13 maggio: un voto contro il monopolio dei mezzi di comunicazione di massa

Potrebbe apparire molto periferica e un po’ intellettualistica la mia dichiarazione di voto contro il monopolio dei mass-media. Ci sono problemi più urgenti e pratici che la nostra politica nazionale, collegata con quella europea e mondiale, deve risolvere: la mancanza e la mobilità selvaggia del lavoro, che rende instabile e devitalizzata soprattutto la fascia giovanile del paese (mi sembra logica conseguenza che i giovani non escano dalla casa paterna, non si sposino, si disamorino della politica, ecc.); lo spettro, anche quando il lavoro c’è, che le pensioni vadano assottigliandosi e la prospettiva di una "terza età serena", come si suol dire, vada sfumando; il timore che la sanità pubblica vada scomparendo in favore di quella privata, che ha come scopo il profitto e non il benessere comune (significative, tra molte altre, le notizie sulle sperimentazioni umane clandestine e a pagamento dei farmaci da parte di alcune multinazionali, guidate solamente dalla preoccupazione di far presto, perché un farmaco dopo vent’anni di brevetto perde di valore, oppure le notizie sulla contesa dei farmaci anti HIV in Sudafrica).

Continuando la lista delle urgenze, recentemente si è parlato molto dei trapianti in seguito ad una battuta stonata dell’amato Cementano, ma non si è detto che l’Italia è arrivata per ultima tra i paesi europei ad accettare la legge del silenzio assenso perché ci sono interessi forti in gioco, come le perdite delle ditte produttrici delle sofisticate macchine per la dialisi se i trapianti aumentano ed i dializzati diminuiscono, e si è taciuto dello scandalo, soprattutto in alcune regioni d’Italia, delle strutture pubbliche per la dialisi abbandonate e dei centri privati convenzionati strapieni, che percepiscono un doppio contributo, dallo stato e dal paziente, o di certe regioni d’Italia dove per accedere ad un centro dialisi occorre percorrere decine e decine di chilometri. E non s’è fatto cenno alla vergogna dei milioni di bambini del sud del mondo che portano una ferita sul fianco dall’ascella all’addome perché sono stati costretti a donare un rene per far la dote alla sorella o più semplicemente per sopravvivere loro e la famiglia ed alla vergogna ancora peggiore dei bambini scomparsi, uccisi per ricavarne organi per i ricchi del mondo "civilizzato".

Si possono aggiungere altri problemi pratici e concreti, come le migrazioni dai paesi poveri verso quelli ricchi, che disarticolano la struttura sociale di questi ultimi, ma che sono la normale conseguenza della politica occidentale del passato. Su queste ed altre realtà va ad influire il voto del 13 maggio.

Voglio tuttavia porre l’accento sul problema del monopolio dei mezzi di comunicazione di massa. Nel passato questi servivano semplicemente a creare "consenso" al regime, cosa fondamentale per la sua sopravvivenza. Il fascismo ha saputo sfruttare al massimo la radio, il cinema, i giornali, il comizio impostato in un certo modo, ecc., per creare consenso e c’è riuscito egregiamente. Recentemente ho sentito una persona di buon senso dire ancora che la disgrazia di Mussolini è stata il seguire Hitler nella guerra mondiale; sino ad allora, diceva la persona, non si era comportato male. Chi ha aperto almeno una volta un libro di storia, nonostante i revisionismi, sa che le disgrazie del fascismo cominciarono sin dall’inizio, dal ’22, ed il consenso creato ha coperto le magagne.

Oggi c’è di più. Chi possiede i mass-media ha in mano la tecnologia che strutturalmente crea l’economia. I mass-media permettono la produzione decentrata, in Italia e all’estero; favoriscono i grandi flussi di capitali in Italia e nel mondo, che producono ricchezza anche senza produrre lavoro; danno vita ai commerci senza frontiere, che annullano l’autonomia produttiva del locale e del nazionale a vantaggio delle multinazionali... realtà che generano la disoccupazione, la mobilità di lavoro, il senso di instabilità, l’arricchimento di pochi e l’impoverimento dei più, e danno origine a tutti i problemi concreti ai quali accennavo all’inizio. Berlusconi, come è stato detto già da molti, se vincerà le elezioni sarà padrone delle sue tre reti private (perché non le ha vendute prima, come si converrebbe ad un politico serio; dice che le venderà dopo?!) e delle tre reti nazionali, in altre parole sarà padrone di tutta l’informazione e della tecnologia che la sostiene e ne consegue, di modo che noi diventeremo dei semplici tasselli di un mosaico o burattini di un gran burattinaio, puliti e ben vestiti, che non ci accorgeremo di nulla, con un corollario non da poco, che potremo dire solo di sì, perché la macchina dell’economia gira in una sola direzione: dovremo abbandonare il nostro spirito pensante, lo spirito critico, che è necessario alla persona umana che vuol costruire per il bene comune. Prevarrà il profitto di uno solo.

Mi associo, per concludere, ai vari appelli che sono circolati in queste settimane e che hanno rilevato i pericoli di cui ho parlato. In particolare a quello di Norberto Bobbio, che sostiene la necessità di difendere lo stato di diritto ed a quello di Umberto Eco che lancia un appello ad un referendum morale.

Iannacci scrisse con Fo una delle sue più belle canzoni. In essa si racconta come prete Liprando accusò il suo vescovo di essere ladro e simoniaco e come questi si offese e chiese il giudizio di Dio, costringendo Liprando a camminare sui carboni ardenti per vedere se ne usciva bruciato o vivo. Manco a dirlo, ne uscì vivo ed il vescovo fuggì via. Una figura interessante della canzone è quella dello spettatore venuto da Como per vedere lo spettacolo del giudizio, ma che, purtroppo, essendo piccolo e sommerso dalla folla, non vede niente. "Ed io non vedo niente, son venuto da Como, son venuto da Como per niente!". L’ultima volta che Iannacci cantò la canzone, anni fa, al teatro tenda vicino San Siro, a Milano, la dedicò, riferendosi al poveretto di Como che non vedeva niente, a tutti quelli che, vivendo accanto ai grandi momenti della storia, non si accorgono di nulla! Il 13 maggio è un grande momento della storia. E’ necessario che ce ne accorgiamo.

(15 maggio 2001)

Mario Arnoldi