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FIRMIAMO LA TEOLOGIA

Carissimi, essere "autore" è ambizione diffusa. Ma, quasi sempre, orientata ad espressioni elitarie. Cioè limitative e, conseguentemente, scoraggianti per moltissimi. Non tutti potranno essere autori di libri, affreschi, sinfonie, scoperte scientifiche. Eppure tutti possono promuovere, incrementare, suscitare, originare, inventare. Ed è anche così che si è autori. Anzi è così che si è autori secondo il significato primo e fondamentale della parola: da "augere" è autore chiunque accresca qualcosa in quantità o qualità.

Non è male prendere atto di questa democratizzazione di un termine - autore appunto - che generalmente viaggia in accezioni aristocratiche. Ed è saggezza convincerci che essere autori in questa dimensione non è affatto essere autori di facile e secondaria categoria: difficile pensare Gesù di Nazareth (ma non soltanto lui!) autore di niente o, comunque, autore "minore" perché non ha lasciato niente (uno scritto, una pittura, una composizione...)con la sua firma.

Ho pronta un’importante applicazione: è autore di teologia non soltanto chi elabora e scrive di teologia ma anche, e primieramente, chiunque realizzi teologia, attui o favorisca comportamenti teologici, fatti teologici, storie teologiche. Ed è pronta anche un’occasione propizia per chi abbia capito e voglia fare teologia; essere autore di teologia; firmare teologia.

Firmare è la parola più adatta. Perché si tratta proprio di questo: firmare - l’invito vale per tutti i battezzati che abbiano compiuto i sedici anni - un appello che, questa volta!, non è rivolto al popolo di Dio ma viene dal popolo di Dio. Popolo di Dio ("popolo cristiano" non eliminerebbe la micidiale insinuazione che gli altri popoli non siano di Dio?) che si riattiva come soggetto; smette l’ossequiente passività e si rianima al diritto e alla responsabilità della partecipazione: "Noi siamo chiesa".

Molti di voi avranno già capito tutto. Ormai scoperto il riferimento all’apertura, anche in Italia, di una sottoscrizione tra i cattolici per invitare e incoraggiare la chiesa (quindi anche se stessi pur premendo su chi è abituato a decidere a nome di tutti) a mettersi in viaggio verso il suo "come dovrebbe essere". Il via l’hanno dato sei ardimentosi con una conferenza stampa tenuta a Roma il 16 gennaio. Hanno proposto un testo (il richiamato "appello dal popolo di Dio") che, sostanzialmente, ripete quanto già circola in altri paesi europei. Partito dall’Austria è passato in Germania e in Svizzera ed è in corso in Francia e in Belgio. In Italia ha già fatto un significativo sondaggio: nella diocesi di Bolzano-Bressanone ha già ottenuto diciottomila consensi. Ora è il resto dell’Italia che può misurare la propria attitudine o ad "andare" in chiesa o al "fare" chiesa.

Io firmo. Mi allineo a H. Küng: "Sostengo pienamente la petizione. Abbiamo alle spalle l’evangelo come anche le conquiste moderne della democrazia e dei diritti umani. Chi giudica antiecclesiale questa manifestazione dei cattolici frequentanti mostra di non avere conoscenza dell’originaria ‘democrazia’ di cui ha goduto la chiesa":

Io firmo. Senza sentirmi inibito o intimorito dall’ombra del Vaticano. Troppi, anche in Italia, esagerano o generalizzano la Vaticano-dipendenza del cattolicesimo italiano. Anche in questa occasione si sono sprecati i "finalmente anche in Italia". In Italia, nonostante tutto, qualcosa di vivace c’è stato e c’è. In Italia si è registrata un’esperienza dal basso che non ha uguali in nessun paese europeo (e non solo). Tutto questo può essere anche ignorato: le CdB - è a loro in particolare che faccio riferimento - sono abituate ... all’invisibilità! Ma, oltre che scorretto, è improduttivo tentare legittimazioni per il presente (queste firme) contrapponendole, che è diverso da distinguerle, dal "cattivo" passato (le CdB e dintorni). E invece: "Finito il tempo del dissenso e della contestazione si affaccia..." (La Repubblica, 17 gennaio); "Niente lascia intravedere il riemergere della tramontata configurazione del ‘dissidente’, tipica degli anni del primo postconcilio" (Il Regno ‘96, 2, p. 26)

Intanto meriterebbe chiarire che "dissidente" non è uguale a "dissenziente" e che le CdB non hanno mai volute essere dissidenti ma hanno semplicemente rivendicato il diritto a dissentire cioè, come vogliono fare queste firme, proporre qualcosa di diverso dall’esistente. Non è un caso che "chiesa altra e non altra chiesa" fosse già nel bagaglio linguistico delle CdB e che "siamo chiesa" abbia già fatto la sua comparsa in quel "rimosso" passato (vedi CdB Pza Luogo Pio - Livorno, Siamo chiesa, ed. CNT - Documenti n° 12, Roma 1979). Ma, soprattutto, questo qualificare squalificando non approderà a niente. Ci sarà sempre qualcuno che, a dispetto di intenzioni e dichiarazioni, bollerà con termini imbrattati di disprezzo qualsiasi accenno di non allineamento. E dagli ambiti CEI si è tempestivamente provveduto anche in questa occasione "referendaria": l’appello dal popolo di Dio è nel segno del vecchio perché insiste a "seguire le strade improduttive del dissenso, della contestazione, della pressione indebita" (Adista, ‘96, 9, p. 8).

Io firmo. Firmo l’ "appello" in blocco, nel suo insieme. Le singole proposte potrebbero suggerire riserve (e ne avrei!). Vale la richiesta prima e determinante: avere una chiesa con modalità di "comunicazione e dialogo permanenti... dove le varie componenti... possano discutere... tutti i problemi che riguardano la chiesa". Temi come il potere nella chiesa, l’autorità dottrinale dei fedeli nella chiesa e simili non possono rimanere eternamente relegati in dotte disquisizioni e in comode dichiarazioni.

Io firmo. "La petizione si mostra come un segno dei tempi" B. Häring). Le firme debbono essere individuali. E non è male evitare firme che, nel gruppo o sotto una sigla, possono essere o soltanto presunti o di comoda copertura a prese di responsabilità non delegabili. Per firmare basta e avanza il battesimo. Ruoli o altro non escludono ma non determinano. Qualche anno fa firmarono i teologi (quelli di Colonia ma anche i sessantatré italiani) cioè i "chierici". Ora trionfa lo sconfinamento (o il ritorno) ai "laici". Vorrei che i nipoti potessero gustare come me questo ricongiungimento teologia-laici. Il nonno conserva le lacrime di un vecchio parroco. Lacrime di qualche decennio fa. Lacrime di commozione di fronte ad un laico - si trattava del penalista Francesco Carnelutti - che parlava di fede. Senza molta differenza rispetto a ciò che diceva lui, il vecchio prete. Ma che venivano da un’altra sponda e ciò bastava a vestire l’uguale di diversità di accenti e di linguaggio.

Io firmo. E voi? Se siete convinti per il sì non createvi alibi. L’iniziativa viaggia in organizzazione leggera e può avere difficoltà a trovarvi. La vostra convinzione si misurerà in base all’intraprendenza del vostro farsi trovare.

Martino Morganti


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