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Il protagonista inafferrabile

Non c’è buon libro che non contenga una buona storia e non c’è buona storia che non abbia un protagonista, vale a dire che non ci racconti l’avventura di un eroe alla ricerca ed alla conquista di una meta che, alla fin fine, è quasi sempre il proprio sé, il senso e l’identità della propria vita. La Bibbia non sfugge a questa regola, anche se non la soddisfa nei modi consueti, anche se ci presenta il suo eroe nascondendocelo, anche se sembra sempre incerta tra la valorizzazione del ruolo del protagonista umano e quello del protagonista divino.

Rilke, il poeta, nelle deliziose Storie del buon Dio, favole per bambini raccontate agli adulti perché se ne facciano narratori e testimoni presso i figli o i piccoli amici, osserva che come donne e uomini di mondo noi sembriamo spesso parlare di questo o di quello, mentre dentro, nel segreto di chi parla e di chi ascolta, noi parliamo di Dio, e buon senso vuole che ce lo nascondiamo. Allo stesso modo, ci insegnano gli esegeti, i lettori della Bibbia accostano questo libro alla ricerca della verità su Dio e trovano insegnamenti sull’uomo. Ecco una sineddoche che non può essere sciolta, per la lingua dell’uomo e per la lingua di Dio: tanto l’una quanto l’altra dicendo uomo dicono anche Dio, dicendo Dio dicono anche uomo. L’anche non va dimenticato perchè le due parole e le due realtà stanno insieme, indivisibili, ma sono diverse; non si sovrappongono, si richiamano.

Ecco il nodo in cui si intreccia la questione del protagonista, dell’eroe della storia biblica. In quanto va dalla creazione alla Gerusalemme celeste, in quanto il suo sviluppo ingloba un inizio ed una fine che contengono e trascendono l’insieme della storia, essa non può che avere come protagonista Dio, vale a dire un personaggio che trascende, che sta sopra la storia e fuori di essa, che la contiene. In quanto di questo personaggio si può parlare solo come di Colui che inizia e pone termina a tale storia, come di Colui che in tale storia si rivela e fa presente, ecco che lo stesso ne diventa parte, un po’ come se il tutto potesse essere insieme se stesso e un suo pezzo. Il "tutto nel frammento": diceva, appunto, un noto teologo.

Ma qui non è finita. Infatti la storia raccontata dalla Bibbia, quella storia che, abbiamo visto, non sta da nessuna altra parte se non nel cuore e nelle mani degli uomini, tanto che, in ultima analisi, dovremmo dire che altro non è che la storia della loro storia, passata, presente e futura, insomma l’interpretazione biblica della storia umana non può che avere come protagonista l’uomo. Il che è necessario ed impossibile ad un tempo, perché non c’è uomo che percorra l’intero arco della storia e non c’è vincolo di generazione che possa fare dell’infinita varietà dei singoli un’unità sovrastorica assoluta od anche solo narrativa. E questo in barba all’agostiniana concezione del peccato originale e all’hegeliana Fenomenologia dello Spirito.

La storia biblica ha, dunque, un protagonista divino che, mentre è dentro, è fuori e risulta di conseguenza inafferrabile ed ha un protagonista umano non meno difficile da individuare, visto la sua molteplicità, frammentarietà e volatilità esistenziale. L’eroe della Bibbia è, insieme alla storia, un problema biblico, vale a dire un problema infinito. Uno dei tanti problemi per cui la Bibbia è stata scritta e per cui viene incessantemente riletta. Uno dei problemi per cui si continuano a comporre libri, poesie e canzoni, per cui si continua a studiare e a lavorare, a vivere e a procreare.

Ad immagine e somiglianza

Che tutto ciò non sia una problematica nostra e da noi, eredi confusi e narcisisti dei secoli dei lumi e dei dubbi, sovrapposta ad un’ipoteticamente solare fede biblica, ce lo ricorda continuamente la Bibbia stessa, che a volte sembra anche un po’ prenderci in giro.

Cosa c’è di più esplicito del versetto 26 del primo capitolo di Genesi, quando recita: "Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza e domini" tutte le creature del mare, della terra e del cielo? Non è questo il protagonista, delegato da Dio a rappresentarlo nel prosieguo dell’avventura? Non ha costui la più chiara, regale e definitiva delle identità, quella di essere figura dell’Eterno? Simile a Lui negli attributi, anche se diverso nel grado e nella potenza?

Sarebbe così: se la ‘somiglianza’ fosse da subito senza problemi, se la distanza che essa segna da Dio, insieme alla vicinanza, non si trasformasse presto dal "Buono, molto buono", di Genesi 1, 31, all’ "è venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra per causa loro è piena di violenza" di Genesi 6, 13; se ‘l’immagine’, che quasi si spinge all’identità, fosse in qualche modo rappresentabile e non custodita dal più perentorio dei divieti sinaitici, da quella proibizione d’immagine che non riguarda solo Dio, ma ogni creatura, compreso l’uomo (Esodo 20,4).

All’esegesi e alla teologia biblica non resta che confessare l’insondabilità del mistero di Dio e del mistero dell’uomo, la paradossalità di questo versetto, che , mentre avvicina l’uomo alla fonte stessa della parola creatrice, anche lo ricaccia, insieme a tale fonte, nel più profondo dell’indicibilità, o meglio, di ciò che può essere detto sempre e solo per tentativi ed approssimazione. Il tutto senza che si possa confondere il "Dio nascosto" con "l’uomo nascosto", visto che il restare nascosto dell’uomo a se stesso si fonda sul restare nascosto di Dio anche nella sua rivelazione, che sempre custodisce la propria apertura a nuove possibilità e la difende da ogni pretesa dogmatica del già raggiunto e definito.

Dio e …compagni

E del resto non solo uomo e Dio si rivelano protagonisti problematici della loro storia, dal momento che non si possono presentare sulla sua scena col piglio hollywoodiano dell’eroe a tutto tondo, subito riconoscibile tra comprimari e comparse, perché la loro identità è in formazione e in larga parte ancora da rifinire, ma giocano spesso ruoli confusamente conflittuali, quando non addirittura anti-eroici, di chi cioè sembra ben più protagonista nel patire che nell’agire.

Quante volte nella Bibbia Dio rivendica a sé il carico di tutta la storia, la responsabilità decisiva dell’azione e rinfaccia all’uomo, oltre che i suoi errori, anche la sua falsa pretesa di sapere e volere ciò che nella sua storia gli accade?!. Basti per tutte il capitolo 48 di Isaia dove Dio, prima ricorda ad Israele di avere predetto le cose accadute, perché lui non vantasse: "L’idolo fatto con le mie mani me le ha procurate", poi gli presenta, già belle pronte, delle novità assolute, "create ora e non da tempo!", perché non vanti: "Già le conoscevo" (Is 48, 3-7).

Quante altre l’uomo rimprovera Dio di non essere pari alle sue responsabilità e alle sue promesse, di non essere presente agli eventi della storia, di trascurare i suoi doveri, con gli accenti che ritroviamo nell’incipit di Abacuc: "Quante volte, Signore, implorerò e non ascolti, a te griderò ‘violenza’ e non soccorri?".Dove è Dio quando, colui che egli stesso ha proclamato "Il figlio suo prediletto" agonizza sulla croce, gridandogli il suo abbandono? Dovremo confessare con l’ebreo di Auschiwtz che Dio sta lì appeso alla forca, vittima con le vittime, ben più che eroe con gli eroi?

Il che potrebbe anche spingerci a confessare che non ci offre una vera immagine di Dio e quindi dell’uomo "quel teologo che cerca di comprendere i misteri di Dio per mezzo delle meraviglie del creato, ma quello che contempla faccia e dorso di Dio nel corpo e nel volto del Crocefisso" (Martin Lutero). Ma, affinché questa confessione non suoni mistica, pia od ossessivamente dolorista, forse è bene completarla col rimando al grande ruolo, che da questo punto di vista, hanno nella Bibbia quegli elenchi noiosissimi di padri e figli, per più versi illeggibili ed incommentabili, che abbondano agli inizi del Pentateuco (Gn 4, 17-24; 5,1-32; 10, 1-32; 11, 10-32) e, significativamente, ritornano nei vangeli dell’infanzia (Mt 1, 1-17; Lc 2, 23-38). Qui è l’uomo che, attraverso l’albero genealogico, cerca di darsi continuità oltre la morte per reggere in qualche modo il confronto con Dio come protatonista della storia. Ebbene, qui, per quanto a campioni, nessuno è escluso, né eroi né vittime, né buoni né cattivi, né uomini né donne, compresi ladri e prostitute, adulteri e guerrieri, assassini e uomini giusti, fino ed oltre il Crocefisso e i suoi pescatori, pubblicani e persecutori. Tutti diventati "Parola di Dio" e suoi compagni d’avventura.

Dice la Parola

Dio e uomo,

compagni

nella storia,

Mai sapranno

chi sono

se incontrandosi

non si riconosceranno.

Io, con loro,

da sempre,

incompiuta,

sarò così

sulla bocca dei due

un triplice "Santo".

"Santo Santo Santo.

Totalmente Altro

in te mi riconosco

e ti amo,

come e più che carne

della mia carne

e ossa."

Staremo, allora,

tutti e tre sospesi

nel silenzio

del bacio.

Aldo Bodrato


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