Johannesburg, la conferenza dell’ONU sull’ambiente

Ma non chiamatele calamità naturali!

Sono debitore del sottotitolo ad un ottimo articolo de il manifesto 20.08.02, nel quale Gianni Moriani, dopo un’analisi attenta di diverse forme di distruzione dell’ambiente, soprattutto le esondazioni dei grandi fiumi del mondo, dell’Europa e dell’Italia, conclude dicendo: "A furia di distruggere foreste, costruire dighe, bonificare paludi, edificare su terreni esondabili, impermealizzare i suoli e destabilizzare il clima, stiamo allentando le maglie della complessa e salda rete di sicurezza ecologica che la natura si era data. Dopo tante distruzioni, in ore nelle quali si fanno i conti dei danni provocati dai fiumi, non si può dimenticare che un euro investito nella prevenzione consente, mediamente, di risparmiarne sette nella ricostruzione post-disastro".

Gary Gardner, direttore delle ricerche del Worldwatch Institute di Washington (WWI), in un’intervista riportata da Carta Almanacco, 8-14.08.02, esemplifica alcuni dei grandi problemi urgenti: le riduzioni delle emissioni d’ossido di carbonio, promesse a Rio de Janeiro e nel protocollo di Kyoto (1992-1997) e non realizzate; la scarsità sempre crescente dell’acqua e l’ingestibilità di quella che ancora abbiamo; altrettanto allarmante è la situazione delle specie, negli anni ’90 si è prodotta la prima estinzione di massa dopo quella dei dinosauri di 65 milioni d’anni fa; è diminuita la mortalità per malattie come il morbillo (-26%), la diarrea (-28), la tubercolosi (-19), la polmonite (-10), ma purtroppo la percentuale dei decessi per aids è cresciuta dell’800%, e, continuando, afferma che bisogna rovesciare l’idea che le risorse naturali sono infinite e, a quel fine, servirebbe un’educazione orientata ai valori della solidarietà e dell’ecologia.

Non continuo la lista dei disastri del mondo contemporaneo, credo abbastanza nota, per porre alcune questioni sulle motivazioni dei disastri stessi.

Prima questione. I paesi poveri sono tali perché non hanno ancora compiuto il cammino del progresso dei paesi ricchi, perché sono pigri, arretrati, guidati da mentalità fataliste che impediscono loro di uscire dalla situazione di miseria in cui giacciono, oppure perché il sistema di produzione, distribuzione e speculazione finanziaria, centralizzato e dislocato, operato dai paesi ricchi, detto abitualmente globalizzazione, crea per sua struttura miseria e inquinamento?

Mentre i paesi riuniti a Johannesburg sono, o fingono di essere, per la prima ipotesi e quindi si danno da fare per sovvenzionare, a mò d’elemosina, lo sviluppo nel mondo, io parteggio, e molti altri con me, per la seconda ipotesi. Stoccolma 1972, Rio de Janeiro 1992, Kyoto 1997 insegnano che dare prestiti a tassi altissimi, che costringono i paesi beneficiati a lavorare esclusivamente per restituire tali doni e quindi a rinunciare ad avere un’economia autonoma, senza cambiare il sistema di produzione, che per natura sua assorbe materie prime dai paesi terzi, produce e commercia con i paesi ricchi, inquina ed esaurisce le risorse, consuma il triplo di quanto il pianeta ci può concedere, è cosa che va ad arricchire sempre più i paesi che già sono ricchi, soprattutto gli USA. A questo si aggiunga, come accennavo poco sopra, l’attività finanziaria speculativa, apparentemente nota ma di fatto sconosciuta nei suoi effetti mortiferi, che solo negli ultimi dieci anni ha creato crisi che hanno distrutto l’economia di interi paesi o continenti, come la crisi del Sistema Monetario Europeo 1992, del Messico 1995, del Sud Est Asiatico 1997, della Russia 1998, dell’Argentina 2001.

Seconda riflessione. Giovanni Sartori sul Corriere della Sera del 26 agosto scorso affermava che il vero problema del mondo odierno è l’espansione demografica. Oggi siamo sei miliardi, nel 2050, secondo previsioni attendibili, saremo 50 miliardi. Ed allora sarà il collasso, anzi prima di allora, perché già ora consumiamo il triplo di quanto il pianeta ci concede. Evidentemente i paesi ricchi consumano il triplo. Sartori pone un problema vero ma difficile da affrontare. Le limitazioni delle nascite proposte nel passato dai governi o hanno fallito, infatti vanno a toccare uno dei sentimenti più profondi e fecondi dell’essere umano, il desiderio di prolungare la propria vita nelle generazioni future, che pur è necessario per l’individuo e la specie; oppure sono state imposte con la forza, in modo dittatoriale, ma la cosa evidentemente non è da auspicare.

Il problema esiste in tutta la sua gravità. Sartori ha ragione. Le soluzioni sono da trovare con la dovuta attenzione, rispettando da un lato le esigenze della persona singola e della specie e dall’altro la scarsità sempre crescente dei beni. Si impone, anche a partire da questo problema, la soluzione dello sviluppo sostenibile e del consumo critico.

Terzo problema. A Johannesburg è presente, per il Controvertice, il Global Forum della società civile organizzata, al quale aderiscono, come nei controvertici precedenti, associazioni, gruppi, ONG, provenienti da ogni parte del mondo e dai programmi convergenti sull’oppozione alla globalizzazione ma dalle sfumature diverse nella teoria e nella prassi a seconda del luogo e dell’ambiente in cui operano. Ne indicherò alcuni poco noti: " i pescatori del mondo" che protestano contro la pesca industriale, i "movimenti sudafricani per la terra", il "coordinamento delle ONG sudafricane" il cui rappresentante "compagno Gordon" ha svolto la relazione introduttiva al controvertice in assenza di Nelson Mandela.

Si ripropone il problema se è opportuno che i movimenti alternativi per un mondo diverso debbano seguire i vertici per poter essere vivi attivi ed efficaci. Ci sono già stati scontri ed arresti a Johannesburg nei giorni preparatori al vertice, ondata di arresti tra i contadini che si battono per la riforma agraria. Ora si attende la manifestazione annunciata per il sabato 31 agosto (mentre scrivo non ne conosco ancora lo svolgimento). Sembra usuale che quando non c’è un summit dei grandi, i raduni global hanno un andamento sereno come a Genova nel luglio scorso, quando invece ci sono i grandi, la polizia diventa più aggressiva e gli scontri sono pressoché inevitabili. Cui prodest? A chi giova? Non ho idee definitive in merito, infatti anche la visibilità del movimento dei movimenti è necessaria ed è andata formandosi ai controvertici dei grandi. Bisogna allo stesso tempo saper superare la sussidiarietà del movimento agli spostamenti dei signori della terra, elaborare programmi adeguati alternativi, operare sul globale ma anche sul locale, iniziative che già si fanno ma vanno potenziate, ed infine superare il settarismo che nella prassi quotidiana del lavoro politico di base contrappone spesso un gruppo ad un altro gruppo, in nome di differenziazioni minime. Questo comportamento è un errore gravissimo, perché nei fatti non sa individuare la vera controparte ed esaurisce le sue forze nelle contraddizioni secondarie. La storia ha continuamente confermato il fallimento di questo modo di agire.

Esprimo il sentito auspicio che Johannesburg sia più efficace di Stoccolma 1972, Rio de Janeiro 1992, Kyoto 1997.

(1 settembre 2002)

Mario Arnoldi