Da dieci giorni e’ scoppiata la sporca guerra

I pacifisti manifestano e boicottano

Condanna della sporca guerra

Condanno senza se e senza ma lo scoppio della guerra tanto temuta. Insieme con le masse pacifiste ho sperato che la guerra potesse essere protratta di qualche tempo, che gli ispettori dell’ONU continuassero il lavoro di ricerca, che la diplomazia e gli appelli dei governi più saggi portassero alla soluzione del conflitto in modo pacifista.

da La Repubblica, 15 febbraio 2003

(da La Repubblica, 15 febbraio 2003)

Tutte le speranze invece si sono infrante nella volontà d’onnipotenza degli Stati Uniti e del loro fedele gregario l’Inghilterra. Allo stesso tempo sono cadute le illusioni di chi confidava in una guerra lampo. Questa è una guerra lunga, orribile, devastatrice, produttrice già oggi di nuovi conflitti nell’area, in tutto il Medio Oriente, all’interno delle società, con la crescita dell’intolleranza, dell’odio etnico e religioso, del razzismo e dell’insicurezza.

Mi associo a tutti coloro che hanno come obiettivo: fermare la guerra, subito. Faremo il possibile per isolare chi l’ha voluta. Aderiamo alla campagna internazionale per la convocazione straordinaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché condanni l’aggressione di Bush e dei suoi alleati.

Allo stesso modo faremo il possibile per condannare e isolare il Governo italiano che ha stracciato l’articolo 11 della Costituzione, ha costretto il Parlamento all’illegalità istituzionale, ha trascinato l’Italia in guerra con la concessione delle basi e degli spazi aerei, e che ogni giorno aumenta l’impegno italiano nella guerra con atti concreti, come l’espulsione dei diplomatici iracheni come richiesto dal governo USA. Un Governo che, mentre partecipa alla guerra, fino ad oggi rifiuta di ottemperare ai suoi doveri d’accoglienza verso i profughi di guerra.

Facciamo appello perché prosegua e si estenda la mobilitazione diffusa, capillare, spontanea e articolata che in modo straordinario si è espressa in tutta Italia in questi primi giorni di guerra e c’impegniamo a contribuire al coordinamento delle iniziative affinché realizzino il massimo dell’efficacia, sul piano delle azioni e dei contenuti.

Ho iniziato la mia condanna alla guerra, e l’esortazione alla mobilitazione, esprimendomi in prima persona e sono passato quindi al plurale, perché ho fatto mie in massima parte le parole della dichiarazione dell’Associazione Attac, infatti è necessario che ciascuno di noi, in una fase tanto grave, non resti isolato e si associ il più possibile alla rete dei movimenti pacifisti ed a tutte quelle organizzazioni che sono sensibili alla soluzione concordata dei conflitti.


Tutte le previsioni sbagliate del Pentagono

Il 28 marzo scorso Il Messaggero elencava tutti gli errori del Pentagono come in un macabro decalogo. Doccia fredda, affermava, sull’ottimismo della vigilia. Nonostante la forza "flessibile" messa in campo, l’intervento degli USA rallenta tra mille difficoltà. Gli strateghi a stelle e strisce speravano nell’immediata decapitazione del regime.

Avevano detto:

Conquisteremo Bagdad in 72 ore.

Lo "Shock and Awe" sarà decisivo.

Il caldo asfissiante non ci nuocerà.

Gli iracheni ci accoglieranno a braccia aperte.

Il fronte del nord chiuderà il dittatore Saddam in una tenaglia.

Le truppe irachene non combatteranno

Useremo una forza decisiva

I costi della guerra saranno limitati.

Il "fuoco amico" non sarà un problema

I danni collaterali saranno molto contenuti.

La realtà si è svolta in modo molto differente dalle previsioni del Pentagono: i tempi si stanno facendo lunghi e Bush afferma che se è certo del successo finale non lo è del tempo necessario per raggiungere quel fine. Il successo stesso viene messo in forse da molti osservatori: ci troveremo, ahimè!, di fronte ad un nuovo Vietnam?

Le truppe irachene hanno opposto resistenza, si sono viste le prime vittime, prigionieri e morti anche da parte americana. Il fronte iracheno si è unito di un doppio legame perché si è sentito colpito nella sua identità di popolo, di cultura, ed anche gli oppositori di Saddam oggi combattono a fianco del capo che avevano rifiutato.

Il deserto, la sabbia, la tempesta ha rallentato i convogli americani costringendoli ad un arresto in attesa di rinforzi. Le vittime civili sono numerose, gli errori del sistema bellico sono tanti. Gli effetti collaterali umani cominciano a pesare. I timori della vigilia di chi rifletteva guidato da vera intelligenza si stanno realizzando. Che ne sarà di questa guerra? E della gestione successiva alla vittoria, supposto che questa avvenga? USA ed Inghilterra si sono divisi sulla gestione postbellica. I primi vogliono continuare ad essere soli nel godere dei frutti dell’eventuale successo, la seconda con saggezza europea, sia pure tardiva, vuole una gestione comune ONU.

I movimenti pacifisti.

In tutte le nazioni del mondo con un crescendo inaspettato, soprattutto in quei paesi che fanno la guerra o simpatizzano per essa, i movimenti pacifisti continuano nelle manifestazioni e sono passati da pure forme di visibilità a fatti concreti di boicottaggio non violento, come nel caso già ricordato delle "occupazioni delle basi militari e delle ferrovie" che trasportavano convogli e uomini verso le zone di guerra, oppure come nel contrastare la distribuzione della benzina Esso che tanto è implicata nella gestione americana. Si sta sviluppando ora largamente anche la forma del "boicottaggio con la spesa", cioè l’evitare di acquistare i prodotti delle multinazionali che partecipano attraverso le forniture militari alla guerra. Forme di lotta all’apparenza poco incisive, che, però, se estese, arrecano sicuramente un danno a chi produce e vende per sostenere la guerra.

Gli altri paesi d’Europa e del mondo, soprattutto quelli che contano, pur non essendosi opposti alla guerra in modo aperto per gli interessi che li legano agli Stati Uniti, hanno adottato un atteggiamento di attenzione vigile, pensando soprattutto al dopo Saddam ed alle sue possibili evoluzioni.

da La Repubblica, 23 febbraio 2003

(da La Repubblica, 23 febbraio 2003)

I profughi che emigreranno dalle terre di guerra, dei quali si ipotizzano cifre piuttosto considerevoli, e dei quali le televisioni cominciano a farci vedere le carovane in cammino, preoccupano sia in ordine al loro sradicamento che costituisce elemento di instabilità come per tutti coloro che sono estromessi dai loro territori, sia per quanto riguarda la possibilità di sistemazione in altre nazioni. E chi vive di fobie per gli stranieri già affina le proprie ragioni per il rifiuto dell’ospitalità.

Rappresento, in conclusione, il movimento pacifista nella figura di un bambino solo, che percorre le linee della ferrovia con la bandiera della pace sulle spalle e si muove con un passo svelto e pieno di speranza. E’ ritratto di schiena e la posizione è il segno di un lungo cammino che lui, giovane, dovrà percorrere. In quel bambino sono riposte simbolicamente le speranze e le lotte di tutti noi che crediamo che l’umanità debba evolvere verso lidi diversi dalla regressione della guerra, dell’isterilimento della specie, dello stato dell’uomo selvaggio.

Come nella storia antica è stato superato l’incesto attraverso una lenta e progressiva presa di coscienza della possibilità della negazione della specie umana e si giunse finalmente al tabù acquisito dell’incesto, così si auspica che oggi la stessa umanità prenda la stessa coscienza che la guerra porterà, soprattutto con gli strumenti tecnologici attuali, dal doppio volto benefico e mortale, a creare il tabù negativo della guerra e possa passare ad una fase nuova, ad una svolta epocale, che preveda la soluzione pacifica dei conflitti al fine del bene comune e non dell’interesse di una sola parte.

(1 aprile 2003)

Mario Arnoldi