Passioni senza resurrezione?

Sul genocidio del Ruanda, in occasione del decimo anniversario, si stanno svolgendo diverse manifestazioni, convegni, rassegne cinematografiche, trasmissioni televisive, che tentano di fare l’autopsia della tragedia.

Hutu e tutzi, 80% contro il 10%, sono gli abitanti del Ruanda. I primi, gli hutu, furono scalzati in epoca premoderna dal potere politico dai grandi re, i Mwami tutzi. I secondi, i tutzi, costituiscono minoranza in Ruanda, ma maggioranza nel vicino paese del Burundi. I colonialisti europei del XVII-XVIII secolo hanno soffiato vento sul fuoco, mettendo le due etnie una contro l’altra in base al principio del divide et impera, ed hanno spogliato e dunque sottosviluppato nei decenni questo bellissimo paese dei grandi laghi, piovoso, forestale e dalle mille colline.

Questi sono alcuni dei precedenti del genocidio. Si aggiunga una circostanza scatenante. L’aereo, che riportava in patria il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana, vicino agli hutu, che aveva a bordo anche il presidente del Burundi, lo stato fratello-nemico, di ritorno da una conferenza per far avanzare il processo di pace in Ruanda, fu colpito il 6 aprile 1994, da un missile che uccise entrambi i capi di stato.

Il genocidio esplose il giorno successivo, il 7 aprile, a velocità superiore ad ogni altro. Un milione di tutsi assassinati, più i loro amici hutu moderati, in 100 giorni, per mano di 100 mila uomini e donne ora in attesa di giustizia e perdono; fosse comuni, saccheggi e incendi di chiese cattoliche, tra disastrosi interventi dell’Onu e l’indifferenza delle grandi potenze; l’esodo degli hutu, autori del genocidio, profughi nei paesi confinanti verso ovest; le successive ritorsioni, si parla di un secondo genocidio; un apparente ritorno all’ordine, il primo processo internazionale dopo Norimberga e la Carta dei Diritti dell’Uomo, con le sue procedure ed il verdetto finale, tre ergastoli più che discutibili, che non chiudono il discorso responsabilità ai piani più alti; infine il procedimento penale, di pochi giorni fa, contro l’attuale presidente. Si tratta del genocidio più sanguinoso dalla shoà, dopo i due milioni di cambogiani, infetti dalla civiltà occidentale, eliminati per mano di Pol Pot e compagni. (Roberto Silvestri, Alias, 20 marzo 2004).

Sullo stesso numero di Alias, un reporter di guerra ricorda di aver visitato le aule della scuola di Murami, uno dei luoghi del massacro, nelle quali non ci sono studenti, ma 27.000 cadaveri rinsecchiti. Le mie notti da allora non sono più le stesse, egli dice. Inoltre riferisce dei suoi contatti con l’Associazione delle Vedove del Genocidio, AVEGA, che aggrega 25.000 vedove e promuove microprogetti agricoli. Ho visto la speranza negli occhi di queste donne, egli afferma. Ma ciò che le vedove chiedono soprattutto è un segno di solidarietà internazionale. La loro pena maggiore è l’isolamento. Ai volti ed alle storie di queste donne sono stati dedicati un libro ed una mostra itinerante, i cui proventi andranno per intero ad Avegra e Jyamubandi Mwana, madri di bambini con gravi handicap di Kigali. (Livio Senigallesi, Alias, id. Info: www.liviosenigallesi.com).

Il genocidio del Ruanda non è un fatto isolato, ma è rappresentativo di tanti massacri che si stanno svolgendo nel continente africano ed in ogni altra parte del mondo, in particolare, oggi, in Iraq e Palestina. La situazione del Sudafrica, d’altra parte, per lo stato di maggior serenità per il lavoro svolto da Nelson Mandela a dai suoi, nonostante il permanere di grandi contraddizioni, è un elemento di speranza, con spunti di riflessi positivi su tutto il continente e sul resto del mondo.

Un accenno al film La Passione di Cristo, di Mel Gibson, che divide l’opinione pubblica, con le accuse di antisemitismo ed i giudizi della stampa di vari paesi. Chi lo definisce un’ottusa pellicola d’incredibile macho-masochismo (The Guardian, G.B., in Internazionale, anno 11, n.534, 9-15 aprile 2004), chi dice essere tutta un’invenzione, con uso di molto succo di pomodoro, vedi un curato di campagna spagnolo (El Pais, Spagna, in id.), chi invece lo apprezza.

Ho visto il film nell’edizione italiana e condivido i giudizi di perplessità sull’aspetto cinematografico. Tuttavia, uscendo dalla sala, pensavo che ogni epoca interpreta la figura di Gesù, emblema della persona umana, secondo la sensibilità del tempo. Mel Gibson ha rappresentato il Cristo enfatizzando la dilacerazione, le frustate, la flagellazione, il sangue grondante, l’assenza di scavo psicologico e di messaggi, la morte tremenda. Da questo punto di vista ho giudicato il film significativo delle tragedie che ovunque oggi si perpetrano.

Ho ripensato d’altra parte a Il Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, del quale ricorre il quarantesimo anniversario, nel quale Gesù era un puro e duro che annunciava il messaggio delle Beatitudini all’umanità, che negli anni ’60 coltivava speranze di trasformazione e la morte era il prezzo da pagare per quella speranza. Non è nostalgia, ma sguardo retrospettivo che tende a cogliere indicazioni per il futuro. Oggi sarebbe auspicabile un nuovo Pasolini che ci accendesse la speranza a partire dai movimenti dal basso, dalla società civile, così come l’estrazione sociale del Gesù storico e la sua azione ci indicano.

Il 25 aprile che andiamo a ricordare, infine, è la memoria della liberazione dal nazismo e dal fascismo storico di mezzo secolo fa. Da parte di alcune voci più avanzate si vuole associare anche la richiesta della pace oggi, per le guerre più scottanti. Condivido questa nuova motivazione, affinché la data della liberazione non sia congelata in un ricordo passato senza attualizzazione. Alla voce di coloro che vivono della forza della fede, si unisca il grido del Gesù storico di Pasolini laico. Beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli, beati i mansueti, perché erediteranno la terra, beati i famelici e i sitibondi di giustizia, perché saranno saziati, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati i portatori di pace!

Se da un lato dilagano ovunque nel mondo dilacerazione e morte, esistono anche, accanto a questi, parvenze di resurrezione e di speranza.

(Pasqua 2004)

Mario Arnoldi