomo di Dio placò il volto del Signore e la mano del re tornò come era prima. All’altare di Dio
+il re disse: "Vieni a casa con me per rinfrancarti; ti darò un regalo". L’uomo di Dio disse al re: "Anche se mi dessi metà della tua casa, non verrei con te e non mangerei né berrei nulla in questo luogo perché mi è stato ordinato per comando del Signore: Non mangiare e non bere nulla e non tornare per la strada percorsa all’andata". Se ne andò per un’altra strada e non tornò per quella che aveva percorsa venendo a Betel.
Ora viveva a Betel un vecchio profeta, al quale I figli andarono a riferire quanto aveva fatto l’uomo di Dio a Betel; essi riferirono al loro padre anche le parole che quegli gli avevano dette al re. Il vecchio profeta domandò loro: "Quale via ha preso?". E I suoi figli indicarono al via presa dall’uomo di Dio, che era venuto da Giuda. Ed egli disse ai suoi figli: "Sellatemi l’asino!". Gli sellarono l’asino ed egli vi montò sopra per inseguire l’uomo di Dio che trovò seduto sotto una quercia. Gli domandò: "Sei tu l’uomo di Dio, venuto da Giuda?". Rispose. "Sono io". L’altro gli disse: "Vieni a casa con me per mangiare qualcosa". Egli rispose: "Non posso venire con te né mangiare o bere nulla in questo luogo, perché ho ricevuto questo comando per ordine del Signore: Non mangiare e non bere là nulla e non ritornare per la strada percorsa nell’andata". Quegli disse: "Anch’io sono profeta come te; ora un angelo mi ha detto per ordine di Dio: Fallo tornare con te nella tua casa perché mangi e beva qualcosa". Egli mentiva a costui, che ritornò con lui, mangiò e bevve nella sua casa.
Mentre essi stavano seduti a tavola, il Signore parlò al profeta che aveva fatto ritornare indietro l’altro ed egli gridò all’uomo di Dio che era venuto da Giuda: "Così dice il Signore: Poiché ti sei ribellato all’ordine del Signor, non hai ascoltato il comando che ti ha dato il Signore tuo Dio, sei tornato indietro, hai mangiato e bevuto in questo luogo, sebbene ti fosse stato prescritto di non mangiare o bervi nulla, il tuo cadavere non entrerà nel sepolcro dei tuoi padri". Dopo che ebbero mangiato e bevuto, l’altro sellò l’asino per il profeta che aveva fatto ritornare e quegli partì. Un leone lo trovò per strada e l’uccise; il suo cadavere rimase steso sulla strada, mentre l’asino che stava là vicino e anche il leone stava vicino al cadavere. Ora alcuni passanti videro il cadavere steso sulla strada e il leone che se ne stava vicino al cadavere. Essi andarono e divulgarono il fatto nella città ove dimorava il vecchio profeta. Avendolo saputo il profeta che l’aveva fatto ritornare dalla strada disse: "Quello è un uomo di Dio che si è ribellato all’ordine del Signore; per questo il Signore l’ha consegnato al leone che l’ha abbattuto ed ucciso secondo la parola comunicatagli dal Signore". Egli aggiunse ai figli: "Sellatemi l’asino". Quando l’asino fu sellato egli andò e trovò il cadavere di lui steso sulla strada con l’asino e il leone accanto. Il leone non aveva mangiato il cadavere né sbranato l’asino. Il profeta prese il cadavere dell’uomo di Dio, lo sistemò sull’asino e se lo portò nella città dove abitava, per piangerlo e seppellirlo. Depose il cadavere nel proprio sepolcro e fece il lamento su di lui: "Ohimè, fratello mio!". Dopo averlo sepolto disse ai figli: "Alla mia morte mi seppellirete nel sepolcro in cui è stato sepolto l’uomo di Dio; porrete le mie ossa vicino alle sue, poiché certo si avvererà la parola che egli gridò, per ordine del Signore, contro l’altare di Betel e contro tutti I santuari delle alture che sono nella città di Samaria".
Dopo questo fatto, Geroboamo non si convertì dalla sua condotta perversa. Egli continuò a prendere qua e là dal popolo I sacerdoti delle alture e a chiunque lo desiderasse dava l’investitura e quegli diveniva sacerdote delle alture. Tale condotta costituì, per la casa di Geroboamo, il peccato che ne provocò la distruzione e lo sterminio dalla terra (1 Re, 13, 1-34).
Un racconto lungo e, soprattutto, bizzarro. Del resto la Bibbia è piena di narrazioni strane.
Lo scontro perenne
La prima parte del capitolo (vv. 1-10) ha un preciso sapore storico. Geroboamo, dopo la divisione del regno alla morte di Salomone (931), instaura al Nord un’intera religione a suo uso personale. Egli cerca, dice il testo, di servirsi di una religione malleabile, cioè funzionale al suo potere regale.
Il redattore parteggia per il regno del Sud e descrive il "peccato di Geroboamo". Forse deve venire da Giuda un profeta capace di ammonire il re, visto il silenzio complice dei profeti di corte?
Sul piano storico non è così facile un giudizio equo sul comportamento di Geroboamo, ma, secondo la prospettiva dell’autore del testo biblico, egli costruisce vitelli d’oro perché il popolo li adori, costruisce templi sui luoghi elevati, ordina sacerdoti non leviti, stabilisce arbitrariamente una festa di pellegrinaggio.
I primi dieci versetti e gli ultimi tre evidenziano lo scontro senza mezzi termini tra il re e il profeta. Geroboamo si scaglia contro il profeta che ha gridato (v. 4) la parola di Dio e ne ordina la cattura. Ma (finissima ironia!) la mano imperiosa del re diventa secca mentre l’altare idolatrico va in frantumi.
Il messaggio è evidente: la parola del profeta compie ciò che la mano del re non può operare. Basta una parola a bloccare un potere così presuntuoso. Il re deve chinarsi e, anzi, vuole "comperare" il profeta invitandolo a corte: "Vieni con me a casa, ti ristorerai e io ti farò un regalo" (v. 7). La risposta del profeta è netta: un "no" deciso e irremovibile. Le attrattive del potere non lo hanno incantato e non scende per nulla a patti. Il testo conclude con una dichiarazione di totale fedeltà del profeta alla volontà di Dio: "Se ne andò per un’altra strada…" (v. 10).
Seduzione e compromesso
Dal versetto 11 la scena cambia completamente. Non più lo scontro tra il re e il profeta, ma l’incontro tra due profeti all’ombra di una quercia.
Il profeta di corte, il vecchio profeta riesce a scalfire, a penetrare là dove non era riuscito il re. Il vecchio profeta DI Bethel, in un racconto che ha dell’incredibile, diventa "tentatore" e riesce a convincere il "collega" di Giuda a fermarsi. Potremmo dire che lo induce ad un compromesso. La sua è una proposta umana: si fermi un po’ e si ristori! Ma proprio qui sta l’inganno: il vero profeta non deve scendere a patti con nessun funzionario del potere, anche se si traveste da "uomo di Dio". Al profeta è richiesta un’obbedienza radicale che non conceda nulla agli accomodamenti.
La storia ha un sapore amaro: anche un profeta si lascia depistare.
Attenzione… Attenzione!
Sarà bene non rimettere nel cassetto dei vecchi racconti questa attualissima e antichissima storia.
Nessuno, proprio nessuno, è impermeabile alle "tentazioni" delle comodità. Nessuno è al sicuro dalle seduzioni dei propri comodi e ciascuno di noi resta esposto agli incidenti di percorso. Se anche un profeta si lascia depistare, noi siamo invitati ad alzare il livello di guardia.
Il racconto dimostra che a volte è più facile "resistere al tiranno" che alle attrattive di una religiosità o di una esistenza quotidiana accomodante. La decisione che il profeta di Giuda dimostrò davanti a Geroboamo andò in frantumi per ingenuità, credulità, stanchezza.
È disarmante vedere quanta acqua bollente diventa tiepida, cioè quanto è facile abbandonare un sentiero di profonda adesione a Dio e annacquare il tutto in un cristianesimo di facciata. Mi viene in mente l’esortazione ammonitoria dell’Apocalisse: "Debbo rimproverarti che non hai più l’amore di un tempo" (2, 4) e "non sei né freddo né caldo" (3, 15).
Questo è il rischio al quale siamo esposti. Il passare degli anni, le sconfitte, le delusioni, la stanchezza, gli agi, le preoccupazioni e una manciata in più di denaro ci hanno raffreddato il cuore? Può succedere, può essere successo.
La porta aperta
È tempo di riascoltare la parola di Gesù: "Vieni e seguimi" sul sentiero della fiducia in Dio, della semplicità, della solidarietà. La testimonianza biblica è chiara, risuona come un invito sereno e caldo: "Ecco, io metto davanti a te una porta aperta, una porta che nessuno può chiudere" (Apocalisse 3, 8).
Signore, accompagnami e sospingimi. Voglio entrare per questa porta stretta ma Tu sai che debbo liberarmi da tanti "carichi" inutili ed ingombranti. Grazie, o Dio, per le porte che mi hai tenuto aperte in questi anni nonostante I miei ritardi ed i miei indugi.