Donne africane chiedono giustizia ai potenti

Il settimanale Internazionale, 1/7 luglio scorso, n. 597, ha pubblicato la storia di otto donne africane – Elisabeth, Annet, Justine, Abiba, Rustica, Aderonke, Sabina, e Lynette -, i volti, le parole, il lavoro che svolgono ed i problemi che incontrano, acuiti, più che attutiti o risolti, come si pensa a volte, dall’intervento dei Paesi ricchi del mondo, dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), dalla Banca Mondiale (BM) e dalle istituzioni preposte, in linea di principio, alla loro composizione. Poiché il G 8, che si è svolto dal 6 all’8 luglio in Scozia, non ha risolto nessuno dei problemi in agenda, già affrontati per altro senza esito in precedenti sessioni, crediamo tuttora valido il grido delle donne, simbolo dell’urlo di tutta l’Africa e dei paesi del Sud del mondo.

 

Per iniziare, riporto alcuni numeri sulla povertà nel mondo, che ci ricordano la drammatica situazione nel suo insieme. Nel pianeta poco meno di 1 miliardo di persone soffre la fame. In Africa in particolare mezzo miliardo sopravvive con meno di un dollaro; 120 milioni di bambini in età scolare non ricevono alcuna istruzione; il 53% è rappresentato da femmine; 6000 giovani vengono infettati ogni giorno dal virus dell’aids e, a causa della stessa malattia, 14 milioni di bambini al di sotto dei 15 anni hanno perso nel continente uno o entrambi i genitori; in Nigeria gli orfani dell’aids sono 1,8 milioni. 25 miliardi di dollari in più ogni anno, e fino al 2010, per aiutare i Paesi in via di sviluppo, è la proposta contenuta nel piano presentato da Blair e discusso nel corso del summit del G8 del 6-8 luglio; 7 % del Pil è l’obiettivo che l’Onu, fin dagli anni 60, ha posto alla comunità internazionale, ma pochi paesi hanno devoluto quella cifra.

 

Riporterò, per motivi di spazio, il nome, il paese, il lavoro ed i problemi di alcune delle otto donne, riassumendo a volte, invitando a consultare il testo completo.

 

Annet Akugizibwe, Uganda, Preside di scuola elementare

“Dirigo la scuola elementare di Bweyale. E’ un istituto molto grande: attualmente ha tremila alunni. Per la maggior parte si tratta di sfollati, fuggiti dai distretti del nord a causa dei ribelli. La riforma che ha reso gratuita l’istruzione elementare è stata un’ottima cosa, perché ha permesso a moltissimi bambini di venire a scuola, da 573 alunni a 1.800. Abbiamo ancora dei problemi per insegnargli a leggere e far di conto perché non abbiamo abbastanza mezzi. Abbiamo un libro ogni sei allievi e molti di loro non hanno il materiale per scrivere. Gli insegnanti sono pochi: il rapporto è di uno a cento. C’è da fare un grosso lavoro, soprattutto con i bambini delle classi inferiori, che richiedono maggior attenzione. Inoltre molti allievi hanno conosciuto la guerra: hanno molti problemi, sono poveri, orfani e traumatizzati. Non possiamo fornire i pasti a tutti, così gli abbiamo detto di portarsi qualcosa da casa. Ma molti non possono ed hanno fame. Questo influisce sul loro rendimento. Vorrei che tutti i bambini avessero un futuro migliore. Perciò quando i leader del mondo s’incontreranno la prossima volta, vorrei che risolvessero il problema della povertà e del divario tra ricchi e poveri”.

Contesto. Sessanta milioni di bambini africani non hanno accesso all’istruzione elementare; il 60 per cento sono femmine. In base alle tendenze attuali, nel 2015 in Africa ci saranno ancora quaranta milioni di bambini che non possono andare a scuola. Ma nei paesi in cui gli aiuti sono riusciti a ridurre la povertà, e sono stati accompagnati da efficaci programmi nazionali per l’istruzione, i risultati sono stati straordinari. Nel 1997 l’Uganda ha abolito le tasse scolastiche per l’istruzione primaria. Da allora le iscrizioni sono più che raddoppiate. Il divario tra maschi e femmine è diminuito. Il bilancio statale per l’istruzione viene comunicato alla radio e affisso alle pareti delle scuole affinché genitori e studenti possano vedere esattamente come vengono spesi i soldi. Il problema più immediato che l’Uganda deve affrontare è quello di migliorare la qualità dell’istruzione primaria, perché le aule sono ancora troppo affollate, mentre libri, quaderni e penne sono ancora troppo pochi. La prossima sfida sarà rendere gratuita anche l’istruzione secondaria.

 

Abiba Gyarko, Ghana, coltivatrice di pomodori

“Ho 28 anni e due figli. Io e mio marito siamo dei piccoli agricoltori di pomodori e mais. La terra non è nostra. Paghiamo un affitto al proprietario per coltivare sette acri. Abbiamo sette braccianti fissi il cui sostentamento dipende da noi; quando è necessario assumiamo qualcuno a giornata. Lavoriamo sodo ma facciamo fatica a sopravvivere. Il problema è che sul mercato i nostri pomodori freschi devono competere con quelli in scatola che vengono dall’Europa: costano molto poco e ci costringono a tenere basso il prezzo dei nostri. Al mercato, quelli che vendono piatti cucinati adesso usano i pomodori in scatola e la gente si sta abituando al loro sapore. Quando abbiamo cominciato, il prezzo dei fertilizzanti e dei disinfestanti era basso perché il governo ci dava un sussidio. Ma adesso il sussidio è stato abolito e i prezzi continuano a salire. Non è giusto: i governi europei finanziano gli agricoltori che producono i pomodori in scatola venduti nei mercati del Ghana. Grazie a questi aiuti i loro prodotti costano molto meno. Chiedo ai leader mondiali di mettere fine a quest’ingiustizia. Io e mio marito vi chiediamo di dare a tutti le stesse possibilità”.

Contesto. Negli anni novanta la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale imposero al Ghana di aprire i propri mercati ai pomodori d’importazione, in cambio di prestiti ed aiuti. Oggi la vendita sottocosto dei prodotti sovvenzionati provenienti dall’Italia e da altri paesi dell’Europa ha costretto due dei tre impianti ghaneani di lavorazione dei pomodori a chiudere e ha gettato nella povertà quasi tre milioni di persone. Anche se è dimostrato che il dumping (la vendita sottocosto) distrugge le possibilità di sopravvivenza delle popolazioni, il G8 continua ad imporre all’Africa il libero mercato, costringendo i suoi paesi a instaurare rapporti commerciali fortemente sbilanciati. Per esempio, gli accordi di collaborazione economica tra Unione europea (Ue) e paesi africani potrebbero richiedere al Ghana di eliminare tutte le tasse sull’importazione dei pomodori europei e altri prodotti sovvenzionati dall’Ue.

Al tempo stesso il G8, guidato dalla Francia e dagli Stati Uniti, sta bloccando ogni tentativo di tagliare i sussidi alle proprie aziende agricole che producono per l’esportazione e mettono in difficoltà i piccoli coltivatori come Abiba Gyarko. Nel loro complesso questi sussidi superano di quindici volte gli aiuti ufficiali che il G8 concede all’Africa.

Analoghi problemi vivono i coltivatori di tabacco, di caffè, della canna da zucchero, e di altri prodotti tipici dei paesi africani. Riguardo al caffè, per esempio, il potere di contrattazione dei piccoli agricoltori è nullo rispetto a quello delle grandi società di torrefazione. Le quattro grandi – Nestlé, Kraft, Procter & Gamble e Sara Lee – ricavano profitti altissimi rispetto alle altre multinazionali che producono cibo e bevande. Questo significa che le persone più povere e svantaggiate del mondo sono costrette a trattare con alcune delle più ricche e potenti.

 

Rustica Banda, Malawi, ostetrica

“Ho 45 anni e sono capo infermiera e ostetrica al Mitundu community hospital. Ho cinque figli e cinque nipoti orfani da mantenere. Il nostro problema è che lavoriamo sempre sotto pressione. Nel reparto maternità siamo solo nove infermiere e quindi di fatto siamo due per ogni turno. Un’infermiera sta in sala parto e l’altra si deve occupare di pianificazione familiare e di medicina prenatale. Di solito visitiamo duecentocinquanta donne al giorno, più quelle con cui parliamo di pianificazione familiare. Nel complesso arrivano a trecento. L’ospedale non è ben equipaggiato. Mancano teli di plastica, mancano guanti in sala travaglio… Lavoriamo tanto ma siamo pagate poco: il mio stipendio è di circa 13mila kwacha (cento euro) al mese… La maggior parte delle infermiere scappa dagli ospedali pubblici per andare in quelli privati, oppure in altri paesi. Il governo dice sempre di non avere denaro. Il problema è che il governo è pieno di debiti con gli altri paesi e deve rimborsarli. Come infermiera, vorrei chiedere allo stato di Malawi di pensare a noi e ai nostri stipendi, se non vuole che le infermiere scappino. Vorrei anche chiedere ai paesi ricchi di cancellare il debito del mio paese”.

Contesto. In Malawi un bambino su cinque muore prima di compiere i cinque anni. E’ uno dei paesi più indebitati del mondo: deve ai paesi ricchi e alle istituzioni internazionali più di una volta e mezzo il suo reddito annuale. La cancellazione del debito gli è stata promessa già dal 2000, ma il paese sta ancora aspettando, perché il Malawi si è rifiutato di adottare i programmi di aggiustamento strutturale prescritti dal Fondo monetario internazionale. Di conseguenza, nel 2003 il governo ha speso quasi un terzo delle sue entrate per pagare gli interessi del debito, più del doppio di quello che ha speso per la sanità. Questo anche se l’aspettativa di vita dei cittadini del Malawi è solo di 38 anni e la mortalità infantile è ancora altissima.

 

Aderonke Afolabi, Nigeria, educatrice sieropositiva

“Non pensavo che l’aids fosse davvero un pericolo e che io potessi prenderlo. Non volevo dapprima che si sapesse che ero sieropositiva e quindi non uscivo più. Ma ad un certo punto mi sono resa conto che la vita andava avanti, mi sono iscritta al programma di terapia dell’ospedale. Gli antiretrovirali mi hanno fatto bene. Molta gente non riesce a rientrare nella lista del governo perché i posti sono pochi, oppure non può pagare mille naira al mese. C’è anche chi perde il lavoro quando sia sa che è sieropositivo, per cui non può più permettersi le medicine. Chiediamo ai leader del mondo di aiutarci, di permetterci di avere i farmaci. Le persone sieropositive dovrebbero ricevere gratuitamente gli antiretrovirali, in modo da non morire più in silenzio a causa dell’ignoranza e dei pregiudizi sociali”.

Contesto. Il G8 si è impegnato a garantire l’accesso ai farmaci antiretrovirali al maggior numero possibile di persone, ma in Africa solo l’8 per cento dei malati riesce ad averli. La povertà, i sistemi sanitari fatiscenti, l’alto costo dei farmaci e le regole del commercio globale impediscono a milioni di persone di potersi curare. Nel 2000 i paesi più ricchi del mondo hanno istituito il Fondo globale per la lotta all’aids, alla tubercolosi e alla malaria. Ma i contributi non sono sufficienti. Attualmente mancano 700 milioni di dollari per il prossimo ciclo di finanziamenti che dovrebbe partire a ottobre e che viene rimandato dal 2004. Gli Stati Uniti hanno offerto aiuto ad alcuni paesi africani, ma solo se accettano di comprare le medicine brevettate dalle case farmaceutiche americane invece delle versioni generiche che costano circa la metà.

Dietro pressione dei paesi del G8, di recente l’India ha approvato una serie di nuove leggi che impongono il rispetto delle norme sulla proprietà intellettuale stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e che impediscono l’esportazione in Africa dei farmaci generici indiani.

 

Sabina Nicholas, Tanzania, infermiera

“Ho 57 anni. Lavoro come infermiera al Muhimbili national hospital. L’acqua è il grande problema della mia vita. In famiglia siamo in quattordici. In passato avevamo l’acqua corrente e bastava che aprissimo il rubinetto, ma da quando è arrivata una nuova compagnia, la City water, abbiamo cominciato ad avere problemi. C’erano molte tubature che perdevano in questa zona a causa della costruzione di una strada e di nuove case. Invece di ripararle, hanno deciso di togliere l’acqua ad alcuni quartieri, perciò adesso siamo costretti a comprarla dai privati ed è molto costosa… Mi arrabbio quando sento dire che hanno dato tanti soldi alla City water per modernizzare gli impianti della città. Vogliono solo guadagnare, anche se questo significa rendere la vita più difficile ai poveri…”.

Contesto. In tutta l’Africa, gli aiuti della Banca Mondiale, dell’Unione europea (UE) e dei paesi del G8 continuano a essere vincolati alla privatizzazione dell’acqua, anche se è stato dimostrato che questi progetti danneggiano le comunità più povere come quella di Sabina Nicholas. Il programma di privatizzazione dell’acqua a Dar es Salaam è stato ideato dalla Banca mondiale ed è stato appoggiato dai paesi del G8 che fanno parte del consiglio di amministrazione della Banca. A maggio il governo tanzaniano ha annullato il contratto con la City water, gestita fino a poco tempo fa dalla multinazionale inglese Biwater perché non aveva migliorato l’approvvigionamento idrico della città

(1 agosto 2005)

Mario Arnoldi