Pagina principale Pagina precedente



SOGNI ADULTI

Carissimi, la lettera precedente vi ha fornito sufficienti motivi per mettermi tra i vecchi rimbambiti: i sogni appartengono ai bambini e dintorni; il nonno che sogna di sognare è indecente un po’ come il nonno che osa rivendicare il diritto ad innamoramenti. L’età sbarra, segna dei prima e dei dopo e il bello del prima diventa spesso il brutto del dopo.Mi sono spinto oltre il confine: il sogno per tutte le età. Muovendomi con evidenti e confessati impacci. Come Icaro che pretende di avvicinarsi al sole con ali di cera. Ma non è giusto irridere Icaro che comunque vuole volare, lui (ma soltanto lui?) che è figlio di Dedalo inventore del labirinto (generato e immesso nel senza uscita, nel non senso?).Persisto. Dopo il come e il dove sognare, azzardo il cosa sognare. Rasento la zona dell’impossibile. E viaggiando proprio con ali di cera: non so andare oltre un quasi banale elenco di ingredienti che vorrebbero aiutare a riempire un vuoto che, in tutta evidenza, angoscia gli aspiranti sognatori ma che, al di là delle apparenze, preoccupa anche i negatori del sognare. Ritengo, intanto, che il sogno ci sia dovuto non meno dell’aria e del cibo: "non di solo pane...". Deducendone che è umano sbagliare sogni ma è disumano (innaturale) non sognare. Sognare comunque. Non è da escludere che il sogno giusto arrivi attraverso o da sogni fasulli. Intendeva questo Nietzsche quando scriveva che "bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante"? Se il sognare è dell’uomo, a misura umana, non può esistere sogno allo stato puro, perfetto, garantito. Chi pretende il sogno infallibile dovrebbe chiedere un trasferimento dall’essere uomo (o donna).Se il sogno rientra nella dotazione umana sarebbe una perdita di umanità negarlo agli adulti. Ovviamente senza spegnerlo nei bambini e nei giovani: non c’è niente di più deludente ed inquietante dell’aridità, del calcolo, della seriosità in volti freschi. Ma i sogni bambini hanno diritto a diventare sogni adulti. I sogni devono crescere per non privare chi cresce del necessario "soffitto": forse è più interrogante che bizzarro J. Hillman quando lega il banalizzarsi dei soffitti delle nostre abitazioni con il banalizzarsi delle nostre teste che sono destinate a stare in cielo (fantasia, creatività...) come i nostri piedi sono fatti per stare a terra (La Repubblica, 27 aprile). Manchiamo di sogni adulti. E continueremo a mancarne finché accrediteremo soltanto sogni bambini. E non sapremo mai cosa sognare da grandi finché non accorderemo ai grandi il diritto a sogni adulti, meno commoventi di quelli dei bambini ma anche meno stagionali e con qualche iniezione di robustezza in più. Il nonno tiene disperatamente a questa riappropriazione. Quando si allenta la sua attrazione al sognare scivola in cedimenti all’attrazione del... cestinarsi. E il nonno - "Cicero pro domo sua"? - pensa addirittura che l’invecchiamento giovi al sogno come al buon vino: scalando e superando sogni definiti (la laurea, il posto di lavoro, la casa, il matrimonio, i figli, la carriera...) si accende il disco verde verso il sogno che magari stava dentro tutti i sogni ma che dai sogni veniva frenato ed oscurato come i penultimi che distraggono dall’ultimo. Come dire che il sogno va oltre i sogni, anche quelli fallimentari.Sognare oltre. Dove oltre non vuole essere un sinonimo di dopo. Ogni dopo uccide il sogno perché fa perdere al sogno l’unica stagione utile: il qui ed ora. Può nuocere al sogno anche il dopo di ogni dopo. Aveva buone ragioni il maestro che non voleva rispondere alle ripetute domande sulla vita dopo la morte: "Avete notato che sono proprio quelli che non sanno che fare di questa vita a volerne un’altra che duri in eterno?". I discepoli insistevano: "Ma la vita dopo la morte c’è o no?". E il maestro: "C’è la vita prima della morte? È questa la questione"" (A. de Mello, Un minuto di saggezza, Paoline, p. 93).Il sogno rimandato è un sogno sprecato. Come sono sogni-delusione i sogni a termine, i sogni identificati, vincolati e consegnati a qualcosa o qualcuno. Uno storico inglese sostiene di aver scoperto il Santo Graal in una soffitta e si tratterebbe di una specie di portauovo di onice di circa appena cinque centimetri! Non interessa verificare l’attendibilità o meno della scoperta. Da prendere in seria considerazione questo approdo tra gli oggetti inutili del simbolo dell’irraggiungibile, della verità e della sapienza, della ricerca e dell’avventura. E più che all’immaginaria delusione di Parsifal e Lancillotto o di Indiana Jones si pensa alla reale delusione dei tantissimi che inseguono, pagandolo spesso a caro prezzo, le infinite variazioni del Graal: persone, ideologie, movimenti, istituzioni, scommesse, miracolismi... Il sogno non ha una fermata alla quale scendere perché arrivati. M. Signorelli propone un panorama che dovrebbe essere visibile da tutte le finestre: "Davanti a casa c’è il capolinea; arriva il 246 dal centro (di Roma), ma dallo stesso capolinea parte lo 023, carico di immigrati, di contadini ed operai che vanno verso la estrema periferia" (Preti operai, 1995, n° 32-33, p. 73).Rileggo con nuova attenzione Lc 12, 33: "Procuratevi ricchezze che non si consumano, un tesoro sicuro in cielo. Là, i ladri non possono arrivare e la ruggine non li può distruggere". Anche la ricchezza-sogno è soggetto a corrosione (e corruzione!). Gettarlo, il sogno, in "cielo" credo significhi collocarlo in quell’"oltre" che non è tanto sopra o dopo ma nella zona, qui ed ora, delle riserve migliori individuali e collettive. È collocarlo dove il cuore possa seguirlo senza lasciarsi condurre alla morte del sogno stesso e alla triste vittoria del calcolo figlio di disillusioni e rassegnazioni: "Dove sono le tue ricchezze (il tuo sogno!), là c’è anche il tuo cuore" (Lc 12, 14).Un "altrove" che sta nel qui ed ora. E sa rimanere "alto" pur, o proprio, rimanendo saldamente e pazientemente "dentro" ciò che la storia e la cronaca offrono o impongono. Il vero sogno spesso veste ciò che i sogni fatui rifiutano o mascherano con lustrini e costumi da scena. Mi piace il sogno di G. C. Caselli anche se il suo sogno, in e dalla Sicilia, ha un nome che sembra da non sogno: "normalità" (Micro-Mega, 1996, n° 1). Rifletto che anche il sogno dei sogni (evangelico e non solo) è la fraternità. E anche la fraternità umana può passare come ovvia, scontata, il minimo dovuto. Insomma: un non sogno. O proprio il sogno. Il sogno inclusivo di tutti i sogni degni di essere sognati.Lo dico io prima che lo diciate voi: ma dove sei andato ad intrappolarti? Ne sono consapevole: aver impostato sul cosa sognare è stato il massimo dell’insensatezza. Infatti il cosa rimane in bianco. Ma se sognerete troverete cosa sognare. È il mio attenuante: dirvi la mia voglia senza età del sognare sperando che si tratti di una voglia contagiosa.

Martino Morganti


Pagina precedente Inizio documento