Natale 2005

La donna e la salvezza

Il Natale cristiano è preparato dalla celebrazione dell’Immacolata Concezione di Maria.

Lascio ai predicatori le interpretazioni e le riflessioni sull’origine del dogma, sulla festività e su tutta la tradizione che si è originata da quella solennità. Penso che tanti aspetti di questa tradizione dovrebbero essere ampiamente sfrondati, sfoltiti, per coglierne il significato più vero.

Durante una riflessione collettiva sui testi della liturgia dell’Immacolata mi ha colpito il confronto, fatto da una donna del gruppo, tra Eva, del libro della Genesi, e Maria del Vangelo di Luca. La prima così risponde al rimprovero divino d’aver indotto l’uomo a mangiare del frutto dell’albero: “Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato dell’albero”. Maria, secondo Luca, dapprima ascolta le parole dell’angelo Gabriele mandato da Dio che le annuncia: “Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo”. Ella subito si schermisce di fronte ad un messaggio così grande: “Come è possibile? Non conosco uomo”. Ma, successivamente, sollecitata anche dalla notizia che la cugina Elisabetta ha concepito un figlio, nonostante fosse vecchia e considerata sterile, “poiché nulla è impossibile a Dio”, accetta l’invito e risponde: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Due donne, due atteggiamenti diversi. Eva non riconosce la disobbedienza d’aver mangiato dell’albero, sfugge alla sua responsabilità, proietta la colpa dell’accaduto sul serpente. Maria all’inizio è schiacciata dalle parole dell’angelo, ma, successivamente, con l’espressione “Eccomi” rivela grande capacità di assumere compiti che a prima vista le erano parsi superiori alle sue forze ed esprime una presa di responsabilità piena e totale.

Deresponsabilizzazione e responsabilità si prospettano specularmente nelle due donne. Maria, che accetta l’invito “impossibile”, irradia luce su tutte le donne e retrospettivamente su Eva stessa, tanto che il testo poi dice di lei, quasi accomunandola al progetto della salvezza, che lotterà contro il serpente simbolo del male del mondo e gli schiaccerà il capo. Infine afferma: “L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi”.

Oso pensare, secondo il linguaggio della psicologia del profondo, che Eva e Maria siano due volti della stessa persona, il primo infantile, primitivo, non ancora adulto e coraggioso, il secondo già maturo e capace di affrontare le situazioni a viso aperto. Penso inoltre che nella determinazione di questi comportamenti non sia ininfluente l’atteggiamento della divinità: ad un Dio genitoriale e inquisitorio corrisponde una atteggiamento infantile e primitivo; al coinvolgimento, alla richiesta di collaborazione e di partecipazione corrisponde la responsabilità e la disponibilità alla condivisione. La relazione è sempre fondamentale! In fondo in questo sta l’aspetto bellissimo e paradossale della salvezza: che Dio abbia accettato di aver bisogno della collaborazione dell’uomo, anzi della donna, per salvarci.

La figura della donna nelle culture antiche e moderne e, di riflesso, nelle religioni del mondo è sempre, o spesso, sottovalutata. La sua differenza di genere è stata ed è considerata un’inferiorità, se non un’infermità, sia pure con sfumature diverse nelle varie culture e religioni. L’uomo, quando compie violenza su un altro uomo doveva e deve rendere conto del suo operato e tale obbligo, se disatteso a livello personale o collettivo, dà origine per lo più a conflitti e guerre, sin quando la storia sarà guidata dalla legge del taglione, sia pure diversamente modificata nel tempo. Le guerre sono nate anche come risposta alla violenza compiuta su donne, ma solo in quanto mogli di personaggi di un certo rilievo o parti di una collettività importante. Si pensi alla guerra di Troia, causata, secondo la vulgata, dal rapimento di Elena. Ma la violenza compiuta sulla donna che non gode di protezione di un certo peso non ha mai meritato riparazione. Gli esempi in tal senso del passato e del presente, quasi quotidiani, sono cronaca a tutti nota, esprimono una realtà tristissima e di gravità enorme. Le leggi a questo proposito, sia nei paesi a noi lontani, che consideriamo incivili, sia nel nostro mondo occidentale del quale pretendiamo di esportare la democrazia, sono assolutamente carenti. Ma già il dover ricorrere alle leggi, per porre argine alle violenze rivolte alle donne, è il segno della barbarie che tutti avvolge.

I testi della liturgia dell’Immacolata, li si legga con la prospettiva della fede oppure con la semplice visione umana, suggeriscono che la funzione femminile e quella maschile, nelle azioni quotidiane o in circostanze di una certa importanza quali quelle di cui si parla in quei testi, cioè l’incarnazione e la salvezza dell’umanità, sono complementari. La donna, donna e madre, senza il figlio non avrebbe dato origine alla storia della salvezza di cui narra la Bibbia. D’altra parte il figlio, considerato come figlio dell’uomo e figlio di Dio nella tradizione cristiana, non esisterebbe e non avrebbe potuto agire se non avesse avuto Maria che lo ha generato. Non solo la donna e Maria sono mediatrici, ma compartecipi all’opera della salvezza.

Le differenze di genere traspaiono nelle funzioni, negli atteggiamenti, nei sentimenti, nella sensibilità, tuttavia sono complementari, cioè necessarie alla pari, nella realizzazione del progetto prefissato. Chi storicamente detiene il potere, abitualmente maschile, non ne ha mai ceduto una minima parte, tranne rari casi, come quelli dei grandi maestri della povertà, della giustizia e della nonviolenza. E’ spettato dunque alla donna conquistarsi la parità dei ruoli, intesa non tanto come diritto a fare la guerra come gli uomini, ma come possibilità di portare nella quotidianità e nella storia la sua “differenza” di sentire e di agire, improntata piuttosto all’accoglienza ed alla pace. Ed il cammino è solo cominciato.

Nel mondo cattolico il rifiuto di concedere il sacerdozio alle donne, realtà già conquistata in alcuni settori del protestantesimo e di altre religioni, e, nella vita laica, l’impossibilità delle donne di godere di alcune opportunità di inserimento nel lavoro o altrove sono esempi, tra i tanti, della discriminazione, se non della violenza, che si esercita sulla donna.

Ad una prima lettura dei testi di una festività di recente istituzione nel mondo cattolico quale l’Immacolata, non avrei pensato potessero scorrere tanti pensieri, grazie ad una riflessione collettiva, sollecitata soprattutto da donne.

Durante il Natale che si avvicina, l’augurio è che ciascuno possa cogliere il messaggio della pari collaborazione di donne e uomini ai progetti umani e di salvezza e che la pace, più di sapore di genere femminile che non la guerra, tipicamente maschile e maschilista, possa a poco a poco affermarsi nel consorzio umano.

(15 dicembre 2005)

Mario Arnoldi