Santa Fiora

Alle pendici del Monte Amiata

Chianciano, Montepulciano, San Quirico d’Orcia, Arcidosso. Mi avvicinavo pochi giorni fa a Santa Fiora alle pendici del monte Amiata, un luogo che per me non è solo fisicità, ma è persona umana molto cara, P. Ernesto Balducci, che ha precorso durante la sua vita gli aspetti di ecumenismo, intercultura, interreligione, sui quali avevo riflettuto la settimana appena trascorsa con gli amici del Segretariato attività ecumeniche (SAE). La visita a Balducci, che facevo per la prima volta, era da me desiderata in sé ed allo stesso tempo rappresentava la conclusione delle giornate precedenti.

Avevo l’emozione nel cuore ed a fior di pelle come se mi avvicinassi ad un appuntamento con una persona viva. Foscolo ha cantato nei Sepolcri Firenze, le tombe dei grandi, la parabola a ritroso della civiltà occidentale sino a Troia ed Omero, padre di tutti i poeti, personificazione della poesia intesa nel suo significato più ampio di far rivivere ed immortalare gli eroi del passato perché la loro lezione non sia dimenticata. Poesia, parola, messaggio, profezia come segni di vita che non cessa ma continua a parlare alle generazioni successive. "Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi"!

Innanzi tutto il paese si presenta grazioso. E’ luogo di villeggiatura particolarmente silenzioso, disteso su un colle alla base del quale si trovano le sorgenti del fiume Fiora, raccolte in una peschiera settecentesca prima di defluire al mar Tirreno. Bello doveva esserlo già all’inizio del novecento, quando Balducci vi nacque nel ’22, ma sicuramente meno sereno, poiché gli uomini del posto andavano a lavorare alla miniera, come il padre di Ernesto, e la vita era grama soprattutto quando il lavoro non c’era. Ed è per la perdita del lavoro del padre, che Ernesto a 12 anni lascia la famiglia per andare a bottega presso un fabbroferraio, Manfredi Cicaloni, anarchico e perseguitato dal fascismo. Solo per pochi mesi lavorò, perché gli Scolopi gli assegneranno un posto in Seminario per poter compiere gli studi ai quali era portato. E l’abbandono dei compagni di lavoro venne sentito da Ernesto ragazzo e poi adulto come colpa, soprattutto quando più avanti alcuni di loro saranno perseguitati dai fascisti e sacrificheranno la vita nella guerra partigiana.

Prendo un caffè al bar della piazza per ricuperare un po’ della concentrazione spesa nel percorrere le tante curve delle meravigliose strade panoramiche della Toscana tra Siena e Grosseto. Chiedo quindi ad un gruppo di uomini, che chiacchieravano sulla piazza, dove fosse il cimitero. Ho udito la parlata della gente di quella terra che i "puristi" definirebbero meno fine di quella di Firenze e di Pisa, ma che a me ricordava la voce di Balducci, con le sue inflessioni corpose e suadenti. Un parlare toscano un po’ strascicato ma coinvolgente. Gli abitanti di questa zona, come Balducci, hanno la conformazione della bocca tutta particolare per poter pronunciare i suoni della loro lingua inconfondibile.

Mi dirigo verso il cimitero, di grandezza adeguata ad un paese di tre o quattro mila abitanti, e trovo nel campo, verso il centro, accanto alla cappella grande, il sarcofago di Balducci, che si alza da terra di un metro circa accanto alle altre tombe nello stesso campo. Sui lati del sarcofago, fatti di pietre sbozzate a parallelepipedo, dal colore grigio tipico della pietra dell’Amiata, a volte più chiaro a volte più intenso, sono incisi i titoli degli ultimi libri, che vogliono indicare i contenuti più significativi dell’evoluzione del maestro. La terra del tramonto, Il terzo millennio, La città del dialogo, Le tribù della terra, ed a caratteri doppi dei titoli precedenti L’uomo planetario, ad indicare il punto culminante del cammino del pensiero e della testimonianza di Balducci. Una piccola lapide a terra, eretta come su un leggio, di poco distaccata, porta la scritta "conosce veramente l’uomo chi crede nelle sue possibilità ancora inedite" e, sul coperchio, una pietra unica e liscia, "gli uomini del futuro o saranno uomini di pace o non saranno". Nella parte alta del coperchio il nome, a caratteri grandi, "Padre Ernesto Balducci, 4 Agosto1922-25 Aprile 1992".

Una stele sottile in metallo brunito, composta di due lamine affiancate e separate tra loro di pochi centimetri, ascende, per un metro, dalla parte alta del sarcofago accanto al nome di Balducci, larga trenta centimetri circa, come un campanile romanico stilizzato con tre livelli di monofore, più grande la più bassa e più strette via via le due più alte, e si piega infine in una curvatura, quasi ad indicare il calare della morte, ma allo stesso tempo il tendersi verso il mondo, ed una croce greca conclude la composizione.

Non c’è foto sul sarcofago di Balducci, come non c’è foto sulla lapide a terra di don Lorenzo Milani all’estremo opposto della Toscana, a Barbiana nel Mugello orientale. L’associazione è inevitabile. Accanto alla tomba nella nuda terra di don Lorenzo, che si confonde con le altre nel cimiterino largo come un nulla, un po’ in pendenza per il declivio della montagna, mi sono seduto ed ho riflettuto sulla radicalità e nudità del testimone accantonato. Ho dimenticato tutti i libri e l’ho interrogato, mi sono interrogato, su qualcosa che va al di là delle parole per penetrare nel mistero della sofferenza dell’abbandono, oltre la quale c’è l’abisso della morte come per Gesù in croce. Di fronte al sarcofago di Balducci, nella profonda commozione di rincontrare non solo un maestro ma una persona che ho conosciuto direttamente, ho rivisto i mali del mondo d’oggi, i conflitti sempre crescenti e dilaceranti e mi sono gettato a ripercorrere il cammino dell’uomo di pace, che ha pagato di persona ed ha predicato tutta la vita perché la fratellanza universale raggiungesse gli uomini.

Anche don Milani ha parlato ed ha scritto, come Balducci, ed è passato alla storia per la sua "scuola" nella quale il povero era il primo e lui si era fatto povero tra i poveri. Ma sento don Milani soprattutto come l’uomo ferito e dilacerato nella carne e nello spirito dall’incomprensione umana che è fatta di odio, contrasto e lotta distruttiva. Balducci, che pure ha vissuto nella sua carne e nell’animo la sofferenza degli uomini, è soprattutto annunciatore della parola di amore universale. Due vite complementari, che arricchiscono la Chiesa in cui sono vissuti, ma anche l’umanità intera. Mi sono allontanato da Santa Fiora con l’eco della parlata degli abitanti del posto, che si confondeva in me con quella di P. Ernesto Balducci, e con il buco del silenzio lontano e profondo di don Lorenzo Milani. Visite impegnative, ma ricche di suggerimenti!

(15 agosto 2002)

Mario Arnoldi