Vocabolario per il G8. Seconda parte

Tre buoni motivi per manifestare a Genova contro gli otto potenti della terra

Sono in debito di esposizione del terzo motivo valido per manifestare a Genova, già annunciato la volta scorsa: dietro i G8, rappresentanti della globalizzazione e delle multinazionali (prima e seconda motivazione), si nasconde, (terza motivazione) l’attività speculativa dei capitali. Il mio modo di procedere è a ritroso, dagli aspetti più appariscenti a quelli più nascosti e complessi, che costituiscono tuttavia la causa delle contraddizioni che viviamo ogni giorno.

"La merce più redditizia, nell’Occidente postindustriale, è il denaro. La quota di scambi monetari collegata a scambi di merci, infatti, è inferiore al 3%. Ciò vuol dire che il 97% dei movimenti di valuta è di natura puramente speculativa: 1800 miliardi di dollari al giorno (mentre scrivo la cifra è aumentata secondo una proporzione costante). Sulla base di ciò non è difficile comprendere che sono proprio i movimenti di capitali l’oggetto delle politiche e degli accordi internazionali.

La liberalizzazione dei mercati finanziari ha aumentato l’instabilità del sistema economico, aggravando le disuguaglianze sociali e quelle tra Nord e Sud del mondo. Le istituzioni democratiche e la sovranità degli Stati viene limitata dalla tutela degli interessi delle lobby finanziarie. Per di più, ogni anno nel mondo spariscono centocinquanta milioni di dollari e nessuno sa in quali Paesi vengono investiti né quali attività vadano a finanziare...prendono la via dei paradisi fiscali sfruttando le normative internazionali off-shore, cioè a libertà fiscale. Il potere bancario mondiale, facilitato dal segreto bancario e dalla non trasparenza delle operazioni finanziarie, consente il riciclaggio del denaro sporco...proveniente dai traffici illeciti delle mafie, e in primo luogo dalla vendita di armi e dal narcotraffico, ripulito e riciclato nelle cosiddette ‘lavanderie finanziarie’. Tutto questo non fa che aumentare il potere bancario stesso.

Attraverso molte banche passano anche le transazioni ufficiali relative alla vendita di armi. Nelle Campagne pacifiste contro le armi vengono chiamate ‘banche armate’, e da chi aderisce alla Campagna viene chiesta, in quanto cliente di una delle ‘banche armate’, una conferma o una smentita scritta da parte della banca sul suo coinvolgimento in operazioni di esportazioni di armi. Nel caso di risposta vaga e imprecisa, dal cliente viene chiuso il conto. La vendita delle armi causa l’aumento di belligeranza nei Paesi del Sud del mondo che assistono anche ad un fenomeno nuovo: le agenzie mercenarie, le multinazionali della guerra, invece dei mercenari singolarmente ingaggiati. In questi stessi Paesi gli adulti o fanno la guerra o emigrano, e nelle città e nei villaggi restano vecchi, donne e bambini, paralizzando ulteriormente ogni attività economica se non relativa alla pura sussistenza. Parallelamente diminuisce il livello di democrazia e aumentano le vendette interetniche e intergruppo.

Relativamente alle ripercussioni sull’ambiente, il forte incremento del mercato della droga convince molti piccoli produttori dei Paesi del Sud del mondo ad abbandonare le coltivazioni per l’autosussistenza, fagioli e mais. Gravati dall’acquisto di semi, perché gli ibridi devono essere ricomprati, e di antiparassitari e fertilizzanti (solo i primi sacchi sono dati gratuitamente dalle case produttrici) e gravati dai tassi usurai di coloro che prestano i soldi per quegli acquisti, i contadini, che spesso sono senza terra, braccianti, perché nessuna riforma fondiaria è stata realizzata nel loro Paese, vanno a produrre sulle montagne coltivazioni oppiacee, dalla coca alla marijuana, su terreni controllati dalle mafie, che da loro poi acquisteranno la produzione. Alle monoculture oppiacee si accompagna anche la deforestazione, mediante la pratica del ‘taglia e brucia’, per cui terreni con una biomassa molto fragile, quali le foreste, dopo pochi anni diventeranno, a causa della dilavazione, deserti." (G. Martirani, Il drago e l’agnello, prefazione di Alex Zanotelli, Ed. Paoline, 2001, pp.119-122).

Mi affiderò, per citare un esempio concreto, ad una voce autorevole, ad un pentito del Fondo Monetario Internazionale, Joseph Stiglitz. (professore di economia alla Stanford University. Dal 1997 al 2000 fu responsabile economico e vicepresidente della Banca Mondiale. Ha fatto parte del Comitato dei consiglieri economici del Presidente degli Stati Uniti dal 1993 al 1997). "Sono stato capo economista della Banca Mondiale dal 1996 al novembre 1999, nel periodo della più grave crisi economica mondiale dell’ultimo cinquantennio: ho avuto modo di vedere come il Fondo Monetario Internazionale, in tandem col ministero del Tesoro degli Stati Uniti, ha reagito e mi sono spaventato. La crisi economica mondiale cominciò in Tailandia il 2 luglio 1997. I Paesi dell’Asia orientale avevano alle spalle trent’anni miracolosi: in cui i redditi avevano spiccato il volo, la salute pubblica era migliorata, la povertà diminuita. Non solo ora l’alfabetizzazione era diffusa, ma nei test internazionali di scienze e matematica molti di quei paesi battevano gli Stati Uniti. Alcuni di questi paesi non avevano sofferto nemmeno un anno di recessione in trent’anni. Ma i semi dei disastri erano già stati sparsi. Nei primi anni ’90 i paesi dell’Asia Orientale avevano liberalizzato i loro mercati finanziari e di capitali, non perché avessero bisogno di attirare una maggior quantità di investimenti (il tasso di risparmio aveva già raggiunto il 30% e oltre), ma per la pressione internazionale, compresa quella del Ministero del Tesoro degli Stati Uniti.

Questi cambiamenti provocarono un’alluvione di capitali a corto termine, cioè il tipo di capitale che cerca i più alti redditi il giorno, la settimana e il mese seguente, a differenza degli investimenti a lungo termine in cose come fabbriche. In Tailandia questi capitali a breve termine aiutarono ad alimentare un boom edilizio insostenibile. E, come la gente nel mondo (Americani compresi) ha imparato a caro prezzo, ogni bolla di sapone edilizia prima o poi scoppia, spesso con conseguenze disastrose. Altrettanto improvvisamente come erano arrivati i capitali se ne andarono. E se tutti cercano di tirar fuori i propri soldi nello stesso momento, ciò produce un problema economico molto grosso..."

(Joseph Stiglitz, 17 aprile 2000, in G. Martirani, op. cit., allegato)

Come si suol dire, i G8 non sono i BUON SAMARITANI DEL MONDO e s’ impone l’azione correttiva e alternativa.

(15 luglio 2001)

Mario Arnoldi