Shirin Ebadi, nobel per la pace 2003

Se n’è parlato per un giorno solo, o poco più, la sorpresa e le perplessità hanno prevalso sulla soddisfazione per la feconda novità dell’assegnazione del premio Nobel per la pace 2003 a Shirin Ebadi, avvocatessa iraniana, "per i suoi sforzi per la democrazia e i diritti umani; si è concentrata specialmente sulla battaglia per i diritti delle donne e dei bambini", come afferma la motivazione del premio stesso.

Era stata nominata presidente del tribunale di Teheran dal 1975, ma dopo la rivoluzione del 1979 la costrinsero alle dimissioni. Un magistrato donna non era contemplato nella visione del mondo insita nel fondamentalismo sciita degli ayatollah. Ebadi, undicesima donna a vincere il premio di 1,32 milioni di euro, è stata scelta tra 165 candidati illustri. Dopo l’esonero dal tribunale, ella continua la professione di avvocato e scrive trattati sui diritti delle donne e dei bambini, alcuni tradotti in inglese. E’ sposata ed è madre di due ragazze di 20 e 23 anni. Nel 1997 ha un ruolo chiave nell’elezione del presidente riformista Kathami. Nel 1998 si costituisce parte civile nel processo per l’omicidio del dissidente Dariush Forouhar. Nel 2000 partecipa ad una conferenza a Berlino sulla democrazia in Iran che suscita molto clamore. Nel giugno 2000 è arrestata per le sue denunce contro gli ultraconservatori. Viene liberata 22 giorni dopo. Ha fondato inoltre alcune associazioni finalizzate alla difesa e protezione soprattutto delle donne e dei minori. Tralascio i commenti di quest’assegnazione del Nobel per la pace, che sono stati riportati dalle varie agenzie e che sono scontati nei loro contenuti, secondo la provenienza ideologica, religiosa o politica.

Interessanti alcune sue dichiarazioni rilasciate in un’intervista riportata da La Repubblica, 11 ottobre ’03. "Tutti i musulmani dovrebbero rallegrarsi, non c’è alcun’incompatibilità fra l’Islam e i diritti umani; se si legge il Corano, ci si accorge che al suo interno non c’è niente contro i diritti della persona umana. Questo premio mi dà ancora più energia per continuare questa lotta per un futuro migliore". "Vorrei aggiungere che questa giornata non appartiene solo a me, ma a tutti i militanti dei diritti umani nel mondo". A proposito della denuncia e dell’arresto del giugno del 2000, ella afferma che, essendo l’avvocato dei genitori di uno studente ucciso durante l’attacco contro l’università di Teheran nel luglio del ’99 ed avendo riportato la testimonianza di un uomo che aveva assistito ai fatti, venne arrestata e incarcerata per venticinque giorni in totale isolamento, condannata dapprima a quindici mesi con la condizionale, più la perdita dei diritti civili, compreso l’esercizio della professione d’avvocatessa, per cinque anni. In appello la pena fu poi commutata in una multa.

La Ebadi dà anche, nelle interviste, il suo parere sui grandi temi d’attualità: non nasconde la sua radicale opposizione alla guerra in Iraq - il popolo iracheno, elle afferma, deve ritrovare la sua sovranità il più presto possibile - , apprezza l’azione del Papa che ha lavorato molto per la pace, denuncia l’impari guerra che si combatte nei territori palestinesi.

Esiste dunque un Islam diverso da quello che i mass-media abitualmente ci mostrano, fatto solo di violenza, d’integralismo e terrorismo. Si è fatto e si fa sempre più strada un Islam democratico, che si batte per i diritti umani. Per altro l’Islam non è una religione monolitica che s’identifica con una singola popolazione o un gruppo particolare. I musulmani nel mondo sono oggi più di un miliardo e rappresentano la seconda religione per numero di seguaci, diffusi dal Magreb africano fino all’Indonesia, con propaggini in Africa centrale, in Asia centrale e nell’Europa balcanica. Dagli anni ’80, anche in seguito al movimento migratorio, ha conosciuto una fase d’espansione che lo ha reso presente in modo consistente negli USA, 5 milioni e più, ed in Europa occidentale. In Italia si stimano oggi, secondo alcune agenzie, esistere circa 700.000 fedeli.

Segnalo il libro di Stefano Allievi, Islam italiano, viaggio nella seconda religione del paese, Ed. Einaudi 2003, nel quale l’autore denuncia come i pregiudizi verso questa religione impediscano di stabilire una cultura della conoscenza e del dialogo. Per questo motivo il saggio è strutturato come un lungo viaggio all’interno delle tante comunità islamiche, in cui convivono i primi immigrati con i giovani della terza generazione e n’emerge un Islam italiano fatto di volti e di corpi pieni di dignità. Allo stesso tempo il volume sottolinea la necessità di affrontare in forme non ambigue la questione dei gruppi islamici radicali prendendone decisamente le distanze. Il testo è consigliato soprattutto per chi lavora in contatto col mondo islamico, nelle scuole e sul lavoro.

L’assegnazione alla Shirin Ebadi è quindi auspicio e sollecitazione all’estensione dell’Islam democratico ed al dialogo con le altre religioni. Il cristianesimo occidentale stesso, che si è proclamato nei secoli e si proclama tutt’oggi portatore di democrazia e di civiltà nel mondo, ha da apprendere lezioni di tolleranza e di disponibilità. Le attuali guerre di Bush, intraprese in nome di Dio, per non andare indietro nel passato, non sono certo un esempio di tolleranza e di dialogo.

Ricordo, com’esempio d’apertura, l’iniziativa della giornata cristiano islamica organizzata da Brunetto Salvarani e da Paolo Naso che si svolgerà l’ultimo venerdì del Ramadan e le innumerevoli iniziative che favoriscono l’integrazione degli immigrati.

Le notizie di questi giorni sembrano smentire tutte le speranze d’incontro tra le religioni e tra gli schieramenti contrapposti nei conflitti in atto. A Bagdad sono stati lanciati razzi contro l’albergo di Wolfowitz e nuovi attentati sono avvenuti nel momento in cui scrivo, con un numero considerevole di morti e la stessa Croce Rossa è stata colpita. In Italia si è scatenata una battaglia a causa del giudice che ha disposto la rimozione del crocifisso da una scuola del paese di Ofena.

Sul conflitto iracheno mi sono già espresso più volte. A proposito del caso del crocifisso, penso che qualcosa dovrà cambiare nella simbologia degli ambienti educativi. Proporrei o l’assenza di insegne religiose, in nome della laicità, nelle scuole superiori, nelle università e nei posti di lavoro, oppure la presenza dei segni di tutte le religioni rappresentate nelle classi, in particolare quelle materne ed elementari, per favorire l’identità e la collaborazione dei giovanissimi.

Concludendo, si può dire che alcune piste di dialogo sono state intraviste ed aperte da persone e gruppi illuminati e profetici, ma che la realtà procede più lentamente ed a volte non procede assolutamente, anzi regredisce. La storia c’insegna tuttavia che le strade nuove sono per lo più irreversibili e, sia pure lentamente, la prassi di verità e bontà avrà un avvenire.

(1 novembre 2003)

Mario Arnoldi