I "Settembre" neri della storia

Mi soffermo sui "settembre" neri non per un astratto esercizio storico, ma per rintracciare nel passato elementi esplicativi, se non le cause, delle violenze attuali, ed intravedere possibilmente spunti di soluzione. Evidentemente la scelta del settembre è occasionale, perché stiamo vivendo questo mese in modo particolarmente crudele e nefasto. Altri mesi ed altre date ci porterebbero a considerazioni analoghe, poiché purtroppo la violenza è ancora la modalità abituale dei rapporti tra gli stati.

All’inizio del settembre in corso i media davano notizia di un’immane carneficina nella scuola di Beslan, in Ossezia, ad opera di terroristi ceceni, nella quale venivano colpiti soprattutto bambini, oltre i genitori ed i professori. Colpire i bambini è quanto di più orrendo si possa concepire e realizzare, perché i piccoli sono innocenti e quindi non hanno colpa delle azioni umane più deprecabili ed inoltre sono il segno della continuità della vita e della specie. Più triste tuttavia ci è apparso l’atteggiamento degli anni scorsi della Russia di Putin, che in Cecenia ha fatto stragi di bambini in numero centuplicato.

Allo scadere della prima settimana del mese, il terrorismo ha colpito ancora col rapimento a Bagdad delle due volontarie pacifiste italiane, Simona Torretta e Simona Pari, che lavoravano per l’organizzazione non governativa "Un ponte per...". Le due ragazze, delle quali non conosciamo ancora la sorte, e per le quali auspichiamo un esito felice della vicenda, lavoravano per il risanamento del paese, per la ricostruzione delle infrastrutture distrutte dalla guerra, per l’educazione dei bambini. Tuttavia sono "occidentali", e, come tali, indesiderate. La guerra americana, che ha invaso e distrutto il paese per il petrolio e per guadagnare posizioni strategiche, ha colpe che stanno all’origine del terrorismo stesso. "In un’ intervista, il presidente della più importante associazione del clero sunnita, Harid al-Dari, ha detto ‘Per gli iracheni le elezioni contano ben poco. La cosa più importante è che gli americani fissino una data per il loro ritiro’. Venerdì scorso, in un editoriale che ha fatto scalpore, il Finacial Times aveva scritto appunto che le forze Usa sono parte del problema piuttosto che la soluzione, quindi è arrivato il momento di cominciare a ipotizzarne il ritiro" (14.09.2004).

L’11 settembre abbiamo ricordato l’attacco aereo terrorista del 2001 alle Torri Gemelle americane, che ha dato indubbiamente una svolta agli avvenimenti attuali più grave del previsto. Le possibilità di reazione da parte della potenza americana colpita potevano essere molteplici, ma è prevalsa la scelta della guerra preventiva, generalizzata, esportata in tutti i paesi sospetti di esser covo di terrorismo, e la cosa ha creato non tanto un contenimento di questo, quanto piuttosto, come molti avevano previsto, l’acutizzarsi della spirale guerra-terrorismo. Ci si chiede chi ha maggiori responsabilità in questa spirale.

Un altro 11 settembre, quello del 1973 in Cile, è stato commemorato da chi ha memoria storica. Salvador Allende, fondatore insieme con altri del Partito socialista nel 1933, dopo aver ricoperto diverse cariche negli anni successivi in Parlamento ed in Senato, fu eletto Presidente nel 1970 con l’appoggio di un’alleanza di sinistra, Unidad Popular. Il suo governo fu orientato a una politica sociale e nazionale: nazionalizzò le miniere di rame, la grande risorsa del paese, espropriò la multinazionale Itt, promosse la riforma agraria. Subì una violenta opposizione interna e internazionale che portò al sanguinoso colpo di stato militare dell’11 settembre 1973, sostenuto dagli Stati Uniti e seguito dalla lunga dittatura militare del generale Pinochet. Allende morì con le armi in pugno nella difesa del palazzo presidenziale della Moneda. Chi è l’oppressore e chi l’oppresso è chiaro in questa vicenda che allora fece tremare tutta l’America Latina ed il mondo.

Procedendo ancora a ritroso, alcuni hanno rievocato il "settembre nero" del 1970, data della repressione scatenata in Giordania da re Hussein contro l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, che andava ad inserirsi, per di più ad opera di un paese arabo, nella lunga serie di espropriazione della terra e di abbandono del popolo palestinese. Questo, dalla fine dell’Ottocento - quando nasceva il Sionismo, movimento da non confondere con la totalità dell’intero popolo ebraico - ed in particolare dal 1947 in poi, viene depredato del suo legittimo diritto all’autodeterminazione ed ad essere riconosciuto, in quanto popolo sul proprio territorio, come Stato dall’autorità internazionale. La reazione della disperazione, secondo l’interpretazione più probabile, ha portato frange del popolo palestinese stesso a reagire dapprima in modo blando attraverso l’ "intifada " delle pietre e, successivamente, con forme, sia pure non generalizzate, di terrorismo.

E’ forse sbagliato sostenere la maggior responsabilità di chi attacca che non quella di chi è attaccato? Nel caso facessimo un’equazione di identità di ogni violenza, non riusciremmo ad individuare le cause ed il bandolo della matassa dal quale cominciare ad impostare una nuova convivenza di pace.

Concluderò ricordando l’ennesimo fatto di sangue avvenuto a Bagdad il 12 settembre scorso, così come lo raccontano le cronache. Alle 4,30 del mattino ad Haifa Street, nel centro di Bagdad, viene incendiato un automezzo militare Usa Bradley. Una folla esultante circonda il veicolo esploso. Quattro carri statunitensi aprono il fuoco e si ritirano. Due elicotteri si alzano in volo a bassa quota e sparano sulla folla: 13 morti, tra questi un giornalista di Al Arabiya, 55 feriti. Battaglie e sette autobomba nel resto della città. La Zona Verde è bersagliata da colpi di mortaio. Un’autobomba uccide due agenti e un bambino. Un’altra esplode ad Abu Ghraib. Decine di vittime al termine della giornata. Scontri si susseguono in tutto l’Iraq, oltre cento sono i morti. Una giornata d’ordinaria follia! Il giornalista dell’Espresso, Gigi Riva, commentava ieri, mentre conduceva rassegna stampa di Radio3, la dolorosa giornata e ad un interlocutore telefonico, che deplorava l’incendio dell’automezzo da parte degli iracheni ribelli, che aveva dato la stura ai colpi e contraccolpi della giornata, diceva sinteticamente: "Sin quando le truppe americane occuperanno l’Iraq, ne vedremo purtroppo molti d’automezzi americani in fiamme!". Semplice ma significativa osservazione!

(15 settembre 2004)

Mario Arnoldi