l’Italia e’ un "territorio occupato" dagli USA

Un paese a sovranita’ limitata

Diversi anni fa, ormai sono tre decenni, io ed un gruppo di amici eravamo in vacanza in Sardegna ed avevamo campeggiato nella zona circostante Villasimius, allora assolutamente deserta, non contaminata dal cemento, con una spiaggia di sabbia finissima che si perdeva all’orizzonte ed un mare trasparente nel quale sguazzavamo per gran parte della giornata per contemplare la bellezza dei fondi, ricchi di pesci dai colori diversi e vivaci, contrariamente al grigio dominante dei banchi delle pescherie delle nostre città.

Un giorno ero di turno con una compagna del gruppo per la spesa e la cucina, come si usa fare in campeggio quando si è in molti. Eravamo quattordici. Stavamo quindi viaggiando verso la città per gli acquisti sulla mitica "nuova 500".

Vauro - da "Il manifesto" - 15 Febbraio 2003

(da "Il manifesto" - 15 Febbraio 2003)

Strada sterrata, molta polvere soprattutto quando incrociavamo altre auto. Ad un certo punto ci affiancò e ci superò non un’auto normale, ma un carro armato USA alto alto che quasi ci capovolse per lo spostamento d’aria, poi un altro, un altro ancora, complessivamente una colonna di una decina di carri. Anche se "politicizzati", eravamo molto ignoranti ed ingenui allora. Un pò per la vacanza, un po’ perché giovani, pensavamo che tutto il mondo fosse un Eden, o presto lo sarebbe divenuto, quale la zona in cui avevamo posto le tende. Ma la situazione assolutamente imprevista ci mandò in crisi, ci chiedevamo se fosse scoppiata una guerra a nostra insaputa, se dovessimo temere per la nostra vita, se i nostri compagni fossero in pericolo, se fosse stato meglio fermarsi e magari "arrendersi" o continuare il percorso fingendo che nulla stesse accadendo.

Ci salvò dall’imbarazzo l’addetto ad un distributore di carburante che ci informò che in zona c’era, e c’è tuttora, una base d’addestramento USA ed i carri armati stavano facendo normali spostamenti per rimanere "in forma". Sono venuto poi a conoscenza che le basi militari USA erano molte in Italia. Erano gli anni della guerra fredda e dovevamo farcene una ragione. Apprendo ora dal n. 6 di Carta-Cantieri Sociali del 20/26 febbraio scorso, www.carta.org, che attualmente 113 sono le basi e installazioni militari USA in Italia ed inoltre l’elenco non è completo perché non esiste una lista ufficiale e quel numero, con relative collocazioni geografiche, è il risultato di una ricerca su diverse fonti attendibili.

Ma non è caduta l’URSS? Non è finita la guerra fredda? I nemici cadono ma rimangono quegli oscuri oggetti del desiderio che si chiamano petrolio, gas, materie prime, dominio sul mondo, possesso delle risorse. Rimando alla rivista citata per la lettura dei nomi e delle funzioni specifiche delle singole basi. Spiccano tra queste Aviano in Friuli Venezia Giulia, Camp Ederle in Veneto, Ghedi, Montichiari e Remondò in Lombardia, Cameri e Candelo-Masazza in Piemonte, La Spezia, Finale L. e San Bartolomeo in Liguria, Camp Darby e Coltano in Toscana, La Maddalena-Santo Stafano e Capo San Lorenzo in Sardegna, Napoli e Bagnoli in Campania, Sigonella in Sicilia, e quindi tutte le altre. Ho citato le più importanti e tutte quelle che sono presenti nelle regioni a noi più prossime per sottolineare che siamo ben accerchiati. Spesso si pensa che le basi siano nelle regioni a noi più lontane. Nessuna regione invece è esente.

E’ prossima la guerra che gli americani ed inglesi, con o senza consenso dell’ONU, stanno per iniziare, anzi hanno già cominciato, contro l’Iraq. Lo scorso anno era di turno l’Afghanistan, oggi l’Iraq, poi sarà forse l’Iran, poi altri paesi ancora. Non ha importanza quale sia il nemico, ciò che conta è il possesso della zona ricca di petrolio, che sta via via esaurendosi a livello mondiale e gli USA, se venisse a mancare quello medio orientale, dovrebbero abbassare bruscamente il tenore di vita. Da segnalare anche il giro di telefonate tra Bush, Blair, Aznar e Berlusconi delle notti scorse: il poker dei guerrafondai si coalizza.

A poco sono valse le manifestazioni per la pace avvenute in tante città del mondo che hanno raccolto milioni di partecipanti. E’ inefficace il lavoro diplomatico dei paesi contrari alla guerra, che fanno capo a Francia, Germania, Russia e Cina, ed il coalizzarsi dei paesi non allineati. A nulla servono i continui inviti di Giovanni Paolo II e della sua autorità morale. A poco, si direbbe, contribuiscono le manifestazioni pacifiste contro i treni che trasportano armi e che si estenderanno agli aeroporti ed ai porti, per bloccare gli aerei e le navi. Le bandiere della pace che sventolano in tante città d’Italia e del mondo sono il grido inascoltato della società civile che non vuole guerre ma contrattazioni e disarmi non violenti. I signori della guerra squalificano queste manifestazioni sia sminuendone il numero dei partecipanti, sia tacciandole di collusione col nemico di turno. Per loro non si dà la terza via tra guerra e sconfitta: l’idea di una giusta spartizione delle risorse intaccherebbe il loro benessere.

Vauro - da "Il manifesto" - 15 Febbraio 2003

(da "Il manifesto" - 15 Febbraio 2003)

La speranza tuttavia dei pacifisti non muore. I processi positivi nella storia non hanno avuto successo al primo movimento. La modernità, nei suoi aspetti positivi, ha percorso, per affermarsi, un cammino di cinque secoli, costellati da sconfitte e successive riprese; d’altra parte la stessa modernità nei suoi aspetti di sopraffazione, di negazione della libertà, di morte, sta conoscendo gravi crisi economiche, politiche, morali e di consenso e non si capisce come questa non sappia anticiparle con una giusta spartizione contrattata.

Concludo questi appunti dominato da un senso d’inquietudine ma allo stesso tempo colmo di speranza, riproponendo la vignetta di Vauro del 15 febbraio scorso, nella quale un fanciullino, che simbolicamente rappresenta la freschezza, la fragilità e la forza del movimento pacifista, cerca di frenare il bombardiere USA con un filo tenue ma capace di avvinghiarlo o forse addirittura di bloccarlo. E’ un augurio per il bene di ognuno di noi e dell’umanità intera.

(1 marzo 2003)

Mario Arnoldi