Rilanciamo la Costituzione democratica

Votiamo “no” alla riforma che la stravolge


In un’efficace vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera, sono rappresentati Cavour ed il Re in una nuvoletta in alto a sinistra che guardano stupefatti i tre personaggi più significativi della riforma sulla quale siamo chiamati a pronunciarci il 25 e il 26 giugno in corso: Berlusconi, Calderoli e Maroni. Quest’ultimo, a nome degli altri dice: “Abbiamo disfatto l’Italia, ora dobbiamo disfare gli italiani”. La vignetta rappresenta ampiamente, sia pur sinteticamente e in modo incisivo – è il bello delle vignette – quanto sta succedendo da qualche anno ad oggi, cioè da quando è cominciato il via vai da una Camera all’altra del Parlamento italiano dei diversi pezzi della cosiddetta riforma costituzionale.


Il riferimento di Giannelli ai padri del Risorgimento e dell’Unità d’Italia è interessante, infatti la Costituzione del 1946-48 è considerata il superamento nella continuità della lotta che ha occupato tutto l’Ottocento per liberare l’Italia dai vari residui degli stati assolutistici e costruire un’unione ancora incompleta, ma tuttavia varata. Alle lotte risorgimentali si obietta in genere di esser state il frutto di un’élite piemontese ed intellettuale, piuttosto che il risultato di un concorso nazionale delle basi popolari delle singole regioni. In alcune zone del sud ci furono ribellioni particolarmente forti a ciò che appariva un’occupazione piemontese. Si ricorda come emblematica la rivolta di Bronte, cui seguì un eccidio. Di qui il detto di Cavour e del Re: “Abbiamo fatto l’Italia (in senso giuridico), ora dobbiamo fare gli italiani (in senso sociale, politico e culturale)”.


A questo limite elitario hanno supplito gli avvenimenti della prima metà del Novecento, drammaticamente segnato dalle due dilaceranti guerre mondiali, che hanno avuto tuttavia l’effetto collaterale di aggregare le popolazioni delle varie parti d’Italia, che combattevano fianco a fianco sui fronti, che riportarono gravi perdite ma anche vittorie, che elaborarono una lingua comune alla quale seguirono usi, costumi e cultura affini. Chi rimase nelle campagne e nelle fabbriche ugualmente solidarizzò nelle lotte contro la guerra che dissanguava le forze migliori della popolazione, nella volontà di affermare diritti comuni ad ogni cittadino, nel desiderio di partecipare alle decisioni che riguardavano la società nel suo insieme. Certamente non s’arrivò mai all’omologazione totale dei cittadini di ogni parte d’Italia, ma sicuramente nelle esperienze tragiche e nelle lotte comuni, al fronte e nei settori di lavoro, gli italiani si conobbero e combatterono battaglie unificanti su valori di libertà e diritti.


Nell’ultimo scorcio della guerra contro il nazismo ed il fascismo, la lotta di liberazione portò infine alla convergenza delle tre principali culture italiane, la liberale, la cattolica e la socialista e comunista. Non solo i partigiani in montagna e nelle città, ma tante altre forme di opposizione al nemico nazifascita di sostegno e di solidarietà a chi lottava più apertamente, portarono una grande parte di italiani a contribuire alla liberazione, a volte anche prima dell’arrivo degli alleati, e a diventare protagonista della vittoria finale.


La Costituzione italiana del 1946-48 è frutto di queste lotte dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Si compone di 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali. Divisa in due parti, concernenti i diritti e i doveri dei cittadini e l’ordinamento della Repubblica, la Costituzione si pone l’obiettivo di essere una carta di garanzia e di indirizzo: garantisce le libertà individuali e civili e delinea il quadro dei valori e dei fini sociali entro cui il legislatore deve agire. Stabilisce la divisione dei poteri, i caratteri del sistema parlamentare, il decentramento amministrativo e un istituto di democrazia diretta: il referendum. Altre caratteristiche la contraddistinguono: è una Costituzione rigida, che prevede un meccanismo complesso per le modifiche. Le norme costituzionali prevalgono sulle leggi ordinarie, che non possono essere in contrasto con esse. Il sistema costituzionale italiano prevede pertanto l’esistenza di una Corte Costituzionale, col compito di vagliare la conformità delle leggi ordinarie al dettato costituzionale. Sono evidenti inoltre il sano compromesso tra le componenti politiche antifasciste, la preoccupazione di prevenire soluzioni autoritarie e i fini sociali assegnati allo stato.


La riforma della Costituzione sulla quale siamo chiamati ad esprimerci va in tutt’altra direzione. Le modifiche che propone non hanno il consenso di tutte le forze democratiche, al di là dell’indirizzo politico di chi governa il paese. Conferisce troppi poteri al primo ministro che può sciogliere il Parlamento anche se questo lo sfiducia. Cancella il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Annulla il potere di vigilanza e di controllo della Corte Costituzionale sulla legittimità delle leggi emanate dal Parlamento. Lede l’autonomia della Magistratura e dell’informazione. La Devoluzione, che assegna alle regioni la competenza della sanità, dell’istruzione e della polizia locale, frammenta i sistemi nazionali sanitari e scolastici, abbassa i livelli di assistenza e istruzione, penalizzando le regioni più povere, ed apre la strada alla privatizzazione della sanità e dell’istruzione. Le modifiche quindi, nel loro complesso, mettono in discussione i valori di solidarietà, democrazia ed uguaglianza dei cittadini che, sebbene realizzati solo in parte, sono il fondamento della convivenza sociale e civile.


Sembra che il clima di fervore nella preparazione al NO si stia affievolendo, data ormai la caduta del governo che ha proposto la riforma e la sua rinuncia a far del Referendum una rivincita. Inoltre le previsioni dei sondaggisti danno per vittorioso il NO per una decina di punti, ed i mondiali di calcio avranno senz’altro la forza di distogliere l’attenzione da una avvenimento tanto importante. Gli stessi partiti, sconfitti e vittoriosi alle elezioni politiche ed amministrative, pensano al dopo Referendum in chiave di accordi di aggiornamenti costituzionali non certo ispirati alla convergenza delle diverse culture politiche, come avvenne nel 1946-48, quanto piuttosto espressione del nuovo corso della politica che tutti ha pervaso, cioè la distribuzione di contentini all’uno o all’altro partito o coalizione. Si profila per il rilancio della Costituzione italiana una pessima politica.


Dobbiamo rifare l’Italia e gli italiani in base ai valori della politica più vera, cioè finalizzata al bene comune e non all’esigenza di apparire e di ottenere una fetta di torta della comunità a spese dei cittadini che ancora una volta saranno sfruttati nei loro diritti.

(15 giugno 2006)

Mario Arnoldi