Verso le elezioni europee

Sabato e domenica, 12 e 13 giugno, si vota per il Parlamento europeo, e, localmente, per alcune situazioni amministrative. Gli europei si apprestano ad andare al voto più vasto in termini geografici, della loro storia, per eleggere i 732 membri del Parlamento che rappresenteranno 25 paesi. La camera uscente, divisa in otto partiti politici multinazionali, era dominata dal centro-destra costituito da Partito popolare europeo-Democratici europei, con 295 seggi. Seguivano i socialisti, con 232. I leader europei dovrebbero approvare la bozza del trattato costituzionale al vertice che si terrà il 17-18 giugno prossimi. Lì sarà nominata la nuova Commissione che s'insedierà il 1° novembre. (Reuters).

Qualche parola sul contesto nazionale ed internazionale delle votazioni. Scrivo il giorno successivo la liberazione degli ostaggi italiani. Il primo sentimento è di sollievo e di gioia per la salvezza di tre vite che sembravano destinate al peggio, in quest'ingiusta guerra, com'è successo a tanti altri ostaggi, tra cui il povero Fabrizio Quattrocchi. Sulla modalità della liberazione si discute e se ne discuterà a lungo. Sono da verificare le versioni trionfalistiche date da Berlusconi, che si attribuisce il merito dell'esito positivo della vicenda. In una guerra, dove le bugie sono state la sostanza dell'informazione, è legittimo chiedere di sapere di più. Il governo dovrà riferire in Parlamento, come si conviene in un paese democratico. Per altro è in corso un'inchiesta giudiziaria che prenderà avvio dall'interrogatorio dei tre liberati, appena giungeranno in Italia.

Forte è la richiesta a non strumentalizzare la liberazione a fini elettorali anche da parte della stampa moderata. Ezio Mauro su La Repubblica del 9 giugno titola il suo articolo: Finito un incubo. Ma non si lucra sul terrorismo. E con parole particolarmente dure conclude il suo scritto dicendo: Poche ore dopo, dall'altra parte dell'oceano, il presidente del Consiglio ha occupato militarmente la sede (per altro già sua) di Porta a Porta per ventotto minuti, forse per vendicarsi del mancato sbarco al D-day. Qualcuno dovrebbe ricordare a questi signori che la sfida terroristica, contro chiunque sia rivolta, è sempre contro lo Stato e la democrazia, dunque si festeggia con una risposta comune e condivisa. E che, nonostante la loro legge, in un Paese civile la vita e la morte non si riducono a propaganda televisiva. Perché la guerra non è uno spot.

Un altro avvenimento nel contesto internazionale è l'approvazione all'unanimità della risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che riguarda la progressiva autonomia dell'Iraq dall'occupazione agloamericana e di altre truppe tra le quali quelle italiane. La piaga della guerra dichiarata unilateralmente da Bush e Blair è solo in parte risanata dalla gestione multilaterale di un'alleanza ricostituita, che comprende anche Francia e Germania. La sua sincerità infatti dovrà essere provata dall'efficacia sul campo, in Iraq, dove si combatte ancora e si spara contro i giacimenti petroliferi e le truppe d'occupazione e dove si continua a morire. I curdi inoltre non sono contenti del testo approvato, poiché attendevano una maggior autonomia.

B. Valli, ancora su La Repubblica dello stesso giorno, afferma che non basta dichiarare la sovranità irachena. Il governo provvisorio non potrà fare leggi, né porre limiti alle azioni militari della forza multinazionale; avrà soltanto la facoltà di discuterne l'opportunità; né durante il periodo del mandato, valido un anno, avrà il diritto di sfrattare i tutori americani. Sarà un tirocinio non facile, sotto gli occhi sospettosi della popolazione e mentre imperversa una violenza quotidiana. A Sea Island, in Georgia, dove sono riuniti i capi di Stato e di governo dei Paesi industrializzati, sarà presentato il progetto americano per un Grande Madio Oriente, sul quale sia Mubarak dal Cairo, sia i membri della famiglia reale da Riad, hanno già espresso molti dubbi.

All'interno di questo quadro s'inseriscono le votazioni europee. La gente media, quale noi siamo, conosce i nomi dei candidati, ma difficilmente sa per che cosa andiamo a votare.

Per questo l'indicazione nostra, rivolta non alla scelta partitica che è lasciata alla libera valutazione d'ogni individuo, insiste sui contenuti che l'Unione europea andrà a realizzare. Un'Europa diversa infatti può avere una funzione determinante innanzi tutto al suo interno e quindi come cerniera tra mondo occidentale e stati dell'oriente che rivendicano, dopo una fase di riflusso, la partecipazione alla condivisione delle materie prime e delle scelte strategiche del futuro.

Fondamentale sarà un'azione di pace, di soluzione concordata dei conflitti, primo tra questi il conflitto iracheno, con il ritiro delle truppe italiane al fine di favorire il processo d'autodeterminazione di quel popolo, supportato eventualmente dalla presenza di un complesso di nazioni non coinvolte nella guerra unilaterale. Un'azione di pace rivolta anche al conflitto del Medio Oriente tra israeliani e palestinesi, strategico per la centralità e gli interessi in gioco in un'area di cerniera tra occidente ed oriente; rivolta quindi ai conflitti africani e di altre parti del mondo, dei quali si parla meno, ma che tuttavia hanno un significato per il futuro. L'Italia dovrebbe essere particolarmente impegnata nell'Europa nuova in questa missione di pace, confortata dall'articolo 11 della Costituzione, che rifiuta ogni forma di guerra d'aggressione.

Altre volte ho parlato della Costituzione europea, che ricalca in modo acritico il modello dell'economia e quindi della politica neoliberista, che accentua sempre più la forbice tra i pochi ricchi, un quinto circa della popolazione, che posseggono la gran parte dei beni del mondo ed i tanti poveri, i rimanenti quattro quarti, sia pure in gradazione diversa, che invece ne sono esclusi. S'impongono quindi un'economia e una politica diverse che non discriminino selvaggiamente tra chi opera sul mercato globale e chi da questo è escluso, e non ostacolino chi tenta di attutire le conseguenze delle forme più dure dello strapotere delle grandi centrali economico politiche.

In democrazia il voto è uno strumento per il controllo e l'indirizzo del potere. Il potere europeo entra direttamente nella nostra vita, perché arriva a dettare norme per tutti i rapporti economici e giunge fino a decidere come devono essere fatte le nostre targhe automobilistiche, i nostri impianti elettrici, le privatizzazioni dei servizi essenziali, o se possiamo continuare a coltivare il tabacco, come si fa nella provincia di Verona, o se possiamo salvare l'Alitalia e la Fiat. L'Europa è una grande cosa, l'abbiamo fortemente voluta, ma finora essa con una gran quantità di norme non ha fatto che tradurre nella rigidità di un regime politico e giuridico il modello economico capitalistico nella sua forma liberistica più accentuata (Raniero La Valle).

Il cammino verso la giustizia e la solidarietà, a partire dall'Europa, è ancora lungo.

(10 giugno 2004)

Mario Arnoldi